Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5180 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 5180  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27979/2016 R.G. proposto da:
NOME,  elettivamente domiciliato in  INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato  NOME  COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
 contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata  ex  lege  in  INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
 avverso  SENTENZA  di  COMM.TRIB.REG.  UMBRIA  n.  213/2016 depositata il 03/05/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, esercente l’attività di agente di commercio,  impugnava  l’avviso di accertamento  con il quale l’RAGIONE_SOCIALE  Perugia  accertava  per  l’anno  2009  un maggior reddito imponibile di € 25.360,00, a seguito del disconoscimento RAGIONE_SOCIALE deducibilità di alcuni costi.
L’impugnazione del contribuente riguardava esclusivamente  l’importo  RAGIONE_SOCIALE  fatture,  emesse  da  tale  NOME COGNOME  per  varie  prestazioni,  “analisi  clienti/pareto,  elenco  clienti inattivi  anno  2007,  analisi  zone,  analisi  nuovi  clienti,  analisi  per zona, telemarketing’, che l’RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto relative ad operazioni oggettivamente inesistenti.
A  tale  riguardo  deduceva  che  le  prestazioni  svolte  dalla COGNOME  erano  effettive,  avendo  egli  necessità  di  avvalersi  di  un collaboratore  per  gli  adempimenti  burocratici  da  evadere  con  la casa  madre,  nonché  per  attività  di  ‘telemarketing’;  deduceva inoltre plurimi profili di illegittimità dell’avviso sotto il profilo formale e procedimentale.
Le ragioni del contribuente non erano apprezzate nei gradi di merito.
 NOME  COGNOME  ricorre  avverso  la  sentenza  RAGIONE_SOCIALE  CTR dell’Umbria indicata in epigrafe con sei motivi e l’Amministrazione resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunciano l’«Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti RAGIONE_SOCIALE sentenza di gravame, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c.:, in particolare in riferimento alla circostanza RAGIONE_SOCIALE irreperibilità RAGIONE_SOCIALE sig.ra COGNOME e alla mancanza di una reale attività economica esercitata dalla stessa.» e la «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, c. 1 n. 3 c.p.c.: nello specifico, erronea applicazione alla fattispecie concreta RAGIONE_SOCIALE norma codicistica in punto di imputazione dell’onere RAGIONE_SOCIALE prova al contribuente anziché al fisco».
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la «Violazione di legge, ex art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c. in riferimento all’art. 32 DPR n. 600/73. Conseguente insufficienza e contraddittorietà RAGIONE_SOCIALE motivazione RAGIONE_SOCIALE sentenza di gravame circa la nullità dell’avviso di
accertamento per mancata attivazione del contraddittorio preventivo».
 Con  il  terzo  strumento  di  impugnazione  il  contribuente lamenta l’ «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, vizio di motivazione ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. – violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 2727 c.c.»
Con il quarto motivo di ricorso si censura la «Violazione di legge, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in riferimento all’art. 53 Cost., conseguente insufficienza e contraddittorietà RAGIONE_SOCIALE motivazione RAGIONE_SOCIALE sentenza di gravame circa la nullità dell’avviso di accertamento inerente la capacità contributiva del COGNOME.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la «Legittimità e fondatezza, nel caso de quo, del vizio di motivazione nella fattispecie dell’insufficienza e carenza interpretativa tale da integrare pure la violazione di legge ex art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c. in  riferimento  all’applicazione  dell’art.  132,  comma  2,  n.  4  e  118 norme transitorie in tema di adeguata motivazione RAGIONE_SOCIALE sentenza.
Con il sesto motivo, il ricorrente deduce la «inammissibilità del  principio  RAGIONE_SOCIALE  c.d.  ‘doppia  conforme’  all’odierno  contenzioso tributario».
Preliminarmente, con riguardo al primo motivo, occorre rilevare che per questa Corte è ammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., allorché esso comunque evidenzi specificamente la trattazione RAGIONE_SOCIALE doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. n. 8915/2018), essendo sufficiente che la formulazione del motivo consenta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, sì da consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se
esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., Sez. U., n. 9100/2015).
7.1. Il motivo, laddove denuncia la insufficiente e carente motivazione dell’avviso di accertamento, è per altro verso inammissibile, operando il limite RAGIONE_SOCIALE c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, espressamente eccepito dalla controricorrente e applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 9.03.2015, non avendo la ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, RAGIONE_SOCIALE decisione di primo grado e RAGIONE_SOCIALE sentenza di appello, erano fra loro diverse (ex multis, Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018).
