Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3179 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 3179  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17653/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, con il quale è elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in virtù di procura speciale in calce al ricorso
-ricorrente-
 contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex  lege in  INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
 avverso SENTENZA  di COMM.TRIB.REG. UMBRIA  n. 18/2016 depositata il 20/01/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, esercente l’attività di agente di commercio per RAGIONE_SOCIALE, impugnava l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, notificato in data 02/10/2013, con il quale l’RAGIONE_SOCIALE Perugia accertava  per  l’anno  2008  un  maggior  reddito  imponibile  di  €
7.900,00 a seguito del disconoscimento della deducibilità di alcuni costi.
L’impugnazione del contribuente riguardava esclusivamente  l’importo  RAGIONE_SOCIALE  fatture,  emessa  da  tale  NOME COGNOME per “consulenze e progettazioni grafiche e telemarketing”, che  l’RAGIONE_SOCIALE  ha  ritenuto  relative  ad  operazioni oggettivamente inesistenti.
A  tale  riguardo  deduceva  che  le  prestazioni  svolte  dalla COGNOME  erano  effettive,  avendo  egli  necessità  di  avvalersi  di  un collaboratore  per  fissare  gli  appuntamenti  con  i  clienti  e  per preparare i bozzetti RAGIONE_SOCIALE inserzioni; deduceva inoltre plurimi profili di illegittimità dell’avviso sotto il profilo formale e procedimentale.
Le ragioni del contribuente non erano apprezzate nei gradi di merito.
 NOME  COGNOME  ricorre  avverso  la  sentenza  della  CTR dell’Umbria indicata in epigrafe con cinque motivi e l’Amministrazione resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunciano l’«Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti della sentenza di gravame, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n.5 c.p.c.:, in particolare in riferimento alla circostanza della irreperibilità della sig.ra COGNOME e alla mancanza di una reale attività economica esercitata dalla stessa» e la «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, c. 1 n. 3 c.p.c.: nello specifico, erronea applicazione alla fattispecie concreta della norma codicistica in punto di imputazione dell’onere della prova al contribuente anziché al fisco».
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la «Violazione di legge, ex art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c. in riferimento all’art. 32 DPR n. 600/73. Conseguente insufficienza e contraddittorietà della motivazione della sentenza di gravame circa la nullità dell’avviso di
accertamento per mancata attivazione del contraddittorio preventivo».
 Con  il  terzo  strumento  di  impugnazione  il  contribuente lamenta l’ «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, vizio di motivazione ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. – violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 2727 c.c.»
 Con  il  quarto  motivo  di  ricorso  si  censura  l’«Omessa pronuncia  ex  art.  112  c.p.c.  e  art.  350  n.  5)  c.p.c.-  inerente  la capacità contributiva del COGNOME».
 Con  il  quinto  motivo  il  ricorrente  denuncia  la  «Violazione art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. – in riferimento all’art. 132 c.p.c. e art. 118 norme  transitorie  (rectius  Disp  Att.  C.p.c.)  in  tema  di  adeguata motivazione della sentenza».
A fronte della specifica eccezione di inammissibilità del primo motivo di ricorso sollevata dall’Amministrazione, in via preliminare di rito, occorre rilevare che per questa Corte è ammissibile il ricorso per cassazione, il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., allorché esso comunque evidenzi specificamente la trattazione RAGIONE_SOCIALE doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. n. 8915/2018), essendo sufficiente che la formulazione del motivo consenta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, sì da consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., Sez. U., n. 9100/2015).
6.1.  Il  motivo,  laddove  denuncia  la  insufficiente  e  carente motivazione dell’avviso di accertamento, è per altro verso inammissibile, operando il limite della c.d. “doppia conforme” di cui
all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, espressamente eccepito dalla controricorrente e applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 9.03.2015, non avendo la ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di appello, erano fra loro diverse (ex multis, Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018).
6.2.  Il  motivo  è  altresì  infondato  laddove  lamenta,  sotto  il profilo della violazione di legge, il mancato rispetto RAGIONE_SOCIALE regole di distribuzione dell’onere probatorio tra Amministrazione e contribuente.
