Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7974 Anno 2025
Oggetto: Tributi
Operazioni soggettivamente Relatore: COGNOME NOME
inesistenti- prova
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7974 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
consapevolezza
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 22709 del ruolo generale dell’anno 202 3, proposto Da
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.to NOME COGNOME giusta procura speciale su foglio separato in calce al controricorso, elettivamente domiciliata presso NOME COGNOME in Roma alla INDIRIZZO
per la cassazione della sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania, n. 3256/12/2023, depositata in data 18 maggio 2023, non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 marzo 2025 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
RILEVATO CHE
1.L’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe con cui la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania aveva rigettato l’appello proposto nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 553/02/2021 della Commissione Tributaria Provinciale di Avellino che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta società avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio aveva contestato, per il 2015, l’indebita detrazione Iva in relazione a fatture emesse da alcune ditte fornitrici (NOME COGNOME di NOME, GF di NOME COGNOME e import-export di COGNOME NOME) per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti.
La società contribuente resiste con controricorso illustrato con successiva memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 36 del d.lgs. n. 546/92 in combinato con l’art. 132, comma 1, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. per avere la CGT di secondo grado, acriticamente aderendo alla decisione di primo grado, ritenuto apoditticamente che l’Ufficio non aveva fornito la prova della consapevolezza della società della frode fiscale, senza spiegare, in relazione ai motivi di appello proposti, le ragioni della asserita inidoneità degli elementi
presuntivi dedotti dall’Amministrazione circa detta consapevolezza emergenti dalla documentazione di trasporto ( ad es. ritiro delle merci presso terzi soggetti con i quali le ditte fornitrici non avevano alcun rapporto; assenza di firme e timbri sui documenti di trasporto) né tantomeno esplicitare le ragioni per cui l’inesistenza delle ditte fornitrici (per mancanza di strutture, di personale dipendente, di immobili e utenze intestate etc.) non avrebbe avuto rilevanza.
1.1.Il motivo è infondato.
1.2.La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., 5 luglio 2022, n. 21302; Cass., 1 marzo 2022, n. 6758, Sez. 5, Ordinanza n. 6044 del 2024).
1.3. La sentenza impugnata, lungi dal contenere una motivazione meramente per relationem alla decisione di primo grado, consente di ricostruire il percorso logico-giuridico ( al di là della sua fondatezza) seguito dal giudice di appello e rende possibile il controllo sull’esattezza del ragionamento decisorio che ha condotto, in relazione ai motivi di appello proposti dall’Ufficio (v. stralcio dell’atto di gravame riprodotto a pagg.9 e segg. del ricorso), al rigetto dell’impugnazione. In particolare, nella sentenza impugnata, in punto di diritto, il giudice di appello ha confermato la sentenza di primo grado fondata sulla assenza di prova da parte dell’Amministrazione della consapevolezza della frode fiscale da parte della contribuente. In particolare, ad avviso della Corte di giustizia di II grado, la sentenza di primo grado aveva correttamente valorizzato elementi dai quali emergeva il mancato assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere della prova circa la consapevolezza della frode da parte della contribuente; in particolare: 1) la contribuente non poteva sapere che il fornitore (GF di NOME COGNOME), per l’anno 2015, non aveva effettuato le dichiarazioni fiscali; 2) la contribuente
non poteva essere a conoscenza del fatto che alcune fatture presentavano lo stesso numero ma erano intestate a clienti diversi e, comunque, le fatture emesse nei confronti della contribuente avevano tutte numeri diversi; 3)le argomentazioni dell’Ufficio ap pellante circa la natura di cartiere delle ditte fornitrici non rilevavano ai fini del decidere trattandosi di operazioni solo soggettivamente inesistenti; 4) non rilevava l’argomento per cui, quanto ai rapporti con il fornitore COGNOME, il ritiro della merce veniva effettuato presso un soggetto con il quale, da interrogazioni effettuate all’applicativo ‘Spesometro integrato’, il Guacci non aveva alcun rapporto, atteso che trattavasi di circostanza non a conoscenza della contribuente e della cui ricerca ques t’ultima non era onerata a fronte della effettiva esecuzione delle prestazioni; 5) l’elevato fatturato della contribuente costituiva un argomento valorizzato dal giudice di prime cure soltanto ad colorandum; 6) la circostanza della dedotta assenza di un vantaggio economico in capo alla contribuente – la quale non aveva beneficiato di prezzi più competitivi rispetto a quelli di mercato – non era stata superata dall’appellante; 7) non era corretto fare discendere la consapevolezza circa la frode dalla mancata effettuazione di ricerche presso la Camera di commercio sull’esistenza o meno di dipendenti presso il fornitore in assenza di elementi che dovessero indurre la contribuente in dubbio; 8) non si poteva pretendere dalla contribuente che la stessa effettuasse ricerche sugli acquisti da parte dei fornitori, non avendo essa i mezzi di indagine dell’Ufficio. La motivazione è pertanto conforme al ‘minimo costituzionale’ di cui all’art. 111, sesto comma, Cost. (cfr. Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053, nonché, ex multis : Cass., 07/04/2021, n. 9288; Cass., 30/06/2020, n. 13248).