7.2.  Il  motivo  è  altresì  infondato  laddove  lamenta,  sotto  il profilo RAGIONE_SOCIALE violazione di legge, il mancato rispetto RAGIONE_SOCIALE regole di distribuzione dell’onere probatorio tra Amministrazione e contribuente.
Al netto RAGIONE_SOCIALE genericità RAGIONE_SOCIALE censura, non ancorata a specifici parametri normativi, va rammentato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva (Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. n. 28628), ricorrendo alla prova che l’emittente è una «cartiera» o una «società fantasma», ciò essendo gravemente indiziario RAGIONE_SOCIALE oggettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, spettando poi al contribuente provare l’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni sottostanti; né tale onere può ritenersi assolto con l’esibizione RAGIONE_SOCIALE fattura, ovvero in ragione RAGIONE_SOCIALE regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture
contabili  o  dei  mezzi  di  pagamento  adoperati,  in  quanto  essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione  fittizia  (Cass.,  Sez.  V,  5  luglio  2018,  n.  17619; Cass.,  Sez.  V,  30  ottobre  2018,  n.  27554;  Cass.,  Sez.  V,  27 novembre  2019,  n.  30937;  Cass.,  Sez.  V,  15  febbraio  2022,  n. 4826; Cass., Sez. VI, 22 marzo 2022, n. 9304; Cass., Sez. V, 12 aprile 2022, n. 11737).
Va ancora rammentato che il giudice di merito, nel porre a fondamento RAGIONE_SOCIALE propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056), e che la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass.,04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/11/2013, n. 24679; Cass., 16/12/2011, n. 27197; Cass., 07/02/2004 n. 2357).
7.3.  Nel  caso  di  specie,  la  RAGIONE_SOCIALE  si  è  pienamente  attenuta  ai principi ora evocati.
I  giudici  di  appello  hanno  in  primo  luogo  richiamato  gli elementi dai quali l’Ufficio fa derivare l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, così riassunti: «all’indirizzo indicato nelle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE (INDIRIZZO, non vi
era né vi era mai stato uno studio di pubblicità; l’unico studio professionale a quell’indirizzo era quello di un agronomo (circostanza confermata anche dall’amministratore di condominio dello stabile, che ha detto di non aver mai conosciuto COGNOME NOME). Nell’altro indirizzo indicato nelle fatture emesse come sede legale (Paola INDIRIZZO, INDIRIZZO) la COGNOME risultava irreperibile e in quello invece in cui a Perugia risultava avere in locazione un’unità immobiliare, la stessa non aveva ritirato l’atto con cui l’ufficio la convocava per ottenere la documentazione contabile dell’azienda. Anche lo studio professionale, ancora oggi depositario RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, non aveva fornito i documenti contabili in quanto gli stessi sarebbero stati restituiti e non era riuscito a fornire notizie RAGIONE_SOCIALE contribuente, come risulta dall’allegato. n. 2 all’avviso impugnato). Le circostanze riscontrate, unitamente alla incertezza RAGIONE_SOCIALE prestazioni indicate nelle fatture emesse, di volta in volta adattate all’attività esercitata dai “clienti” RAGIONE_SOCIALE COGNOME (che sono stati controllati simultaneamente), hanno indotto l’amministrazione a verificare se effettivamente fossero state effettuate le prestazioni dalla stessa fatturate ovvero si fosse trattato invece di operazioni inesistenti. Dalle indagini attivate nei confronti di COGNOME NOME è emerso che a fronte di pagamenti con bonifici od assegni tracciati nel conto corrente di cui ella risultava intestataria, vi era puntualmente un’uscita in contanti RAGIONE_SOCIALE stessa cifra, decurtata a volte di una percentuale, che l’Ufficio ha ritenuto verosimilmente corrispondente al “prezzo dell’operazione”. L’RAGIONE_SOCIALE appellata, poi, per quanto riguarda la posizione di COGNOME NOME, – e tale circostanza di fatto è ritenuta particolarmente importante e dimostrativa da questa Commissione – ha riscontrato che lo stesso ha emesso all’ordine di NOME COGNOME l’assegno n. 071095392907 del 10/04/2007 di € 3.440,00 e il giorno stesso in cui è stata accreditata la somma nel conto corrente RAGIONE_SOCIALE beneficiaria (17/04/2007), quest’ultima ha effettuato
un prelevamento in contanti di € 2.900,00. Lo stesso è avvenuto per gli altri tre assegni emessi dal COGNOME a favore RAGIONE_SOCIALE COGNOME (come risulta e riscontrato dall’allegato n. 3 all’avviso impugnato) … La prova che la COGNOME non esercita alcuna attività d’impresa e che quindi l’emissione di fatture è da ritenersi relativa ad operazioni inesistenti risulta, oltre che dalla retrocessione in contanti degli assegni e bonifici ricevuti, anche dall’assenza di un’attività economica organizzata: non esiste infatti, come detto, uno studio professionale in cui vengano organizzati mezzi e persone per l’esercizio di un’attività professionale, nessun costo per servizi energetici e di telefonia fissa è stato sostenuto negli anni dal 2006 al 2008. Nessun costo per lavoro dipendente o per collaboratori esterni o comunque inerente all’attività dichiarata risulta sostenuto.».
