Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21560 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21560 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 2430/2024 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
– ricorrente –
–
intimato- contro
COGNOME NOMECOGNOME
avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, n. 6094/14/2023, depositata in data 17 luglio 2023, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’11 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello principale de ll’Agenzia delle Entrate e l’appello incidentale di Brancale Giuseppe, proposti entrambi avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto parzialmente il ricorso presentato dal contribuente avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. TY301D704710 -16, per Irpef, Irap e Iva, anno d’imposta 2011, oltre interessi e sanzioni, in relazione ad operazioni oggettivamente inesistenti, riducendo i costi recuperati dall’Ufficio e la relativa Iva.
I giudici di secondo grado hanno ritenuto infondati sia l’appello principale, che l’appello incidentale, affermando quanto segue:
« Al di là del richiamo fatto dal Collegio di primo grado a ragioni di equità fiscale, a cui il giudice non può fare riferimento, l’ammontare di pagamenti giustificabili risulta per tabulas in quanto la relativa diminuzione dell’importo di euro 108.166,18 è stata acclarata dal Collegio di primo grado in relazione alle sei ditte coinvolte, con tracciabilità ditta per ditta. Ciò posto dopo che ha individuato i pagamenti tracciabili sulla base della parziale documentazione fornita dalla parte ricorrente, ha verificato la fondatezza dell’accertamento e poi ha determinato l’entità della base imponibile in misura adeguata, riuscendo a quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal petitum delle parti. Tenuto conto che i costi inseriti nel rigo F 14 dello studio di settore, emesse da altri trasportatori nell’anno 2011 nei confronti del ricorrente e ammontanti complessivamente a euro 308.657 (più IVA per euro 62.633), risulta verosimile la diminuzione
per l’importo di euro 108.166,18 sulla base della documentazione prodotta. Quindi non si tratta di una sentenza fondata su ragioni di equità fiscale ma si tratta di un riallineamento di una ricostruzione comunque di tipo induttivo che tiene conto della frammentaria, ma esistente, documentazione prodotta. Pertanto, da un lato risulta provato l’assunto dell’Ufficio, cioè il fatto che le operazioni erano sostanzialmente inesistenti ma solo in parte, alla luce della documentazione prodotta che evidenzia che in parte le operazioni furono effettuate».
L’ Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
COGNOME NOME non ha svolto difese.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo del ricorso principale deduce la violazione e falsa degli artt. 2, 8 e 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 2697 e 2729 c.c. (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.). La sentenza impugnata era erronea, in quanto il Giudice tributario di merito aveva ritenuto che l’Ufficio avesse fornito elementi sufficienti a sostegno della contestazione dell ‘ inesistenza delle operazioni e, poi, inopinatamente aveva ritenuto di ridurre gli imponibili accertati in relazione agli importi per i quali il contribuente aveva provato di avere eseguito pagamenti (in favore degli emittenti le fatture contestate) con mezzi tracciabili, in contrasto con l’insegnamento giurispru denziale per cui l’esibizione dei mezzi di pagamento era del tutto inidonea ed insufficiente al fine di consentire al contribuente di assolvere all’onere di provare l’esistenza delle operazioni contestate.
Il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 del d.lgs n. 546 del 1992 (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.). La sentenza era nulla, in quanto, anche a volere ritenere che la CGT avesse inteso valorizzare, ai fini dell’assolvimento dell’onere
della prova, altra «documentazione prodotta» dal contribuente diversa dai mezzi di pagamento, non aveva comunque precisato di quale (ulteriore eventuale) documentazione si trattava.
I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono fondati.
3.1 Sussiste, innanzi tutto, il vizio di motivazione dedotto, in quanto i giudici di secondo grado, dopo avere precisato che la sentenza di primo grado non era fondata su ragioni di equità fiscale, ha argomentato, in modo peraltro, poco comprensibile , che « si tratta di un riallineamento di una ricostruzione comunque di tipo induttivo che tiene conto della frammentaria, ma esistente, documentazione prodotta. Pertanto, da un lato risulta provato l’assunto dell’Ufficio, cioè il fatto che le operazioni erano sostanzialmente inesistenti ma solo in parte, alla luce della documentazione prodotta che evidenzia che in parte le operazioni furono effettuate», non specificando quale fosse la «documentazione prodotta» dal contribuente diversa dai mezzi di pagamento.
3.2 Come questa Corte ha più volte affermato, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232, citata; Cass., 15 giugno 2017, n. 14927; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 20 ottobre 2021, n. 29124). Invero, si è in presenza di una tipica fattispecie di «motivazione apparente», allorquando la motivazione della sentenza impugnata, risulta essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del « minimo costituzionale»
richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., 13 aprile 2021, n. 9627).
3.3 Così delineati i principi statuiti da questa Corte, la censura relativa al difetto di motivazione appare fondata, dal momento che dalla lettura della sentenza impugnata non risultano chiaramente esposte le ragioni della decisione.
3.4 In ogni caso i motivi sono pure fondati, dovendosi richiamare, in proposito, i principi statuiti da questa Corte in tema di deducibilità dei costi e di detrazione Iva e di onere della prova in ipotesi di operazioni inesistenti sia con riferimento alle imposte dirette, che a quelle indirette.
3.5 Con riferimento alle imposte dirette, questa Corte ha più volte precisato che « In materia di deducibilità dei costi d’impresa, la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, come in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per mancanza del rapporto sottostante, comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia » (cfr., fra tutte, Cass., 19 dicembre 2019, n. 33915). Ancora è stato affermato che, « in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 14, comma 4-bis, della l. n. 537 del 1993 – nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012 – l’acquirente dei beni può
dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, anche nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti, in virtù del d.P.R. n. 917 del 1986, dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, mentre è esclusa la deducibilità dei costi delle operazioni oggettivamente inesistenti » (Cass., 15 marzo 2022, n. 8480; Cass., 7 dicembre 2016, n. 25249).
3.6 In tema di IVA, poi, con specifico riferimento all’ipotesi, di cui alla presente controversia, in cui l’amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, va richiamato il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628, in motivazione, citata; Cass., 5 luglio 2018, n. 17619).
3.7 Ciò posto, la sentenza impugnata non è conforme ai principi suesposti, in quanto, sul presupposto accertato dell’inesistenza delle operazioni di cui alle fatture contestate, ha dato rilievo (così come i giudici di primo grado) ai pagamenti tracciabili sulla base della parziale documentazione fornita dal contribuente e così facendo non ha fatto corretta applicazione dei criteri che governano l’onere della prova in materia di operazioni oggettivamente inesistenti, avendo ritenuto che il contribuente avesse dato la prova della certezza ed inerenza delle
prestazioni oggetto di contestazione con la documentazione (parziale) attestante i pagamenti.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 11 giugno 2025.