Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25631 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 25631 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 39/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2203/2022, depositata il 26 maggio 2022.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso. Uditi l’avvocato dello Stato NOME COGNOME e l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -L’Agenzia delle entrate -Direzione provinciale II di Milano notificava alla società RAGIONE_SOCIALE un provvedimento di irrogazione sanzioni n. TMBIR3V00036/2019 emesso a seguito di contestazione della inesistenza oggettiva di alcune transazioni relative alla compravendita di energia elettrica all’ingrosso, intercorse tra RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE (‘RAGIONE_SOCIALE‘). In particolare, reputando inesistenti gli acquisti di energia elettrica effettuati da RAGIONE_SOCIALE e i ricavi direttamente connessi a tali costi, l’Ufficio applicava la sanzione prevista dall’art. 8, comma 2, d.l. 16 del 2012, nell a misura del 25% delle somme ritenute in ipotesi indebitamente dedotte.
La contribuente impugnava l’atto di irrogazione delle sanzioni dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano sostenendo, in sintesi, la nullità dell’atto di irrogazione delle sanzioni per carenza di motivazione, per infondatezza della contestazione nel merito, nonché per manifesta sproporzione della sanzione irrogata rispetto all’asserita violazione.
La Commissione tributaria provinciale adita, con la sentenza n. 3311/2021, depositata il 27 luglio 2021, respingeva il ricorso della società.
-Avverso tale pronuncia la contribuente proponeva atto di appello.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 2203/2021, accoglieva l’appello della contribuente e, in riforma della sentenza impugnata, annullava l’atto di irrogazione delle sanzioni.
-Avverso tale pronuncia l’Ufficio propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste la RAGIONE_SOCIALE con controricorso. La Procura generale ha depositato una requisitoria scritta. La contribuente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Preliminarmente va disattesa la richiesta di riunione, essendovi trattazione nella medesima udienza dei procedimenti per cui è stata avanzata l’istanza, giacché le controversie sono relative ad atti di accertamento diversi.
Nel giudizio di cassazione, le finalità di economia processuale e di uniformità delle decisioni relative a casi identici, cui è ispirato l’obbligo della riunione previsto dall’art. 151 disp. att. c.p.c., come sostituito dall’art. 19, lett. f), del d.lgs. n. 40 del 2006, possono utilmente essere perseguite, in mancanza di un espresso riferimento della predetta disposizione al giudizio di legittimità, anche attraverso la trattazione di più cause riunibili nella medesima udienza e davanti allo stesso giudice, verificandosi in tale evenienza una situazione sostanzialmente assimilabile a quella del simultaneus processus in senso tecnico (Cass. n. 25288/2023).
-Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729 c.c., 8, comma 2, d.l. 16/2012 conv. in l. n. 44/2012, in relazione all’art. 360, comma 1 , n. 3 c.p.c., per non aver la Commissione tributaria regionale dato rilievo ed
esaminato le circostanze, pacifiche, valorizzate dall’Ufficio per sostenere l’inesistenza delle operazioni contestate. In particolare, per aver valorizzato soltanto le circostanze, addotte dalla contribuente, inerenti al funzionamento del mercato dell’ene rgia elettrica senza contestualizzarle in relazione al caso specifico ed omettendo di valutarle anche alla luce del complesso indiziario fornito dall’Ufficio.
Con il terzo motivo si prospetta la nullità della sentenza per omesso esame di punti di fatto decisivi e controversi, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 5 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale omesso di considerare gli elementi di fatto addotti dall’Ufficio al fine di sostenere l’inesistenza delle operazioni contestate.
2.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono fondati.
In tema di IVA, l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 9723/2024).
Quanto al governo delle regole su cui si fonda la prova presuntiva, anche in riferimento alla distribuzione dell’onere della prova, compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi
contenuti nell’art. 2729, c.c., alla fattispecie concreta, poiché se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (Cass. n. 29802/2022; Cass. n. 10973/2017).
La giurisprudenza di legittimità ha peraltro tracciato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), anche se preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e a un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass. n. 9059/2018; Cass. n. 12002/2017). Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente di fornire la prova contraria.
Sulla base di tali premesse, va osservato che la questione di fondo che il giudice del gravame avrebbe dovuto esaminare aveva riguardo alla sussistenza di elementi di prova presuntiva sulla cui base l’amministrazione finanziaria aveva prospettato che le operazioni di acquisto dell’energia elettrica da parte della società
contribuente fossero oggettivamente inesistenti, sicché era illegittima la detrazione dell’iva da essa operata.
