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Operazioni inesistenti: la prova spetta al contribuente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9599/2024, ha confermato un avviso di accertamento per operazioni inesistenti. Se l’Agenzia delle Entrate fornisce indizi gravi, precisi e concordanti (come l’inadempienza fiscale dei fornitori e pagamenti incerti), l’onere di provare l’effettività delle operazioni si sposta sul contribuente. La sola esibizione di fatture e registrazioni contabili non è ritenuta prova sufficiente.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: La Cassazione sull’Onere della Prova

La corretta deduzione dei costi è un pilastro della contabilità aziendale e della determinazione del reddito imponibile. Tuttavia, quando l’Amministrazione Finanziaria contesta la realtà di tali costi, parlando di operazioni inesistenti, si apre uno scenario complesso in cui l’onere della prova diventa cruciale. Con l’ordinanza n. 9599 del 10 aprile 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali su chi deve dimostrare cosa in queste delicate controversie.

I Fatti del Caso: Fatture Sospette e Costi Indeducibili

Una contribuente si è vista notificare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione, per l’anno d’imposta 2008, alcuni costi ritenuti indeducibili. Il Fisco sosteneva che tali costi derivassero da fatture per operazioni mai realmente avvenute, emesse da due diverse società fornitrici.

L’Agenzia basava le sue conclusioni su una serie di elementi indiziari:

1. Assenza di contratti: Nonostante gli importi elevati, non esisteva alcun contratto scritto di appalto o fornitura tra la contribuente e le società emittenti.
2. Inadempienze fiscali dei fornitori: Una delle società fornitrici non aveva neppure presentato la dichiarazione dei redditi, mentre l’altra, pur avendola presentata, non vi aveva incluso le fatture emesse nei confronti della contribuente.
3. Incertezza dei pagamenti: Le prove dei pagamenti apparivano dubbie. Le matrici degli assegni erano state compilate a mano dalla stessa contribuente in un momento successivo, e gli estratti conto bancari non permettevano di identificare con certezza i beneficiari finali delle somme.

Di fronte a questo quadro, la Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione all’ufficio, ritenendo che tali indizi, valutati nel loro complesso, fossero sufficienti a provare l’inesistenza delle operazioni.

La questione dell’onere probatorio per le operazioni inesistenti

In Cassazione, la contribuente ha lamentato principalmente la violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) e sulle presunzioni (artt. 2727 e 2729 c.c.), sostenendo che i giudici di merito avessero invertito tale onere, basando la decisione su meri sospetti e non su prove concrete fornite dall’Agenzia delle Entrate.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, cogliendo l’occasione per chiarire la dinamica probatoria in materia di operazioni inesistenti.

Il principio cardine è il seguente: spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di fornire elementi probatori, anche di natura indiziaria, dai quali sia possibile desumere che l’operazione fatturata non è mai stata effettuata. Questi indizi devono essere gravi, precisi e concordanti.

Una volta che l’ufficio ha assolto a questo compito, l’onere della prova si sposta sul contribuente. A quel punto, è quest’ultimo che deve dimostrare in modo inequivocabile l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. La Corte ha sottolineato un punto cruciale: questa prova non può consistere nella semplice esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili e dei pagamenti. Questi documenti, infatti, sono spesso utilizzati proprio per creare un’apparenza di realtà a copertura di un’operazione fittizia.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la “congerie di elementi” fornita dall’Agenzia delle Entrate (inadempienze fiscali dei fornitori, mancanza di contratti, incertezza sui pagamenti) fosse più che sufficiente a legittimare la presunzione di inesistenza delle operazioni. Di conseguenza, gravava sulla contribuente la prova contraria, che non è stata fornita in modo adeguato.

Conclusioni

Questa pronuncia rafforza un orientamento consolidato e invia un messaggio chiaro alle imprese: la forma non basta. Per poter dedurre un costo, non è sufficiente avere una fattura formalmente corretta e una traccia di pagamento. È necessario essere in grado di dimostrare la sostanza dell’operazione, ovvero che la prestazione è stata realmente eseguita o il bene effettivamente consegnato. La scelta di partner commerciali affidabili e fiscalmente in regola, insieme alla conservazione di documentazione contrattuale e di trasporto, diventano elementi essenziali non solo per una sana gestione aziendale, ma anche per difendersi efficacemente da possibili contestazioni fiscali.

In caso di accertamento per operazioni inesistenti, chi deve provare cosa?
Inizialmente, spetta all’Agenzia delle Entrate fornire elementi e indizi che facciano presumere l’inesistenza dell’operazione. Se questi indizi sono sufficienti, l’onere della prova si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esistenza della transazione.

Mostrare la fattura e la prova del pagamento è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un’operazione?
No. Secondo la Corte, l’esibizione della fattura, la sua registrazione contabile e la dimostrazione dei mezzi di pagamento non sono prove sufficienti, poiché questi elementi vengono spesso creati appositamente per far apparire reale un’operazione fittizia.

Quali elementi possono essere usati dall’Agenzia delle Entrate per contestare la deducibilità di un costo?
L’Agenzia può basarsi su una serie di indizi, come l’inadempienza fiscale del fornitore (es. mancata presentazione della dichiarazione dei redditi), l’assenza di contratti formali, l’incertezza sui reali beneficiari dei pagamenti e l’assenza di una reale struttura aziendale da parte del fornitore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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