Al netto della genericità della censura, non ancorata a specifici parametri normativi, va rammentato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva (Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. n. 28628), ricorrendo alla prova che l’emittente è una «cartiera» o una «società fantasma», ciò essendo gravemente indiziario della oggettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, spettando poi al contribuente provare l’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni sottostanti; né tale onere può ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., Sez. V, 5 luglio 2018, n. 17619; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27554; Cass., Sez. V, 27 novembre 2019, n. 30937; Cass., Sez. V, 15 febbraio 2022, n.
4826; Cass., Sez. VI, 22 marzo 2022, n. 9304; Cass., Sez. V, 12 aprile 2022, n. 11737).
Va ancora rammentato che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., Sez., 1, 2/8/2016, n. 16056), e che la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass.,04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/11/2013, n. 24679; Cass., 16/12/2011, n. 27197; Cass., 07/02/2004 n. 2357).
6.3. Nel caso di specie, la CTR ha in primo luogo richiamato gli elementi dai quali l’Ufficio fa derivare l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, così riassunte: «1) nell’indirizzo indicato nelle fatture non è mai esistito alcuno studio pubblicitario della sig.ra COGNOME; 2) la COGNOME risulta irreperibile; 3) la COGNOME, a fronte della riscossione con bonifici o assegni, fa uscire contanti della stessa cifra a volte decurtati da una percentuale corrispondente al prezzo dell’operazione; 4) la COGNOME non esercita alcuna attività d’impresa in quanto non risultano a suo onere spese di telefono, luce o altri costi; 5) nel 2008,come già nel 2007, la COGNOME nel modello UNICO ha neutralizzato in ugual misura le operazioni attive e passive.» Ha
quindi rilevato che «gli elementi presuntivi sono connotati di gravità precisione e concordanza atteso che i documenti prodotti oltre ad essere esemplificativi, non erano riferibili all’anno 2008 né davano prova di riferibilità alle prestazioni rese dalla sig.ra COGNOME; irrilevanti sono poi le dichiarazioni rese dalla COGNOME in sede di procedimento penale a suo carico in quanto nessun puntuale riferimento risulta effettuato alle prestazioni fatturate al COGNOME, avendo la COGNOME stessa avuto il medesimo comportamento con un rilevante numero di ”utilizzatori” di fatture».
7. Il secondo motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito».
Dunque «non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai  fini  Irpeg  ed  Irap,  assoggettati  esclusivamente  alla  normativa nazionale,  vertendosi  in  ambito  di  indagini  cd.  a  tavolino»  (Cass. S.U. n. 24823/2015).
7.1. Nel caso di specie non vi era alcun obbligo di instaurazione  del  contraddittorio  preventivo  prima  dell’emissione dell’avviso  di  accertamento,  in  quanto  risulta  circostanza  pacifica che la verifica non si è svolta presso i locali del contribuente (Cass. S.U. n. 24823/2015). Al riguardo, non può, d’altro canto, trascurarsi  di  riflettere  ulteriormente  sul  fatto  che  Cass.  SU  n.
18184/13, nel definire il principio di diritto affermato (in merito alla nullità,  pur  non  espressamente  comminata,  dell’atto  impositivo emanato senza il rispetto del termine dilatorio di cui all’articolo 12, comma  7,  l.  n.  212/2000),  ha,  non  a  caso,  espressamente correlato la decorrenza del termine dilatorio, destinato all’espletamento  del  contraddittorio,  al  momento  del  rilascio  della copia del processo verbale di chiusura RAGIONE_SOCIALE operazioni.
Il terzo motivo, con il quale vengono dedotti plurimi profili di censura, è inammissibile per quanto attiene al denunciato vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, ostando il limite della c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, espressamente eccepito dalla controricorrente e applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 9.03.2015, non avendo la ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di appello, erano fra loro diverse (ex multis, Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018).
8.2. Il motivo è altresì infondato laddove intende censurare, in  relazione  all’art.  360,  comma  1,  n.  3  cod.  proc.  civ.,  la  falsa applicazione dell’art. 2727 cod. civ.
