Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6200 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6200 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.681/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME e NOME, elettivamente domiciliati in Roma alla INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME;
-ricorrenti –
E
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore , domiciliata ope legis in Roma, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la sentenza n.5083/18/15 della Commissione tributaria regionale della Campania, pronunciata il 17 marzo 2015, depositata il 26 giugno 2015 e non notificata.
tributi
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 gennaio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I contribuenti ricorrono con cinque motivi contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha accolto l’appello dell’ufficio, in controversia avente ad oggetto i ricorsi riuniti avverso gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE e dei tre soci con cui venivano recuperati a tassazione costi per operazioni inesistenti relativi all’annualità 2005 .
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 22 gennaio 2025, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 -bis. 1 cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. dalla legge 25 ottobre 2016, n.197.
Il sostituto procuratore generale, NOME COGNOME depositava requisitoria scritta, con cui chiedeva disporsi l’integrazione del contraddittorio, o, in subordine, il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO CHE
1.1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 2495 c.c. e 110 c.p.c., in relazione all’art.360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
Con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 42 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 e 132 c.p.c., in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.
Con il terzo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 8, comma 3, d.l. 2 marzo 2012, n.16, 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n.74, 42 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 e 2697 c.c., in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.
Con il quarto motivo, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione dell’art.39, comma 1, d.P.R. 29 settembre 1973 n.600, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.
Con il quinto motivo, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione dell’art.53 d.lgs. 31 dicembre 1992, n.546, in relazione all’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ.
1.2. Preliminarmente, deve rilevarsi che risulta pacifico tra le parti che gli avvisi di accertamento hanno ad oggetto la verifica tributaria nei confronti della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (tale era la denominazione e la forma societaria nel 2005) e dei soci, cui sono stati imputati i maggiori redditi in proporzione della propria quota di partecipazione.
Tanto premesso, non si rinviene, comunque, alcuna lesione dell’integrità del litisconsorzio necessario poiché i singoli procedimenti, svoltisi contestualmente in primo grado, sono stati poi riuniti in appello.
Invero, questa Corte, con orientamento ormai costante, ha affermato che, in tema di rettifica del reddito di una società di persone, l’inosservanza del litisconsorzio necessario tra la stessa ed i soci non spiega effetti quando le pronunce rese sui ricorsi siano sostanzialmente identiche ed adottate dallo stesso collegio nel contesto di una trattazione unitaria: ne deriva che la riunione dei giudizi può avvenire in sede di gravame, atteso che il rinvio al giudice di primo grado non sarebbe giustificato dalla necessità di salvaguardare il contraddittorio e si porrebbe in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo (Cass. n.3789/2018; conf. 6073/2022 con riferimento al giudizio di cassazione).
Parimenti , risultano circostanze pacifiche sia l’estinzione della società (in appello RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, già RAGIONE_SOCIALE, che in primo grado aveva proposto ricorso quale società derivante da
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE), sia la presenza in giudizio di tutti i soci.
2.1. Il primo motivo di ricorso risulta infondato, in quanto il giudizio di appello risulta validamente incardinato nei confronti dei soci e della società, che in secondo grado si è costituita come RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE, che in primo grado aveva proposto ricorso quale società derivante da RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE).
N ell’attuale giudizio, inoltre, i soci della RAGIONE_SOCIALE sottoposta a verifica fiscale per l’annualità in contestazione, successivamente trasformatasi in società a responsabilità limitata e poi estinta, risultano tutti costituiti.
In relazione all’art. 2495, secondo comma, cod. civ., occorre richiamare i consolidati arresti di questa Corte.
L’art. 2495 cod. civ., secondo comma, nel testo modificato dalla riforma societaria del 2003, applicabile ratione temporis , prevede che ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi , norma questa riversata nel successivo terzo comma del medesimo articolo, per effetto del d.l. n. 76 del 2020, art. 40, comma 12-ter, lett. b), conv. dalla l. n. 120 del 2020, irrilevante nella specie. Cass., Sez. U., 22/02/2010, n. 4060 ha avuto modo di stabilire che in tema di società di capitali, a seguito della riforma delle società, la cancellazione dal registro delle imprese determina l’immediata estinzione della società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo. Ciò opera soltanto nel caso in cui tale adempimento abbia avuto luogo in data successiva all’entrata in vigore dell’art. 4 del d.lgs.