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 54, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 2697 c.c. per avere la CGT di secondo grado ritenuto non assol to dall’Amministrazione l’onere probatorio circa la consapevolezza della frode da parte della società contribuente, da un lato, svilendo gli elementi presuntivi circa la conoscenza/conoscibilità dedotti dall’Ufficio ( per quanto riguardava i rapporti con il fornitore COGNOME ritiro delle
merci presso terzi soggetti con i quali la ditta fornitrice non aveva alcun rapporto; assenza di firme e timbri sui documenti di trasporto; mancata operatività della ditta RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME presso l’indirizzo dichiarato alla CCIAA; rapporti commerciali iniziati nel 2015, data di costituzione delle ditte fornitrici) e, dall’altro, considerando del tutto irrilevante, sotto questo profilo, la fittizietà delle ditte fornitrici, qualificate come cartiere dall’Ufficio, trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti. Peraltro, il giudice di appello, avrebbe ritenuto irrilevante la mancata effettuazione di ricerche da parte della contribuente presso la Camera di commercio ‘in assenza di elementi che dovessero indurre la in dubbio’ laddove la società era onera ta, comunque, a provare di avere adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, dovendo sussistere elementi concreti dai quali potere rilevare la non conoscibilità da parte della medesima del meccanismo fraudolento.
2.1.Preliminarmente va disattesa l’eccezione d’inammissibilità che la controricorrente prospetta con riferimento ai motivi di ricorso in esame in base alla considerazione che l’Agenzia tenderebbe ad ottenere la rivalutazione del merito; in realtà, la ricorrente non ha contestato la ricostruzione in fatto operata in sentenza, ma la violazione delle norme in tema di riparto dell’onere della prova e di formazione del giudizio sulla prova presuntiva con riguardo ad operazioni soggettivamente inesistenti.
2.2. Il motivo è fondato.
2.3.In tema di operazioni soggettivamente inesistenti, sulla scia della giurisprudenza unionale (Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14), questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto
esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. Sez. 5, n. 9851 del 20/04/2018; Sez. 5, n. 27566 del 30/10/2018; Cass, sez. 5, 18 dicembre 2019, n. 33598; Cass. Sez. 5, Ord. n. 15369 del 20/07/2020; n. 28562 del 2021).
Come chiarito da questa Corte (Cass., sez. 5, 20/04/2018, n. 9851; da ultimo Cass., sez.5., n. 10651 del 2024), la prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale, ossia che il soggetto formale non è quello reale e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione I.V.A. e, a tale ultimo fine, non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione, ma è sufficiente e necessario che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole ; con riguardo a tale ultima circostanza, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, deve essere soddisfatta l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l’operazione si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’I.V.A. (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, COGNOME e NOME, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14).
2.4.Con riguardo al “tipo” di prova incombente sull’Amministrazione si è precisato che essa può ritenersi raggiunta se quest’ultima fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova “certa” e incontrovertibile di ogni operazione e dettaglio: l’Amministrazione può assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni , come prevede per l’I.V.A. il D.P.R. n. 633 del 1973, art. 54, comma 2, e mediante elementi indiziari (Cass., sez. 5, 5/12/2014, n. 25778; Cass., sez. 5, 24/09/2014, n. 20059; Cass., sez. 6-5, 7/06/2017, n. 14237; Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C-440/14; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, COGNOME e NOME, C-80/11 e C-142/11) che il contribuente al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei a “porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” (Corte di Giustizia, 6 dicembre 2012, Bonik, C285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C 277/14, par. 50).
