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Operazioni inesistenti: onere della prova del Fisco

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3179/2024, ha chiarito la ripartizione dell’onere della prova in materia di operazioni inesistenti. Un agente di commercio si era visto negare la deducibilità di costi per consulenze, ritenute fittizie dall’Agenzia delle Entrate. La Corte ha confermato che spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire indizi gravi, precisi e concordanti sull’inesistenza delle prestazioni (ad es. la natura di ‘cartiera’ del fornitore). Una volta fornita tale prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettività delle operazioni, non essendo sufficienti la fattura e la prova del pagamento.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: L’Onere della Prova tra Fisco e Contribuente

La gestione dei costi aziendali e la loro deducibilità fiscale è un aspetto cruciale per ogni professionista e imprenditore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 3179 del 2 febbraio 2024) torna a fare luce su un tema particolarmente delicato: quello delle operazioni inesistenti e della ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. Il caso analizzato riguarda un agente di commercio a cui è stata contestata la deduzione di costi per fatture relative a servizi di consulenza, ritenuti fittizi dal Fisco.

I Fatti del Caso: L’Avviso di Accertamento

Un agente di commercio, operante per conto di una nota azienda editoriale, impugnava un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava, per l’anno d’imposta 2008, un maggior reddito imponibile di 7.900,00 euro. La rettifica derivava dal disconoscimento della deducibilità di costi documentati da fatture emesse da una consulente per presunte “consulenze e progettazioni grafiche e telemarketing”.
Secondo l’Amministrazione Finanziaria, tali prestazioni erano oggettivamente inesistenti. Il contribuente, dal canto suo, sosteneva l’effettività dei servizi, affermando di aver avuto bisogno di una collaboratrice per fissare appuntamenti con i clienti e preparare bozzetti per le inserzioni pubblicitarie.

La Controversia sulle Operazioni Inesistenti

La questione centrale del contenzioso verteva sulla prova dell’esistenza delle operazioni commerciali. L’Agenzia delle Entrate basava la propria pretesa su una serie di indizi gravi, precisi e concordanti che facevano dubitare della reale attività svolta dalla fornitrice dei servizi. Il contribuente, invece, difendeva la legittimità della propria contabilità e la necessità di avvalersi di tale collaborazione esterna.
Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale davano ragione al Fisco, ritenendo non provata l’effettività delle prestazioni. Il contribuente decideva quindi di ricorrere per Cassazione, lamentando diversi vizi della sentenza di secondo grado.

L’analisi della Corte di Cassazione sulle operazioni inesistenti

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del contribuente, confermando le decisioni dei giudici di merito. L’ordinanza offre importanti chiarimenti sulla gestione probatoria nei casi di contestazione di operazioni inesistenti.

La Distribuzione dell’Onere della Prova

I giudici hanno ribadito un principio consolidato: in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare, anche attraverso presunzioni, che l’operazione non è mai stata posta in essere. Elementi come la qualifica del fornitore quale “società fantasma” o “cartiera” costituiscono un grave indizio.
Una volta che il Fisco ha fornito questa prova presuntiva, l’onere si inverte e spetta al contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni sottostanti. La Corte ha precisato che, a tal fine, non è sufficiente esibire la fattura o dimostrare la regolarità formale delle scritture contabili e dei pagamenti. Questi elementi, infatti, sono spesso utilizzati proprio per dare una parvenza di realtà a un’operazione fittizia.

Gli Indizi di Inesistenza dell’Operazione

Nel caso specifico, la Corte ha valorizzato gli elementi raccolti dall’Ufficio, ritenendoli idonei a fondare la presunzione di inesistenza. Tra questi:
1. L’assenza di uno studio pubblicitario presso l’indirizzo indicato in fattura dalla fornitrice.
2. L’irreperibilità della stessa fornitrice.
3. La sistematica monetizzazione dei pagamenti ricevuti (a fronte di bonifici o assegni, venivano prelevati contanti di pari importo).
4. L’assenza di costi operativi (telefono, luce, etc.) a carico della fornitrice, incompatibile con un’attività d’impresa reale.
5. La neutralizzazione contabile delle operazioni attive e passive nel modello UNICO.

Inammissibilità degli Altri Motivi di Ricorso

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili o infondati gli altri motivi di ricorso, tra cui la presunta violazione del contraddittorio preventivo (non necessario per accertamenti “a tavolino”), la falsa applicazione delle norme sulle presunzioni e la carenza di motivazione della sentenza.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte si fonda sulla consolidata giurisprudenza in materia di prova per presunzioni nel diritto tributario. I giudici hanno sottolineato come un insieme di elementi indiziari, se gravi, precisi e concordanti, sia sufficiente a sostenere l’accertamento del Fisco. Di fronte a un quadro probatorio così solido da parte dell’Amministrazione, il contribuente non è riuscito a fornire la prova contraria richiesta, ovvero la dimostrazione concreta e tangibile delle prestazioni ricevute. La decisione si allinea al principio secondo cui il giudice di merito ha il potere di fondare il proprio convincimento sulle prove che ritiene più attendibili, senza dover confutare ogni singolo elemento difensivo, purché la sua scelta sia logicamente motivata, come avvenuto nel caso di specie.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza rafforza un importante monito per i contribuenti: la forma non può mai prevalere sulla sostanza. La mera esistenza di una fattura e di un pagamento tracciabile non è una garanzia sufficiente per la deducibilità del costo se l’operazione sottostante è fittizia. In caso di contestazione per operazioni inesistenti, è fondamentale essere in grado di fornire prove concrete dell’effettività della prestazione ricevuta, come contratti, corrispondenza, report, bozzetti, testimonianze o qualsiasi altro elemento che possa dimostrare che il servizio è stato realmente eseguito e ha prodotto un’utilità per l’impresa.

Chi deve provare che un’operazione è inesistente in un contenzioso tributario?
Inizialmente, l’onere della prova spetta all’Amministrazione Finanziaria, che deve fornire elementi indiziari gravi, precisi e concordanti per dimostrare che l’operazione non è mai avvenuta. Successivamente, l’onere si sposta sul contribuente, che deve provare l’effettività della prestazione.

È sufficiente esibire la fattura e la prova del pagamento per dedurre un costo?
No. Secondo la Corte, l’esibizione della fattura e la dimostrazione della regolarità dei pagamenti non sono sufficienti a provare l’effettività dell’operazione, poiché questi documenti vengono spesso utilizzati proprio per simulare operazioni fittizie.

L’Amministrazione Finanziaria ha sempre l’obbligo di avviare un contraddittorio prima di emettere un avviso di accertamento?
No. La Corte ha ribadito che, per i tributi “non armonizzati” e nel caso di accertamenti basati su indagini “a tavolino” (cioè svolte presso gli uffici dell’Agenzia senza accesso presso la sede del contribuente), non sussiste un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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