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Operazioni inesistenti: onere della prova del Fisco

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8890/2024, ha rigettato il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria in un caso di operazioni inesistenti. È stato ribadito che spetta al Fisco provare non solo la natura fittizia del fornitore, ma anche la consapevolezza o la conoscibilità della frode da parte dell’acquirente. La Corte ha ritenuto che l’onere probatorio non fosse stato assolto, poiché gli indizi della frode non erano ragionevolmente conoscibili dal contribuente al momento delle transazioni, confermando così il diritto alla detrazione IVA.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione fissa i paletti sull’onere della prova del Fisco

Introduzione al caso: l’onere della prova nelle operazioni inesistenti

La lotta all’evasione fiscale, in particolare in materia di IVA, vede spesso le imprese confrontarsi con complesse contestazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Un tema ricorrente è quello delle operazioni inesistenti, specificamente quelle ‘soggettivamente’ inesistenti, in cui la transazione commerciale avviene, ma con un soggetto diverso da quello che emette la fattura, spesso una ‘società cartiera’. Con la recente ordinanza n. 8890 del 4 aprile 2024, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza su un punto cruciale: l’onere della prova. Chi deve dimostrare cosa affinché la detrazione IVA venga legittimamente negata al contribuente? La risposta della Corte è un richiamo ai principi di diligenza e alla necessità di prove concrete.

I Fatti del Contenzioso

Una società operante nel commercio di pneumatici si vedeva recapitare un avviso di accertamento con cui l’Amministrazione Finanziaria recuperava l’IVA detratta per l’anno 2011. La contestazione si basava sul fatto che le fatture provenivano da una società fornitrice considerata una mera ‘cartiera’, inserita in un meccanismo fraudolento. Secondo il Fisco, l’acquirente avrebbe dovuto essere consapevole di partecipare, anche involontariamente, a una frode fiscale.

La società contribuente impugnava l’atto, ottenendo ragione sia in primo grado (Commissione Tributaria Provinciale) sia in appello (Commissione Tributaria Regionale). I giudici di merito ritenevano che l’Amministrazione Finanziaria non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare che l’acquirente fosse a conoscenza, o potesse conoscere con l’ordinaria diligenza, la natura fraudolenta del proprio fornitore. Insoddisfatto, il Fisco portava la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, confermando le decisioni dei gradi precedenti e condannandola al pagamento delle spese legali. La decisione si fonda su un’attenta analisi dei principi consolidati, sia a livello nazionale che europeo, in materia di onere della prova nelle frodi IVA.

Le Motivazioni: la prova della consapevolezza e le false operazioni inesistenti

Il cuore della motivazione risiede nella ripartizione dell’onere probatorio. La Corte ha ribadito che, in caso di contestazione di operazioni inesistenti a livello soggettivo, l’Amministrazione Finanziaria ha un duplice onere:

1. Provare l’oggettiva fittizietà del fornitore: dimostrare, cioè, che la società che ha emesso la fattura è una ‘cartiera’ priva di una reale struttura economica.
2. Provare la consapevolezza del destinatario: dimostrare, anche tramite presunzioni, che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

È proprio su questo secondo punto che il ricorso del Fisco è naufragato. I giudici di merito avevano accertato che gli elementi indicativi della natura fittizia del fornitore (come l’assenza di dipendenti, la mancanza di consumi elettrici, etc.) non erano conoscibili dall’acquirente al momento delle transazioni, avvenute all’inizio del 2011. Tali elementi potevano avere una ‘effettiva rilevanza solo valutandole a posteriori’. In altre parole, non si può pretendere che un imprenditore svolga indagini complesse che neppure gli ispettori fiscali avrebbero potuto completare agevolmente in quella fase iniziale.

La Corte ha specificato che, sebbene al destinatario della fattura sia richiesto un obbligo di verifica in presenza di ‘indici anomali’, non si può esigere da lui di conoscere la struttura interna e l’operatività del proprio fornitore. La mera regolarità formale della contabilità non è sufficiente a scagionare il contribuente, ma, d’altro canto, il Fisco deve fornire elementi oggettivi e specifici che dimostrino la ‘conoscibilità’ della frode.

Conclusioni: implicazioni pratiche per le imprese

La sentenza rappresenta un importante baluardo a tutela della buona fede del contribuente. Essa chiarisce che il diritto alla detrazione IVA non può essere negato sulla base di un mero sospetto o di una valutazione retrospettiva. Per le imprese, ne derivano alcune importanti implicazioni pratiche:

* Dovere di diligenza: È fondamentale adottare procedure di controllo e verifica dei nuovi fornitori, documentando i controlli effettuati. Verificare la visura camerale, la presenza di una sede operativa e la reputazione sul mercato sono buone prassi.
* Attenzione agli ‘indici di anomalia’: Prezzi eccessivamente bassi rispetto al mercato, modalità di pagamento insolite o una logistica anomala devono far scattare un campanello d’allarme e indurre a maggiori cautele.
* Valore della prova: In caso di contenzioso, è cruciale essere in grado di dimostrare di aver agito con la diligenza richiesta a un operatore accorto, in base alle circostanze concrete del momento in cui è stata conclusa l’operazione.

In conclusione, la Corte di Cassazione non alleggerisce la responsabilità delle imprese, ma la circoscrive entro i limiti della ragionevolezza, impedendo che il contribuente in buona fede diventi l’involontario responsabile delle frodi altrui.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare la consapevolezza del cessionario riguardo alla frode?
L’onere di provare che il cessionario (l’acquirente) era a conoscenza della frode, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, spetta all’Amministrazione Finanziaria. Non è sufficiente dimostrare solo la natura fittizia del fornitore.

È sufficiente per il Fisco dimostrare che il fornitore era una ‘società cartiera’ per negare la detrazione IVA?
No. Secondo la Corte, oltre a provare la natura di ‘cartiera’ del fornitore, l’Amministrazione Finanziaria deve anche dimostrare, sulla base di elementi oggettivi, che il cliente era consapevole o avrebbe potuto ragionevolmente sapere che stava partecipando a un’operazione fraudolenta.

La regolarità formale della contabilità e dei pagamenti è sufficiente per garantire il diritto alla detrazione dell’IVA?
No, la regolarità formale non è, di per sé, una prova conclusiva della buona fede. Tuttavia, la Corte ha stabilito che l’onere primario di dimostrare la consapevolezza della frode da parte del contribuente spetta al Fisco, il quale deve basarsi su elementi che erano conoscibili al momento della transazione, non su analisi retrospettive.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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