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Operazioni inesistenti: la prova per presunzioni

Una società di analisi cliniche ha dedotto costi per servizi ritenuti fittizi dall’Agenzia delle Entrate. La Corte di Cassazione ha confermato l’accertamento, stabilendo che in caso di sospette operazioni inesistenti, l’amministrazione finanziaria può basarsi su presunzioni gravi, precise e concordanti (come pagamenti anomali o assenza di logica economica). L’onere della prova si sposta quindi sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esecuzione delle prestazioni con prove concrete, non essendo sufficienti documenti formali come fatture e registrazioni contabili.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Prova per Presunzioni secondo la Cassazione

Le operazioni inesistenti rappresentano una delle sfide più complesse nel contenzioso tributario. Dimostrare che una transazione, pur supportata da fatture e registrazioni contabili, non è mai avvenuta realmente, richiede un’analisi approfondita che va oltre la mera apparenza formale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui criteri di ripartizione dell’onere della prova e sul valore degli indizi, offrendo spunti fondamentali per imprese e professionisti.

I Fatti del Caso

Una società, operante nel settore dei laboratori di analisi cliniche, si vedeva recapitare un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2010. La contestazione riguardava la deduzione di costi per oltre 2,4 milioni di euro, relativi a sette fatture emesse da un’altra società per presunte prestazioni di analisi cliniche fornite in service. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, tali operazioni erano oggettivamente inesistenti.

Il contenzioso attraversava diversi gradi di giudizio con esiti alterni, fino a giungere nuovamente in Cassazione dopo un rinvio. La Commissione Tributaria regionale, nel secondo giudizio d’appello, accoglieva le tesi dell’Ufficio, ritenendo provata l’inesistenza delle operazioni sulla base di una serie di presunzioni gravi, precise e concordanti. Contro questa decisione, la società contribuente proponeva ricorso per Cassazione, lamentando, tra le altre cose, una violazione delle norme sulla prova presuntiva e l’omesso esame di un fatto decisivo: un supporto ottico contenente i dati delle analisi eseguite.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso della società, confermando la legittimità dell’accertamento fiscale. I giudici hanno ribadito i principi consolidati in materia di prova delle operazioni inesistenti, chiarendo come l’onere probatorio viene ripartito tra Amministrazione Finanziaria e contribuente.

Le motivazioni: l’onere della prova nelle operazioni inesistenti

La Corte ha chiarito che spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, anche attraverso presunzioni, la fittizietà dell’operazione. Una volta fornito un quadro indiziario solido, l’onere della prova si inverte, e spetta al contribuente fornire una prova rigorosa dell’effettiva esistenza e inerenza del costo.

Il valore della prova presuntiva

Nel caso specifico, la decisione si è fondata su una pluralità di elementi indiziari che, valutati nel loro complesso, hanno convinto i giudici della natura fittizia dei servizi. Tra questi:
* Mancanza di un accordo formale: La scrittura privata che regolava i rapporti tra le due società non era registrata e non aveva data certa, un’anomalia data l’entità delle movimentazioni economiche.
* Pagamenti anomali: I rapporti finanziari erano regolati esclusivamente in contanti.
* Assenza di logica economica: La società contribuente, già accreditata e dotata di strutture e macchinari, subappaltava le analisi a un’altra società non accreditata, senza che ne venissero chiarite le ragioni economiche.
* Mancata produzione di prove sostanziali: Non erano state prodotte le copie delle ricevute rilasciate ai pazienti finali.

La Corte ha sottolineato che questi elementi, considerati insieme, costituiscono un quadro probatorio presuntivo valido, con i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge.

L’irrilevanza delle prove formali

La Cassazione ha inoltre respinto la doglianza relativa all’omesso esame del ‘supporto ottico’. Secondo i giudici, un elenco di prestazioni, anche se dettagliato, non ne implica la loro effettiva esistenza, così come non la implicano la fattura o la registrazione contabile. Questi documenti formali, infatti, sono proprio gli strumenti tipicamente utilizzati per simulare un’operazione fittizia. La prova contraria a carico del contribuente deve essere sostanziale e in grado di dimostrare che la prestazione è stata realmente eseguita.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per le imprese

Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale: di fronte a un’accusa di operazioni inesistenti, la regolarità formale della documentazione contabile non è sufficiente a salvarsi. Le imprese devono essere in grado di dimostrare la sostanza economica e l’effettività delle operazioni che pongono in essere. È fondamentale conservare non solo fatture e contratti, ma ogni elemento idoneo a provare l’avvenuta esecuzione della prestazione (documenti di trasporto, report di attività, corrispondenza, prove di pagamento tracciabili). Affidarsi a un quadro probatorio puramente documentale e formale espone a rischi significativi in caso di controllo fiscale, specialmente quando le circostanze dell’operazione presentano anomalie o mancano di una chiara logica commerciale.

Come può l’Agenzia delle Entrate provare che delle operazioni sono inesistenti?
L’Agenzia delle Entrate può provarlo attraverso la prova logica (o presuntiva), basandosi su indizi gravi, precisi e concordanti che, nel loro complesso, dimostrano la fittizietà dell’operazione. Non è necessaria una prova diretta.

Quale valore hanno le fatture e le registrazioni contabili per difendersi da un’accusa di operazioni inesistenti?
Secondo la Corte, la sola esibizione della fattura o la dimostrazione della regolarità delle scritture contabili e dei pagamenti non costituisce una prova sufficiente. Questi elementi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio per far apparire reale un’operazione fittizia.

Può un contribuente lamentare in Cassazione che il giudice non ha considerato una sua prova, come un supporto ottico con l’elenco delle prestazioni?
No, se il fatto storico rilevante (l’esistenza delle prestazioni) è stato comunque preso in considerazione dal giudice. L’omesso esame di un singolo elemento istruttorio, come un elenco su supporto ottico, non costituisce un vizio della sentenza se il giudice lo ha implicitamente ritenuto irrilevante e ha fondato la sua decisione su altri elementi probatori, valutati nel loro complesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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