2.5.La Corte di Giustizia, con riguardo alla prova sull’elemento soggettivo del cessionario, ha escluso la compatibilità con il diritto unionale di una previsione di legge nazionale che consideri inesistente, in base a criteri predeterminati, il soggetto emittente la fattura e, di conseguenza, neghi al destinatario il diritto a detrazione, sottolineando che “il criterio dell’esistenza del fornitore dei beni o del suo diritto ad emettere fatture… .non figura tra le condizioni del diritto alla detrazione”, rilevando esclusivamente che egli abbia “la qualità di soggetto passivo” (Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C- 277/14); ne consegue che spetta all’Amministrazione dimostrare, e al giudice verificare, “alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche che non gli incombono, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata per fondare il suo diritto alla detrazione si iscriveva in un’evasione dell’I.V.A.” (Cass. n. 9851 del 2018, cit.); ciò comporta che non è possibile fissare in via astratta e preventiva circostanze che ostino al
riconoscimento del diritto alla detrazione (Corte di Giustizia 15 novembre 2017, Rochus e RAGIONE_SOCIALE, C-374/16 e C-375/16; Corte di Giustizia 7 settembre 2017, Equionn, C-6/16, che ha precisato che “le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, ad un esame complessivo dell’operazione interessata”).
2.6.L’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario deve, dunque, essere ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta alla Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’I.V.A. e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare (Cass. n. 9851 del 2018, cit.; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27566; Cass., sez. 5, 20/07/2020, n. 15369). Pertanto, sebbene al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali ed operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità ed ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore del mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo (Cass., sez. 5, 2/12/2015, n. 24490; Cass. sez. 5, n. 30936 del 2022). Ne consegue che la sussistenza di indizi, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere le opportune informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi (Cass., Sez. V, 4 luglio 2022, n. 21072; Cass., Sez. V, 2 dicembre 2021, n. 38012; Cass., Sez. V, 16 novembre 2021, n. 34531; Cass., Sez. VI, 3 giugno 2021, n. 15356; Cass., Sez. V, 3 marzo 2021, n. 5748; Cass., Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 25779). Il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una
frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso), sia indirettamente, attraverso l’esame delle modalità con le quali si è estr insecato il rapporto commerciale con l’emittente (Sez. 5, Ordinanza n. 28165 del 2022).
2.7.Questa Corte ha precisato che in tema di evasione dell’IVA a mezzo di frodi carosello, quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assog gettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata , mentre spetta al contribuentecessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta (Cass. n. 10120 del 2017; Cass. sez. 5, n. 35591 del 2023; Cass. n. 23478 del 2023; Cass., sez.5., n. 10651 del 2024).
2.8.Raggiunta tale prova, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare, oltre all’effettività del cedente, la propria buona fede, ossia di ” avere agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a far insorgere il sospetto”, stante la inesigibilità di ulteriori verifiche (Cass. Sez. U, 12/09/2017, n. 21105; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27566; Cass., sez. 5, 20/07/2020, n. 15369; Cass., sez. 6-5, n. 13409 del 2021); il contribuente, in altri termini, può dimostrare sia l’anomalia degli elementi posti in evidenza dal Fisco, sia l’attività preventiva posta in essere da cui emergeva
l’effettività ed operatività dell’impresa interposta. Risulta, invece, priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture e sulle evidenze contabili dei pagamenti, quanto sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio, e ciò in quanto le prime circostanze sono già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, mentre l’ultima si riferisce ad un dato di fatto esterno alla fattispecie, inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità alla frode (Cass., sez. 5, 24/09/2014, n. 20059; Cass., sez. 5, 14/01/2015, n. 428; Cass., sez. 6-5, 5/12/2017, n. 29002; Cass., sez. 6-5, n. 13409 del 2021; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14, che afferma che “in circostanze del genere il soggetto passivo deve essere considerato…partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle”).
