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Operazioni inesistenti: onere della prova del Fisco

Una società ha contestato un accertamento fiscale per costi relativi a presunte operazioni inesistenti. La Corte di Cassazione ha confermato la pretesa dell’Amministrazione Finanziaria, stabilendo che, una volta forniti dall’ente impositore elementi presuntivi sulla fittizietà delle transazioni, l’onere di dimostrarne la reale esistenza si sposta sul contribuente. La Corte ha inoltre precisato che prove formali come le fatture o un decreto di archiviazione penale non sono di per sé sufficienti a superare tale onere.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: Chi Deve Provare Cosa?

La recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un tema cruciale del diritto tributario: la gestione delle operazioni inesistenti e la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. La Suprema Corte ha ribadito principi consolidati, sottolineando come la regolarità formale dei documenti non sia sufficiente a dimostrare l’effettività di una prestazione quando l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi di segno contrario.

I Fatti di Causa

Una società a responsabilità limitata si era vista notificare un avviso di accertamento con cui l’Amministrazione Finanziaria contestava la deducibilità di alcuni costi relativi all’anno d’imposta 2013. Tali costi derivavano da fatture emesse da un’altra società per presunte prestazioni di servizi. Secondo il Fisco, tali prestazioni erano fittizie, ovvero operazioni inesistenti.

Il contenzioso ha visto un esito altalenante nei primi due gradi di giudizio:

1. La Commissione Tributaria Provinciale aveva inizialmente dato ragione alla società, accogliendo il suo ricorso.
2. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale, in sede di appello, ha ribaltato la decisione, accogliendo le argomentazioni dell’Amministrazione Finanziaria. La CTR ha ritenuto che il Fisco avesse fornito prove sufficienti a dimostrare l’inesistenza delle operazioni sottostanti alle fatture.

La società ha quindi deciso di ricorrere in Cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali: l’omessa valutazione di fatti decisivi che avrebbero provato l’esistenza dei servizi e la violazione di legge riguardo la deducibilità dei costi.

L’Onere della Prova nelle Operazioni Inesistenti

Il cuore della decisione della Cassazione ruota attorno alla corretta applicazione delle regole sull’onere della prova. La Corte ha chiarito che, una volta che l’Amministrazione Finanziaria dimostra, anche tramite presunzioni semplici, l’esistenza di elementi che fanno dubitare della genuinità delle operazioni, la palla passa al contribuente. A quest’ultimo spetta il compito di provare in modo inconfutabile l’effettiva esistenza delle prestazioni contestate.

L’Irrilevanza dell’Archiviazione Penale

Uno degli argomenti difensivi della società si basava su un decreto di archiviazione ottenuto in sede penale per i medesimi fatti. La società sosteneva che tale provvedimento confermasse la “genuinità e dignità fiscale” delle operazioni. La Cassazione ha respinto nettamente questa tesi. I giudici hanno specificato che un decreto di archiviazione penale non vincola in alcun modo il giudice tributario. Quest’ultimo ha piena autonomia nel valutare i fatti, poiché l’archiviazione non costituisce una sentenza passata in giudicato e si fonda su presupposti diversi, spesso legati alla mancanza di elementi per sostenere un’accusa in giudizio.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha ritenuto i motivi del ricorso in parte inammissibili e in parte infondati. I giudici hanno evidenziato che la Commissione Tributaria Regionale aveva correttamente accertato in fatto che il Fisco aveva assolto al proprio onere probatorio. Gli elementi raccolti dall’Amministrazione Finanziaria erano stati giudicati “persuasivi e univocamente indicativi della falsità delle fatture”. Queste ultime, secondo la ricostruzione, non rappresentavano operazioni reali ma, al contrario, mascheravano prestazioni di lavoro dipendente direttamente imputabili alla società ricorrente.

Di conseguenza, se le operazioni sono oggettivamente inesistenti, viene a mancare il requisito fondamentale dell’inerenza del costo all’attività d’impresa. Un costo per un servizio mai ricevuto non può, per definizione, essere inerente alla produzione del reddito. La Cassazione ha ribadito che la prova dell’inerenza, così come quella dell’esistenza e dell’ammontare del costo, grava sempre sul contribuente. L’esibizione della sola fattura, anche se formalmente perfetta, è del tutto insufficiente, in quanto è proprio lo strumento tipicamente utilizzato per simulare operazioni inesistenti.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione riafferma un principio cardine nella lotta all’evasione fiscale basata sull’uso di fatture false. La decisione chiarisce che la battaglia contro le operazioni inesistenti si gioca sul piano della prova sostanziale e non meramente formale. Per un’azienda, non è sufficiente avere una contabilità ineccepibile o pagamenti tracciabili per garantire la deducibilità di un costo; è necessario essere in grado di dimostrare, in caso di contestazione, che alla fattura corrisponde una prestazione reale, effettiva e funzionale all’attività d’impresa. Inoltre, viene confermata la totale autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, soprattutto in presenza di provvedimenti non decisori come il decreto di archiviazione.

In caso di accertamento per operazioni inesistenti, a chi spetta l’onere della prova?
Inizialmente, l’onere spetta all’Amministrazione Finanziaria, che deve fornire elementi, anche presuntivi, per dimostrare l’inesistenza delle operazioni. Una volta fornita tale prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esistenza e l’inerenza dei costi contestati.

L’archiviazione di un procedimento penale è sufficiente a dimostrare la legittimità delle operazioni in un processo tributario?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che un provvedimento di archiviazione penale non impedisce al giudice tributario di valutare e qualificare diversamente gli stessi fatti. Tale decreto non ha l’autorità di cosa giudicata nel processo tributario.

È sufficiente esibire le fatture e la prova dei pagamenti per dimostrare l’effettività di un’operazione contestata?
No. Secondo la Suprema Corte, l’esibizione della fattura o la dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili e dei pagamenti non sono considerate prove sufficienti, in quanto tali elementi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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