8.3. Come affermato da questa Corte (ex plurimis Cass. n. 20748 del 1/08/2019; Cass. n. 23860 del 29/10/2020; Cass. n. 27982 del 07/12/2020), la censura alla corretta applicazione, da parte del giudice a quo, dell’art. 2727 cod. civ., è infondata, laddove essa si sostanzia nella denuncia del contrasto della decisione impugnata con un principio, il cosiddetto «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena», la cui sussistenza nell’ordinamento è stata esclusa da questa Corte, secondo cui: «a) il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o «divieto
di doppie presunzioni» o «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena»), spesso tralaticiamente menzionato in varie sentenze, è inesistente, perché non è riconducibile né agli evocati artt. 2729 e 2697 cod. civ. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è stato più volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purché “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., può legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea -in quanto, a sua volta adeguata -a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. n. 18915, n. 17166, n. 17165, n. 17164, n. 1289, n. 983 del 2015)».
E’ stato in particolare evidenziato che «In tema di presunzioni, la prova inferenziale che sia caratterizzata da una serie lineare di inferenze, ciascuna RAGIONE_SOCIALE quali sia apprezzata dal giudice secondo criteri di gravità, precisione e concordanza, fa sì che il fatto “noto” attribuisca un adeguato grado di attendibilità al fatto “ignorato”, il quale cessa pertanto di essere tale divenendo noto, ciò che risolve l’equivoco logico che si cela nel divieto di doppie presunzioni.» (Cass. n. 27982 del 07/12/2020).
8.4. Inoltre, nel caso di specie, la censura attinge esclusivamente l’elemento presuntivo tratto dai prelievi in contanti operati  dalla  sig.ra  COGNOME  in  corrispondenza  dei  bonifici,  che costituisce  uno  solo  dei  molteplici  elementi  che  concorrono  alla argomentata e razionale ricostruzione del fatto posta in essere dai giudici di merito, in questa sede di legittimità non più censurabile.
Il quarto motivo, anch’esso inammissibile per le ragioni più volte  evocate  poiché  dedotto  in  termini  di  omessa  pronuncia  in relazione  all’art.  360,  comma  1,  n,  5  cod.  proc.  civ.,  non  coglie comunque  nel  segno  laddove  lamenta  il  mancato  riconoscimento dei costi scaturenti dai maggiori ricavi contestati.
9.1. Nella specie non sono state infatti contestate operazioni soggettivamente  inesistenti,    e  l’accertamento  non  è  stato  quindi
posto  in  essere  mediante  riconduzione  a  tassazione  di  maggiori ricavi  omessi,  a  fronte  dei  quali  potevano  essere  riconosciuti,  a date  condizioni,  i  costi  sostenuti  per  la  loro  produzione  e  ad  essi inerenti.
Sono stati al contrario disconosciuti alcuni costi contabilizzati, alla cui oggettiva inesistenza consegue la loro indeducibilità.
9.2. Del tutto velleitaria è pertanto la evocazione del contrasto con il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione.
 Inammissibile  è  anche  il  quinto  ed  ultimo  motivo  di ricorso,  mediante  il  quale  si  censura,  con  riferimento  all’art.  360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. la nullità della sentenza per carenza di motivazione.
A prescindere da ogni ulteriore valutazione, il motivo difetta di  qualsivoglia  specificità  rispetto  alle  specifiche  statuizioni  della sentenza  impugnata  laddove  il  ricorrente,  per  il  tramite  di  ampie digressioni dottrinali, denuncia genericamente la sentenza gravata con argomenti del tutto inconferenti rispetto alle specifiche statuizioni del provvedimento impugnato.
 In  conclusione,  il  ricorso  deve  essere  rigettato,  con conseguente  condanna  del  ricorrente  al  rimborso,  in  favore  della controricorrente,  RAGIONE_SOCIALE  spese  del  giudizio  di  legittimità,  che  si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 1.400,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà  atto  della  sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  da parte  del  ricorrente,  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 11/01/2024.