A fronte di tali indici presuntivi addotti dall’Ufficio la CTR ha osservato che «Le “prove” richiamate dall’appellante (copia del verbale di sommarie informazioni redatto dalla Sezione di Polizia Giudiziaria RAGIONE_SOCIALE Procura RAGIONE_SOCIALE Repubblica e le copie dei versamenti effettuati a titolo di pagamento dell’affitto) nulla in contrario possono provare, dal momento che, nel caso di specie, viene contestata l’inesistenza e l’irreperibilità RAGIONE_SOCIALE COGNOME non quale soggetto fisico, ma quale soggetto economico. Del pari infondata è l’affermazione dello scarso rilievo che la sentenza avrebbe dato al fatto che i pagamenti erano stati effettuati “con metodi tracciabili”: non solo infatti tale affermazione non appare veritiera (l’importo complessivo degli assegni emessi ammonta ad € 13.090,00, mentre l’ammontare RAGIONE_SOCIALE fatture, Iva compresa, è di € 30.432,00), ma l’Ufficio ha anche dimostrato la puntuale retrocessione in contanti degli assegni e bonifici ricevuti».
Il secondo motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che «in tema di  diritti  e  garanzie  del  contribuente  sottoposto  a  verifiche  fiscali,
l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito».
Dunque «non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai  fini  Irpeg  ed  Irap,  assoggettati  esclusivamente  alla  normativa nazionale,  vertendosi  in  ambito  di  indagini  cd.  a  tavolino»  (Cass. S.U. n. 24823/2015).
8.1. Nel caso di specie non vi era alcun obbligo di instaurazione del contraddittorio preventivo prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, in quanto risulta circostanza pacifica che la verifica non si è svolta presso i locali del contribuente (Cass. S.U. n. 24823/2015). Al riguardo, non può, d’altro canto, trascurarsi di riflettere ulteriormente sul fatto che Cass. SU n. 18184/13, nel definire il principio di diritto affermato (in merito alla nullità, pur non espressamente comminata, dell’atto impositivo emanato senza il rispetto del termine dilatorio di cui all’articolo 12, comma 7, l. n. 212/2000), ha, non a caso, espressamente correlato la decorrenza del termine dilatorio, destinato all’espletamento del contraddittorio, al momento del rilascio RAGIONE_SOCIALE copia del processo verbale di chiusura RAGIONE_SOCIALE operazioni.
Il terzo motivo, con il quale vengono dedotti plurimi profili di censura, è inammissibile per quanto attiene al denunciato vizio di  cui  all’art.  360,  comma  1,  n.  5,  ostando  il  limite  RAGIONE_SOCIALE  c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto  dall’articolo  54,  comma  1,  lett.  a),  del  d.l.  22  giugno
2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, espressamente eccepito dalla controricorrente e applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 9.03.2015, non avendo la ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, RAGIONE_SOCIALE decisione di primo grado e RAGIONE_SOCIALE sentenza di appello, erano fra loro diverse (ex multis, Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018).
9.2. Il motivo è altresì infondato laddove intende censurare, in  relazione  all’art.  360,  comma  1,  n.  3  cod.  proc.  civ.,  la  falsa applicazione dell’art. 2727 cod. civ.
9.3. Come affermato da questa Corte ( ex plurimis v. Cass. n. 20748 del 1/08/2019; Cass. n. 23860 del 29/10/2020; Cass. n. 27982 del 07/12/2020), la censura alla corretta applicazione, da parte del giudice a quo, dell’art. 2727 cod. civ., è infondata, laddove essa si sostanzia nella denuncia del contrasto RAGIONE_SOCIALE decisione impugnata con un principio, il cosiddetto «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena», la cui sussistenza nell’ordinamento è stata esclusa da questa Corte, secondo cui: «a) il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o «divieto di doppie presunzioni» o «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena»), spesso tralaticiamente menzionato in varie sentenze, è inesistente, perché non è riconducibile né agli evocati artt. 2729 e 2697 cod. civ. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è stato più volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purché “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., può legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea -in quanto, a sua volta adeguata -a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. n. 18915, n. 17166, n. 17165, n. 17164, n. 1289, n. 983 del 2015)».
