Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23299 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23299 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 14/08/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 8893-2020, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
COGNOME NOME COGNOME cf. CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
Controricorrente Avverso la sentenza n. 10213/11/2018 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 27.11.2018; adunanza camerale del 30 aprile udita la relazione della causa svolta nell’ 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza impugnata si evince che l’Agenzia delle entrate notificò a COGNOME Vincenzo, titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, l’avviso
Operazioni oggettivamente inesistenti – Configurabilità – Limiti
d’accertamento con cui, in relazione agli anni d’imposta 2011 e 2012, recuperò imponibile a titolo di imposte dirette ed Iva, imputando l’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. Nello specifico, a seguito di verifica presso la ditta del De Lucia, l’Ufficio riscontr ò numerose fatture passive emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, relative a prestazioni di servizi, subappaltati alla società dalla RAGIONE_SOCIALE, a sua volta appaltatrice della RAGIONE_SOCIALE e consistenti nel riempimento di bombole di ossigeno, da destinarsi a cure medicali presso pazienti o strutture sanitarie, nonché nel trasporto delle bombole piene. l’Ufficio disconobbe la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’iva applicata su lle suddette prestazioni, formalmente eseguite dalla società RAGIONE_SOCIALE, di cui il COGNOME risultava socio al 50% del capitale, nonché suo amministratore, ma che in realtà, secondo l’esito della verifica, condiviso dall’ente imposit ore, non era effettivamente operante, non possedendo beni strumentali idonei all’esecuzione delle prestazioni rese in favore della ditta individuale, ossia mezzi e personale per il caricamento delle bombole e per i numerosi trasporti quotidiani dei rifornimenti terapeutici ai pazienti indicati dalla ASL. D’altronde, lo stesso tipo di prestazioni era stato reso negli anni precedenti dalla ditta individuale del De Lucia alla Lindel RAGIONE_SOCIALE, avvalendosi per il trasporto di ‘padroncini’ di automezzi, così come dei medesimi autotrasportatori risultava avvalersi la RAGIONE_SOCIALE L’Amministrazione finanziaria , ritenne dunque che le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE avessero il solo scopo di far emergere costi da dedurre ai fini delle imposte dirette ed iva da detrarre, mediante fatturazione di operazioni oggettivamente inesistenti. Furono anche disconosciuti costi dichiarati per spese di rappresentanza e manutenzione di automezzi, dei quali se ne contestava l’inerenza.
La A.R.CAM del COGNOME propose ricorso avverso gli atti impositivi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Benevento, che con sentenza n. 713/04/2017 rigettò le ragioni del contribuente.
L’appello proposto dal COGNOME dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania fu in parte accolto con sentenza n. 10213/11/2020.
Il giudice regionale, dopo aver riassunto i fatti e riportato le rispettive difese, ha ritenuto che la contestazione erariale, di operazioni oggettivamente inesistenti poste formalmente in essere tra la RAGIONE_SOCIALE e la
ditta individuale del COGNOME, non trovasse riscontri. Ha rilevato che le operazioni di imbottigliamento dell’ossigeno fornito dalla RAGIONE_SOCIALE, società che aveva affidato alla RAGIONE_SOCIALE i servizi da quest’ultima subappaltati poi alla RAGIONE_SOCIALE, ed il trasporto delle bombole piene ai pazienti e/o alle strutture sanitarie a mezzo de i ‘padroncini’ COGNOME e COGNOME , erano effettive e non inesistenti. Ha infatti affermato che quelle prestazioni erano comunque effettivamente eseguite, essendo compatibili con il dipendente incontestabilmente retribuito dalla RAGIONE_SOCIALE, così come con il servizio di trasporti, eseguito anche a mezzo dei medesimi autotrasportatori, che in precedenza avevano avuto rapporti con la ditta individuale. Di contro ha ritenuto irrilevanti le allegazioni erariali, ossia le dichiarazioni rese in sede di verifica dai due autotrasportatori, la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE fosse in realtà una società controllata dalla RAGIONE_SOCIALE del De Lucia, che mancasse un contratto scritto con cui quest’ultima affidava i servizi alla RAGIONE_SOCIALE, e che comunque non vi fossero riscontri di autorizzazioni rilasciate dalla appaltante RAGIONE_SOCIALE Ha invece rigettato il ricorso del COGNOME quanto al disconoscimento delle spese di rappresentanza e di manutenzione di automezzi.
Avverso la sentenza, per quanto soccombente, l ‘Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso il COGNOME.