Nel caso di specie, la pronuncia ha sì fornito una motivazione ma il suo ragionamento risulta lesivo del riparto dell’onere della prova, giacché l’Agenzia aveva fornito diversi elementi a sostegno dell’inesistenza oggettiva, che non sono stati considerati.
L’Agenzia delle entrate aveva evidenziato che tutte le società che intrattenevano rapporti di compravendita di energia con RAGIONE_SOCIALE, ivi compresa RAGIONE_SOCIALE, avessero, nel lungo periodo dal 2009 al 2013, effettuato con quella compravendite ‘circolari’, nel senso che l’energia apparentemente venduta dal primo cedente veniva infine retrocessa a quest’ultimo, e che tali compravendite per ciascuna delle società coinvolte avvenissero sempre ‘alla pari’, nel senso che l’energia acquistata, e i corrispettivi pagati per tali acquisti, sistematicamente corrispondevano all’energia venduta e ai corrispettivi incassati per tali vendite, con un sistematico saldo ‘zero’, che escludeva qualsiasi profitto o intento speculativo. In questo modo, sfruttando le modalità operative del mercato telematico dell’energia elettrica, si escludeva la necessità di consegnare l’energia elettrica risultante dal saldo attivo tra energia acquistata ed energia venduta, posto che acquisti e vendite si compensavano integralmente. Da questo contesto di elementi, l’Ufficio deduceva che le operazioni fossero, in realtà, simulate, cioè oggettivamente inesistenti.
Se nel mercato elettrico si procede per compensazioni di acquisti e vendite, ciò non esclude che anche in esso possano effettuarsi operazioni fittizie.
La sentenza si sofferma sulle modalità generali di funzionamento del mercato elettrico e sui contratti back to back , sul fatto che nel processo verbale di constatazione i riferimenti a NOME
RAGIONE_SOCIALE fossero ‘scarsissimi’, e che RAGIONE_SOCIALE disponeva di una sede operativa, senza confrontarle con le circostanze valorizzate dall’Ufficio per sostenere la fittizietà delle operazioni poste in essere dalla società contribuente (a) transazioni intercorse tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nel 2013, individuate nelle tabelle reperite dai verificatori; b) RAGIONE_SOCIALE aveva preordinato un complesso sistema di operazioni incrociate e circolari di compravendita di energia elettrica con una serie di controparti (tra cui RAGIONE_SOCIALE) organizzate in modo da concludersi sistematicamente con saldo ‘zero’ sia fisico che finanziario (cioè senza movimentazione né di energia né di denaro), del quale non era chiara la finalità (probabilmente riconducibile alla necessità di accrescere fittiziamente i fatturati per acquisire un maggiore ‘merito creditizio’); c) tali transazioni non si concludevano mai con saldi attivi o passivi di energia e, correlativamente, con debiti o crediti per il corrispettivo, perché, al contrario, tali transazioni reciproche in acquisto e in vendita si inserivano in un complesso di transazioni che erano sempre perfettamente corrispondenti sia nella quantità di energia che nei corrispettivi, sicché il loro saldo era sistematicamente pari a zero; d) la società non aveva, quindi, mai dedotto né, tanto meno, fornito alcuna prova di avere dovuto consegnare o di avere ricevuto energia elettrica nei suoi rapporti con RAGIONE_SOCIALE, né di avere ricevuto da o effettuato pagamenti a questa; e) i corrispettivi delle operazioni erano prestabiliti, e quindi non era credibile la tesi che le operazioni venissero effettuate per realizzare guadagni a breve sfruttando la variabilità anche infragiornaliera dei prezzi dell’energia; f) la società non aveva mai spiegato in concreto perché effettuasse tali operazioni, e si era limitata a generiche considerazioni circa l’uso di operazioni ‘nettizzate’ nel mercato elettrico) .
In caso di operazioni oggettivamente inesistenti, alcun rilievo, infine, riveste il profilo della diligenza.
-L’accoglimento del primo e del terzo motivo determina l’assorbimento de l secondo motivo, concernente i costi, con cui si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 109, comma 1 e 5, d.P.R. n. 917/1986, 8, comma 2, d.l. n. 16/2012, conv. in l. n. 44/2012, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c. per aver la Commissione tributaria regionale affermato che le operazioni contestate, anche se oggettivamente inesistenti, risulterebbero in sostanza fiscalmente neutre e perciò inidonee ad arrecare danno all’Erario.
-La sentenza va dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria territorialmente competente anche per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 13 maggio 2025.
Il Consigliere est. La Presidente NOME COGNOME NOME–NOME COGNOME