E’ stato in particolare evidenziato che «In tema di presunzioni, la prova inferenziale che sia caratterizzata da una serie lineare di inferenze, ciascuna RAGIONE_SOCIALE quali sia apprezzata dal giudice secondo criteri di gravità, precisione e concordanza, fa sì che il fatto “noto” attribuisca un adeguato grado di attendibilità al fatto “ignorato”, il quale cessa pertanto di essere tale divenendo noto, ciò che risolve l’equivoco logico che si cela nel divieto di doppie presunzioni.» (Cass. n. 27982 del 07/12/2020).
9.4. Inoltre, nel caso di specie, la censura attinge esclusivamente l’elemento presuntivo tratto dai prelievi in contanti operati  dalla  sig.ra  COGNOME  in  corrispondenza  dei  bonifici,  che costituisce  uno  solo  dei  molteplici  elementi  che  concorrono  alla argomentata e razionale ricostruzione del fatto posta in essere dai giudici di merito, in questa sede di legittimità non più censurabile.
10. Con il quarto motivo di ricorso il contribuente si duole del mancato  riconoscimento  dei  costi  scaturenti  dai  maggiori  ricavi accertati  a  seguito  del  disconoscimento  dell’operazione  passiva inesistente.
Deduce in particolare che i giudici di secondo grado avrebbero  errato  nel  vagliare  la  censura  fondata  sulla  violazione, da  parte  dell’Ufficio,  dell’art.  53  Cost.,  e  cioè  del  principio  di capacità  contributiva,  laddove  hanno  ritenuto  legittima  la  pretesa degli  organi  accertatori  di  non  tenere  in  considerazione  i  costi sostenuti per generare i ricavi recuperati a tassazione, pretendendo di applicare la maggiore imposta sui ricavi lordi.
10.1. Il motivo è inammissibile.
È corretto, in tesi, quanto osservato dal ricorrente in ordine alla  astratta  deducibilità  dei  costi,  pur  in  fattispecie  avente  ad oggetto fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti.
Va peraltro ricordato a tale riguardo che questa Corte ha più volte  affermato  (cfr.  Cass.  19/12/2019,  n.  33915,  in  connessione con Cass. 08/10/2014, n. 21189, Cass. 20/11/2013, n. 25967; di
recente v. Cass. n. 32060/2022) che «In tema di imposte sui redditi, e con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, grava sul contribuente l’onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito che ai sensi dell’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 44 del 2012 siano direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati e non devono pertanto concorrere alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione RAGIONE_SOCIALE predette spese o altri componenti negativi».
10.2.  Nella  specie,  il  ricorrente  si  è  limitato  a  muovere generiche  contestazioni all’operato dei giudici di appello, non avendo  adempiuto all’onere probatorio a lui incombente,  nei termini ora esposti.
Il quinto motivo di ricorso, mediante il quale si censura, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. la nullità RAGIONE_SOCIALE sentenza per carenza di motivazione, è inammissibile.
A prescindere da ogni ulteriore valutazione, il motivo difetta di  qualsivoglia  specificità  rispetto  alle  specifiche  statuizioni  RAGIONE_SOCIALE sentenza  impugnata  laddove  il  ricorrente,  per  il  tramite  di  ampie digressioni dottrinali, denuncia genericamente la sentenza gravata con argomenti del tutto inconferenti rispetto alle specifiche statuizioni del provvedimento impugnato.
12. Anche il sesto motivo è inammissibile.
Il  ricorrente  contesta  genericamente  l’applicabilità  del  limite RAGIONE_SOCIALE  c.d.  ‘doppia  conforme’,  in  relazione  ai denunciati vizi  di  cui all’art.  360,  comma  1,  n.  5, deducendo  che  le  ragioni  di  fatto, poste  a  base,  rispettivamente,  RAGIONE_SOCIALE  decisione  di  primo  grado  e RAGIONE_SOCIALE sentenza di appello, sarebbero fra loro diverse, ma senza in alcun modo indicare ove sarebbe ravvisabile tale differenza, come già precedentemente si è rilevato.
 In  conclusione,  il  ricorso  deve  essere  rigettato,  con conseguente  condanna  del  ricorrente  al  rimborso,  in  favore  RAGIONE_SOCIALE controricorrente,  RAGIONE_SOCIALE  spese  del  giudizio  di  legittimità,  che  si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore RAGIONE_SOCIALE controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà  atto  RAGIONE_SOCIALE  sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  da parte  del  ricorrente,  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 07/02/2024.