Nell’adunanza camerale del 30 aprile 2025 la causa è stata discussa e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle entrate ha denunciato:
con il primo motivo la ‘ Nullità della sentenza. Grave illogicità. Motivazione apparente. Violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c e 36 DLG 546/1992’, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cpc. Il giudice d’appello avrebbe seguito un ragionamento gravemente illogico, che, senza apprezzare le emergenze probatorie fornite dall’ufficio -esistenza di un unico titolare per entrambe le imprese, inesistenza di beni strumentali e di personale adeguato alla esecuzione delle prestazioni di servizi-, avrebbe assunto una decisione solo apparentemente motivata.
RGN 8893/2020 Consigliere rel. NOME Con il secondo motivo la ‘ Nullità della sentenza. Grave illogicità. Motivazione apparente. Violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c e 36 DLG
546/1992′, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cpc. Il giudice regionale avrebbe motivato solo apparentemente la decisione per aver ritenuto priva di rilevanza la circostanza che il contratto intervenuto tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE non fosse stato formalizzato in alcun atto scritto, né autorizzato formalmente dalla RAGIONE_SOCIALE senza tener conto che si trattava, peraltro, di rapporti commerciali aventi ad oggetto pubbliche forniture sanitarie.
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente per essere accomunati da una critica generale alla pronuncia sotto il profilo del vizio di nullità processuale della sentenza per motivazione apparente, sono infondati.
Questa Corte ha chiarito che sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sulla correttezza del suo ragionamento (Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232; cfr. anche 23 maggio 2019, n. 13977; 1 marzo 2022, n. 6758). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione è apparente anche quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., 1 marzo 2022, n. 6758; 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921). È altrettanto apparente ogni qual volta evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione del quadro probatorio (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819), oppure quando carente nel giudizio di fatto, così che la motivazione sia basata su un giudizio generale e astratto (Cass., 15 febbraio 2024, n. 4166).
Nel caso di specie la Commissione regionale ha esaminato le ragioni d’appello; ha descritto le attività affidate alla RAGIONE_SOCIALE dalla A.R.CAM. del COGNOME; ha apprezzato, rispetto alle difese allegate dalle rispettive parti, quelle
evidenziate dal contribuente, escludendo che le operazioni fossero oggettivamente inesistenti. Ha sia pur sinteticamente spiegato perché di contro gli elementi allegati dalla difesa erariale non fossero persuasivi o significativi.
Le conclusioni, cui il giudice d’appello è pervenuto, possono non essere condivise dall’ Amministrazione finanziaria, ma non per questo la pronuncia può considerarsi solo apparentemente motivata.
Al contrario, essa, a prescindere da ogni valutazione di merito, è sostenuta da una motivazione sufficiente e chiara per la comprensione dei fatti e delle ragioni giustificative delle conclusioni cui è pervenuto il giudice d’appello .
D’altronde, e per mera completezza, è appena il caso di ribadire che compito del giudice è quello di esprimere una valutazione esaustiva in ordine alla fondatezza o meno delle ragioni, fattuali e giuridiche, addotte dalla parte nel processo, senza necessariamente rispondere a ciascuna delle censure o argomentazioni sollevate.
La giurisprudenza di legittimità sul punto ha chiarito che nella redazione della motivazione della sentenza il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, essendo, invece, necessario e ad un tempo sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., che esponga in maniera concisa gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con il percorso argomentativo seguito (Cass., 20 novembre 2009, n. 24542; 2 dicembre 2014, n. 25509; 9 febbraio 2021, n. 3126, le ultime due con riguardo agli obblighi di motivazione del giudice d’appello). Ancora, il principio risulta ulteriormente esplicitato quando si afferma che ai fini dell’adeguata motivazione della sentenza, secondo le indicazioni desumibili dal combinato disposto dagli artt. 132, secondo comma, n. 4, 115 e 116 cod. proc. civ., è necessario che il raggiunto convincimento del giudice risulti da un esame logico e coerente di quelle che, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo, mentre non si deve
dar conto dell’esito dell’esame di tutte le prove prospettate o comunque acquisite (Cass., 4 marzo 2011, n. 5241).
Se poi con i due motivi esaminati la ricorrente abbia inteso sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio confluito nel processo, ciò costituirebbe una istanza inammissibile in sede di legittimità, essendo attività riservata al solo giudice di merito.
I motivi vanno dunque rigettati.
Con il terzo motivo l’Agenzia delle entrate si duole della ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 109, co. 4, TUIR, degli artt. 19 e 21 DPR n. 633/72, nonché degli artt. 2697 e 2729 c.c.’ in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
La sentenza d’appello sarebbe viziata per violazione d elle regole giuridiche relative alla disciplina sulle prove, anche presuntive, errando il giudice d’appello nell’affermare che il ‘castello accusatorio’ era basato sulla sola circostanza che la RAGIONE_SOCIALE fosse società controllata dal medesimo titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE nonché su alcune dichiarazioni rese in sede di verifica dai due autotrasportatori, che apparivano già ‘neutre’ rispetto all’ipotesi accusatoria.