17/01/2003, n, 6, che, modificando l’art. 2495, secondo comma, cod. civ., ha attribuito efficacia costitutiva alla cancellazione: a tale disposizione, infatti, non può attribuirsi natura interpretativa della disciplina previgente, in mancanza di un’espressa previsione di legge; ne segue però che, non avendo essa efficacia retroattiva e dovendo tutelarsi l’affidamento dei cittadini in ordine agli effetti della cancellazione in rapporto all’epoca in cui essa ha avuto luogo, per le società cancellate in epoca anteriore all’1 gennaio 2004 l’estinzione opera solo a partire dalla predetta data. Successivamente Cass., Sez. U., 12/03/2013, n. 6070 e n. 6071 hanno ribadito il principio che l’iscrizione della cancellazione di una società di capitali dal Registro delle imprese ha valore costitutivo e produce un effetto estintivo della persona giuridica; le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali rispondono dei debiti nei limiti della responsabilità per essi prevista pendente societate, senza che l’attribuzione di una somma in sede di liquidazione possa costituire condizione della successione. Secondo le Sezioni Unite si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, ‹‹pendente societate››, fossero limitatamente o illimitatamente responsabil i per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo. Nella
sostanza, dunque, in caso di estinzione della società, i soci subentrano, con dette limitazioni, nel medesimo debito della società stessa, debito che conserva ‹‹intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica››.
In tale quadro, occorre ribadire che l’utile partecipazione alla distribuzione dell’attivo liquidato non costituisce presupposto costitutivo della successione del socio: la tesi, affacciatasi in alcune pronunce successive alle citate Sezioni Unite del 2013 (in particolare, Cass. 26/06/2015, n. 13259; Cass. 23/11/2016, n. 23916; Cass. 31/01/2017, n. 2444; Cass. 22/06/2017, n. 15474), si pone in realtà non in linea con l’insegnamento delle Sezioni Unite, come correttamente evidenziato, anzitutto, da Cass. 8/03/2017, n. 5988 (ove si evidenzia un possibile inconsapevole contrasto, sul punto), nonché da Cass. 7/04/2017, n. 9094, che sottolinea come il socio sia comunque destinato a subentrare nella posizione debitoria, e che la mancata utile partecipazione non consenta neanche di escludere a priori lo stesso interesse ad agire del creditore (si veda anche Cass. 9/10/2015, n. 20358: il fenomeno successorio non può essere escluso in base al solo esame del bilancio di liquidazione). La giurisprudenza successiva s’è assestata in questo ultimo senso (tra le tante, Cass. 16/06/2017, n. 15035; Cass. 19/04/2018, n. 9672; Cass. 5/06/2018, n. 14446; Cass. 16/01/2019, n. 897; Cass. 20/06/2020, n. 12758 e, da ultimo, Cass., Sez. U., 15/01/2021, n. 619; Cass. 21/10/2021, n. 29277; Cass. 20/10/2021, n. 29156; Cass. 5/11/2021, n. 31904; Cass. 28/04/2022, n. 13247) ed ha trovato conferma in Cass. S.U. n.3625/2025, intervenuta tra la decisione e la pubblicazione della presente decisione, che non modifica sul punto l’assetto delineat o dalle precedenti pronunce delle Sezioni Unite nn. 6070, 6071 e 6072/2013, già citate.
2.2. Il secondo motivo è inammissibile ed infondato.
Lo stesso art.42 d.P.R. n.600/1973 prevede la possibilità della motivazione per relationem dell’avviso di accertamento, con il correttivo per cui, se l’atto cui si rinvia non sia conosciuto né ricevuto dal contribuente, nella motivazione deve esserne riprodotto il contenuto essenziale, idoneo, cio è , a consentire al contribuente stesso di difendersi.
Nella specie, la C.t.r. ha rilevato, con indagine in fatto non sindacabile in questa sede, che gli avvisi di accertamento impugnati non presentavano carenze motivazionali, poiché contenevano il riferimento al p.v.c., notificato alla parte, ed ai suoi passaggi motivazionali essenziali, nonché una sintetica descrizione della fattispecie concretamente contestata, risultando pienamente intellegibili per i contribuenti.
Ogni ulteriore profilo di doglianza, tendente ad un rinnovato giudizio di merito, è inammissibile.
2.3. Il terzo ed il quarto motivo, esaminati congiuntamente perchè connessi, sono infondati.
I n particolare, l’amministrazio ne finanziaria ha eseguito l’ accertamento con metodo induttivo sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che hanno portato ad escludere la deduzione di costi ricollegabili ad operazioni oggettivamente inesistenti.
I l contribuente aveva l’onere della prova contraria, che, per costante insegnamento di questa Corte, non può identificarsi, né con l’emissione delle fatture, né con il pagamento mediante assegni bancari; invero, l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei
relativi costi, provare l ‘effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (da ultimo Cass.n.9723/2024).
2.4. Infine, anche il quinto motivo è infondato.
Questa Corte ha più volte chiarito che, nel processo tributario, la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dall’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. c.c., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass. n.707/2019).
Pertanto il ricorso va rigettato ed i ricorrenti vanno condannati in solido al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 17.200,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 22 gennaio 2025