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Operazioni inesistenti: onere della prova del Fisco

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7974/2025, interviene sul tema delle operazioni inesistenti ai fini IVA. Il caso riguardava una società a cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita detrazione IVA per fatture emesse da fornitori fittizi. La Cassazione ha cassato la decisione di merito, chiarendo la ripartizione dell’onere della prova: spetta all’Amministrazione finanziaria provare, anche tramite presunzioni, la fittizietà del fornitore e gli indizi della consapevolezza dell’acquirente; a quel punto, grava sul contribuente l’onere di dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nella frode.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione Definisce l’Onere della Prova

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale per imprese e professionisti: la detrazione dell’IVA in caso di operazioni inesistenti. La decisione chiarisce in modo netto la ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, sottolineando l’importanza della diligenza per non perdere il diritto alla detrazione. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Una Contestazione sull’IVA

Una società operante nel settore delle pelli si è vista recapitare alcuni avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’Amministrazione contestava l’indebita detrazione dell’IVA relativa all’anno d’imposta 2015 per fatture ricevute da alcuni fornitori. Secondo il Fisco, tali transazioni erano “soggettivamente inesistenti”, ovvero le cessioni di beni erano state effettivamente realizzate, ma da soggetti diversi da quelli che avevano emesso le fatture, i quali erano mere società “cartiere” create per scopi fraudolenti.

Il Contenzioso nei Gradi di Merito

La società contribuente ha impugnato gli avvisi di accertamento e ha ottenuto una prima vittoria davanti alla Commissione Tributaria Provinciale. Anche la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado ha confermato la decisione, rigettando l’appello dell’Agenzia delle Entrate. I giudici di merito hanno ritenuto che l’Ufficio non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare che la società acquirente fosse consapevole di partecipare a una frode fiscale. Secondo la Corte d’Appello, gravava sull’Amministrazione l’onere di provare la malafede del contribuente, onere che non era stato assolto.

L’Onere della Prova nelle Operazioni Inesistenti: L’Analisi della Cassazione

L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando principalmente la violazione delle norme sull’onere della prova. La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza d’appello e stabilendo principi chiari sulla gestione probatoria delle operazioni inesistenti.

Il Principio di Diritto

La Cassazione ha ribadito il suo consolidato orientamento, in linea con la giurisprudenza europea. In tema di IVA e operazioni inesistenti, l’onere probatorio è così ripartito:

1. Amministrazione Finanziaria: Deve provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore (ad esempio, dimostrando che è una società “cartiera” priva di struttura e personale), ma anche fornire elementi oggettivi e specifici, anche in via presuntiva, dai quali emerga che il destinatario della fattura sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta.
2. Contribuente: Una volta che l’Agenzia ha fornito tali prove, l’onere si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare il contrario, ossia di aver agito in totale buona fede e di aver adoperato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per verificare la controparte e non essere coinvolto in operazioni fraudolente.

L’Errore della Corte di Appello

Secondo la Cassazione, i giudici di secondo grado hanno errato nel non applicare correttamente questo principio. Avevano infatti svalutato una serie di importanti indizi portati dall’Agenzia, come la mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali da parte di un fornitore, l’inoperatività di un’altra ditta all’indirizzo dichiarato, e anomalie nelle modalità di trasporto della merce. La Corte di merito aveva erroneamente ritenuto che il contribuente non fosse tenuto a compiere verifiche, scaricando interamente l’onere probatorio sull’Amministrazione.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha sottolineato che, in presenza di indizi che possano far sospettare un’irregolarità, l’imprenditore accorto ha il dovere di assumere le opportune informazioni sul proprio fornitore. Non è sufficiente limitarsi a ricevere la merce e pagare la fattura. La diligenza richiesta è “qualificata” e impone di adottare cautele per verificare l’affidabilità e la reale operatività della controparte commerciale. Svilire o ignorare gli elementi presuntivi forniti dall’Ufficio, come fatto dalla Corte d’Appello, costituisce una violazione delle regole sulla formazione della prova. Il fatto che il prezzo non fosse particolarmente vantaggioso o che le prestazioni fossero state effettivamente eseguite non sono, da soli, elementi sufficienti a escludere la consapevolezza della frode, specialmente di fronte a molteplici altri indizi di segno contrario.

Le Conclusioni

La Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado per un nuovo esame. Quest’ultima dovrà attenersi ai principi di diritto enunciati, valutando correttamente tutti gli elementi indiziari e ripartendo l’onere della prova come indicato. La decisione ribadisce un messaggio fondamentale per tutte le imprese: la lotta alle frodi IVA richiede un ruolo attivo anche da parte degli operatori economici, i quali devono adottare una condotta diligente e prudente nelle loro relazioni commerciali per tutelare il proprio diritto alla detrazione.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare cosa?
L’Amministrazione Finanziaria deve provare la fittizietà del fornitore e fornire indizi sulla consapevolezza della frode da parte dell’acquirente. Successivamente, l’onere passa al contribuente, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza e in buona fede per evitare di essere coinvolto.

Cosa deve fare un’azienda per dimostrare la propria buona fede e non perdere il diritto alla detrazione IVA?
L’azienda deve dimostrare di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto. Questo significa, in presenza di indizi di anomalia, assumere opportune informazioni sul fornitore, verificandone l’effettiva esistenza e operatività, per evitare di partecipare a un’evasione fiscale.

La semplice effettiva esecuzione di una prestazione è sufficiente a provare la buona fede dell’acquirente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’effettiva esecuzione della prestazione è un elemento considerato insignificante ai fini della prova della conoscibilità della frode in un contesto di operazioni soggettivamente inesistenti, soprattutto se sono presenti altri elementi presuntivi che indicano un meccanismo fraudolento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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