Sostiene invece la ricorrente che l’impianto accusatorio dell’ufficio era ben più articolato. A tal fine evidenzia che era senz’altro compito dell’erario dimostrare la falsità delle fatture e l’inesistenza delle operazioni commerciali fatturate, ma che, una volta offerta questa prova, doveva essere onere del contribuente provare la esistenza effettiva delle operazioni contestate. La valutazione complessiva spettava poi all’organo giudicante, tenuto a scandagliare le prove e la rispettiva coerenza, precisione e gravità. Nel caso di specie, prosegue il motivo di ricorso, l’ Erario aveva fornito le prove dei fatti sintomatici dell ‘ inesistenza delle operazioni, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (assenza di strutture commerciali ed organizzative, assenza di locali idonei, assenza di documentazione attestante i trasferimenti della merce o l’esecuzione dei servizi, anomale modalità di acquisto o pagamento, ecc.). Su tali elementi nel caso di specie l’Amministrazione finanziaria assume di aver fondato la contestazione della oggettiva inesistenza delle operazioni.
Il motivo, quando non inammissibile, è infondato, sebbene la motivazione del giudice d’appello vada in parte integrata.
A parte, infatti, che con il motivo così enunciato la ricorrente insiste nel tentativo di rimettere in discussione la valutazione delle prove, in ogni caso, anche sul piano astratto, il motivo è errato.
Se è infatti vero che i criteri di riparto dell’onere probatorio in tema di operazioni inesistenti sono quelli descritti dalla difesa erariale, e in questo il ragionamento del giudice regionale mostra di non aver tenuto adeguatamente conto delle regole in materia enunciate dalla giurisprudenza di legittimità, è altrettanto vero che quegli elementi possono essere comuni tanto alle operazioni oggettivamente inesistenti, per le quali l’elemento dirimente è infine la dimostrazione che alcuna operazione economica sia mai venuta ad esistenza, quanto alle operazioni soggettivamente inesistenti, in cui la società interposta può essere inesistente (o comunque non operativa quanto alle specifiche attività sottoposte a controllo), ma le operazioni sono effettivamente intervenute tra il destinatario, acquirente di un bene o committente di un servizio, ed un terzo soggetto, che falsamente risulta aver ceduto quel bene o prestato un servizio alla società interposta, ma in realtà ha provveduto in tal senso rispetto al l’effettivo destinatario.
Le fattispecie relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, mai eseguite, e soggettivamente inesistenti, effettivamente eseguite, sebbene tra soggetti diversi da quelli formalmente e apparentemente coinvolti, non sono sovrapponibili, costituendo fattispecie ontologicamente distinte, così che , una volta contestata nell’atto impositivo una delle due modalità, la stessa non è intercambiabile con l’altra nel corso della controversia successivamente instaurata.
Nel caso di specie il giudice regionale ha affermato che le operazioni erano effettivamente avvenute, e questo, a prescindere dalla diversa e più approfondi ta ponderazione degli elementi allegati dall’ufficio, porta va comunque ad escludere l ‘ inesistenza ‘ oggettiva ‘ specificamente contestata nell’avviso d’accert amento.
D’altronde, per quanto chiarito, proprio la pacifica esistenza di più soggetti coinvolti nella vicenda, la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE del De Lucia, la RAGIONE_SOCIALE, gli autotrasportatori, confermano, anche solo sul piano formale, la struttura tipica e più semplice delle operazioni soggettivamente inesistenti. Non solo, la conferma trova riscontro proprio nei separati giudizi pendenti presso questa Corte, instaurati tra la RAGIONE_SOCIALE e l’Agenzia delle
entrate, sottoposti al vaglio di questo collegio nella stessa adunanza camerale, iscritti nel R.G con nn. 27657/2021 e 11831/2024, per i quali l’ Erario ha correttamente contestato alla società operazioni soggettivamente inesistenti per i medesimi fatti e per le medesime annualità.
Da ciò si evince anche la contraddittorietà di una contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e di operazioni oggettivamente inesistenti per la A.R.CAM del De Lucia, pur essendo inequivocabile che in entrambe le prospettive tra le due entità commerciali la società RAGIONE_SOCIALE fungesse da società interposta.
Anche il terzo motivo è dunque infondato e va rigettato.
In definitiva il ricorso va rigettato. All’esito del giudizio segue la soccombenza della ricorrente nelle spese di causa, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore del COGNOME NOME, che si liquidano in € 6.000,00 per competenze, € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, determinate nel 15% delle competenze, e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il giorno 30 aprile 2025