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Operazioni inesistenti: l’onere della prova del Fisco

La Corte di Cassazione ha stabilito i principi sull’onere della prova in caso di operazioni soggettivamente inesistenti. L’Agenzia delle Entrate deve provare, anche tramite presunzioni, l’esistenza della frode e la conoscibilità da parte dell’acquirente. A quel punto, spetta al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto, non essendo sufficiente la sola regolarità formale dei documenti contabili. La Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva erroneamente addossato l’intero onere probatorio sull’Amministrazione Finanziaria.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: la Cassazione chiarisce l’Onere della Prova

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale per ogni imprenditore: la detrazione dell’IVA in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti. Questa pronuncia definisce con chiarezza i confini dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, sottolineando che la semplice regolarità formale dei documenti non basta a salvarsi da contestazioni per frode fiscale.

I Fatti del Caso: una Frode Carosello nel Settore Elettronico

Il caso riguarda una società operante nel commercio all’ingrosso di componenti elettronici. L’Agenzia delle Entrate contestava alla società l’indebita detrazione dell’IVA relativa a fatture emesse da un fornitore risultato essere una “società cartiera”.

Secondo la ricostruzione del Fisco, il fornitore era una società fittizia che acquistava merce da operatori esteri (senza applicazione dell’IVA), per poi rivenderla alla società contribuente applicando l’imposta, senza però mai versarla all’Erario. La società acquirente, invece, portava in detrazione l’IVA addebitata in fattura, realizzando così il meccanismo tipico delle “frodi carosello”.

Il Percorso Giudiziario e l’Errore della Commissione Tributaria Regionale

Nei primi due gradi di giudizio, le commissioni tributarie avevano dato ragione al contribuente. In particolare, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva respinto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, sostenendo che l’Ufficio non avesse provato la “connivenza” dell’acquirente nella frode. La CTR aveva ritenuto sufficienti, per dimostrare la buona fede della società, elementi come i minimi scostamenti di prezzo rispetto ad altri fornitori e il pagamento regolare delle fatture con mezzi tracciabili.

Le Motivazioni della Cassazione: la ripartizione dell’onere probatorio nelle operazioni soggettivamente inesistenti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ribaltando la decisione della CTR e chiarendo la corretta ripartizione dell’onere della prova.

L’onere iniziale dell’Amministrazione Finanziaria

In primo luogo, spetta all’Amministrazione Finanziaria provare, anche tramite presunzioni, l’esistenza dello schema fraudolento. Questo include la dimostrazione che:
1. L’operazione è soggettivamente inesistente, ovvero il fornitore indicato in fattura non è il reale venditore.
2. L’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

Per adempiere a questo onere, il Fisco può utilizzare una serie di indizi, come l’assenza di una reale struttura operativa del fornitore (la cosiddetta “società cartiera”), la mancanza di personale, l’applicazione di prezzi anomali o l’immediatezza dei rapporti commerciali.

L’onere della prova contraria a carico del contribuente

Una volta che l’Agenzia ha fornito elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo non può limitarsi a dimostrare la regolarità formale della contabilità e dei pagamenti. Deve, invece, provare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nella frode.

La Corte ha specificato che elementi come la regolare registrazione delle fatture e i pagamenti tracciabili sono irrilevanti per dimostrare la buona fede, poiché sono circostanze normali in qualsiasi transazione commerciale. La vera prova consiste nel dimostrare di aver adottato tutte le cautele ragionevoli per verificare l’effettiva esistenza e affidabilità del fornitore.

Le Conclusioni: Diligenza Massima come Scudo Contro le Frodi

La decisione della Cassazione invia un messaggio chiaro agli imprenditori: per garantire il diritto alla detrazione IVA, non è sufficiente una condotta passiva. È necessario un approccio proattivo e diligente nella scelta e nella verifica dei propri partner commerciali. Ignorare segnali di anomalia o limitarsi a un controllo formale espone al grave rischio di essere considerati, se non complici, quantomeno colpevolmente negligenti e di vedersi negato il diritto alla detrazione dell’imposta. La sentenza impugnata è stata quindi cassata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria per un nuovo esame che tenga conto dei principi enunciati.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare la frode?
Inizialmente, l’onere spetta all’Amministrazione Finanziaria. Essa deve dimostrare, anche con presunzioni, che il fornitore era fittizio e che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode usando l’ordinaria diligenza.

Cosa deve fare il contribuente per dimostrare la propria buona fede e salvare la detrazione IVA?
Una volta che il Fisco ha fornito indizi sulla frode, il contribuente deve fornire la prova contraria. Deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per verificare l’affidabilità del fornitore e non essere coinvolto nell’evasione fiscale.

La regolarità delle fatture e dei pagamenti tracciabili è una prova sufficiente della buona fede?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la regolarità formale della contabilità e l’esistenza di pagamenti tracciabili sono elementi irrilevanti per dimostrare la buona fede, in quanto non provano la mancata diligenza dell’operatore nell’accertarsi della reale natura del suo partner commerciale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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