2.9. Nella sentenza impugnata, il giudice di appello non si è attenuto ai suddetti principi, in quanto -in violazione del criterio di riparto dell’onere della prova e delle norme in tema di formazione della prova presuntiva -ha ritenuto non assolto dall’Amministrazione l’onere della prova circa la consapevolezza da parte della contribuente del meccanismo fraudatorio, da un lato, svilendo e/o omettendo di valutare gli elementi presuntivi dedotti dall’Amministrazione pur riportati nella parte in fatto della decisione -(mancata presentazione, per il 2015, delle dichiarazioni fiscali da parte del fornitore RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME; mancata operatività della ditta presso l’indirizzo dichiarato alla CCIAA; rapporti commerciali iniziati nel 2015, data di costituzione delle ditte fornitrici; per quanto riguardava i rapporti con il fornitore COGNOME, ritiro delle merci presso terzi soggetti con i quali la ditta fornitrice non aveva alcun rapporto; assenza di firme e timbri su alcuni documenti di trasporto) nel l imitarsi ad affermare che ‘ la contribuente non poteva essere a conoscenza che il fornitore, per l’anno 2015, non effettuava le prescritte dichiarazioni fiscali ;’ ‘ in relazione al fatto che alcune fatture presentavano lo stesso numero ma erano intestate a clienti diversi la sentenza correttamente argomentava che la contribuente non poteva conoscere detta circostanza e che, comunque, le fatture emesse nei
confronti della ricorrente avevano tutte numeri diversi ‘; ‘ nemmeno appare cogliere nel segno, per quanto riguarda i rapporti con il fornitore COGNOME, l’argomento per cui il ritiro della merce veniva effettuato presso un terzo soggetto con il quale da interrogazioni effettuate all’applicativo Spesometro integrato emergeva che il COGNOME non aveva alcun rapporto. Non poteva ritenersi, infatti, che il contribuente fosse a conoscenza di tali elementi né che fosse onerato alla relativa ricerca a fronte del fatto che le prestazioni erano state effettivamente rese ‘ ; con ciò senza fare buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., sez. 5, ord. 19352 del 2018, Cass., sez. 6-5, n. 10973/2017; Cass., sez. 5, n. 1715/2007), dando rilievo per lo più all’elemento insignificante, sotto questo profilo della prova della conoscibilità della frode, dell’effettiva esecuzione delle prestazioni, trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti ; dall’altro, il giudice di appello ha rit enuto che ‘ tutte le argomentazioni spese dall’appellante intorno alla natura di cartiere delle fornitrici non assumevano rilievo ai fini del decidere ‘ atteso che ‘ trattandosi di operazioni solo soggettivamente inesistenti, non era questo il dato in discussione ‘; ciò sebbene, in base alla giurisprudenza sopra richiamata, nelle operazioni -come nella specie, avuto riguardo alla sentenza impugnata e a quanto dedotto in ricorso e controricorso di tipo triangolare, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario del meccanismo fraudolento potesse essere soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata. Né il fatto che il prezzo applicato alla merce non fosse risultato più competitivo rispetto a quello di mercato (‘ la dedotta assenza di un vantaggio economico da parte del contribuente che non aveva beneficiato di prezzi più competitivi rispetto a quelli di mercato non appariva superata dall’appello dell’Ufficio ‘) poteva costituire circostanza di per sé sufficiente ( tenuto conto degli altri elementi presuntivi dedotti dall’Ufficio) ad escludere l’assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere della prova circa la consapevolezza della frode da parte della contribuente. Peraltro, la CGT di II
grado ha ritenuto, comunque, sul piano del l’onere della prova contraria, in capo alla contribuente, che ‘ non era corretto fare discendere la consapevolezza circa la frode dalla mancata effettuazione di ricerche presso la Camera di commercio sull’esistenza o meno di dipendenti presso il fornitore, in assenza di elementi che dovessero indurre la contribuente in dubbio ‘; ‘ né si poteva pretendere dalla contribuente che la stessa effettuasse ricerche sugli acquisti da parte dei fornitori non avendo essa i mezzi di indagine dei quali l’Ufficio era dotato ‘ ; ciò, in violazione dei principi di diritto sopra richiamati, gravando sul contribuente – a fronte di diversi elementi presuntivi che consentivano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera del fornitore – la prova contraria di avere adoperato la diligenza massima esigibile (c.d. ‘qualificata’) da un operatore accorto, assumendo le opportune informazioni sul soggetto dal quale intendeva acquistare beni o servizi (peraltro, sotto questo profilo, lo stesso giudice di appello riportava nella parte in fatto della sentenza la circostanza secondo cui la visura camerale prodotta dalla società fosse datata 31.12.2020 e, dunque, acquisita in epoca successiva all’annualità di imposta verificata).
3.In conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, respinto il primo, e la sentenza va cassata- in relazione al motivo accolto- con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, che, decidendo in diversa composizione, si conformerà agli indicati principi e provvederà anche sulle spese della presente fase.
P.Q. M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata- in relazione al motivo accolto- e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione;
Così deciso in Roma il 13 marzo 2025