Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8817 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8817 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 7406-2016, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf. CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, dal quale è rappresentata e difesa –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf CODICE_FISCALE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende – controricorrente
Avverso la sentenza n. 4805/38/2015 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 16 settembre 2015; adunanza camerale del 6
udita la relazione della causa svolta nell’ ottobre 2023 dal AVV_NOTAIO,
IVA -Operazioni. oggettivamente inesistenti
Rilevato che
Dalla sentenza impugnata si evince che l ‘RAGIONE_SOCIALE notificò alla RAGIONE_SOCIALE, operante nel settore agricolo ambientale, l’avviso d’accertamento con cui rideterminò il reddito relativo all’anno d’imposta 2007, ai fini Ires, Iva ed Irap.
L’atto impositivo era stato emesso a seguito di una verifica fiscale eseguita presso una società di consulenza (RAGIONE_SOCIALE), con sede legale presso un magazzino abbandonato, che non aveva mai presentato dichiarazioni dei redditi, né operato versamenti di imposte; il suo amministratore era irreperibile e risultava l’emissione di fatture per prestazioni inesistenti nei confronti di soggetti terzi.
Era stato pertanto contestato alla RAGIONE_SOCIALE, destinataria di fatture dalla RAGIONE_SOCIALE per l’importo di € 475.000,00, di aver dedotto costi corrispondenti a quell’importo per operazioni oggettivamente inesistenti.
La società propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che con sentenza n. 539/05/2013 respinse le ragioni della contribuente. L’appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio fu rigettato con sentenza n. 4805/38/2015.
Il giudice regionale ha confermato le statuizioni di primo grado, rilevando che l’RAGIONE_SOCIALE aveva indiziariamente dimostrato l’oggettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni fatturate e la colpevolezza della società, le cui controprove erano state di contro ritenute inidonee ad escludere il coinvolgimento della RAGIONE_SOCIALE nella condotta fraudolenta.
La società ha censurato con due motivi la decisione, chiedendone la cassazione, cui ha resistito l’ufficio con controricorso.
All’esito dell’adunanza camerale del 6 ottobre 2023 la causa è stata discussa e decisa.
Considerato che
Con il primo motivo la società denuncia l’erronea o falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., nonché dell’art. 54, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 , quanto al malgoverno RAGIONE_SOCIALE regole sulle prove presuntive.
Il motivo è infondato.
Premesso che dal contenuto della decisione emerge senza equivoci interpretativi che l’Amministrazione finanziaria abbia contestato il compimento di operazioni oggettivamente inesistenti, sul tema la giurisprudenza ha ritenuto che l’Amministrazione finanziaria che contesti al contribuente l’indebita detrazione, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo.
Una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, offrire la controprova dell’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (ex multis, Cass., 13 marzo 2013, n. 6229; 14 settembre 2016, n. 18118; 18 ottobre 2021, n. 28628).
Quanto alla denuncia di malgoverno RAGIONE_SOCIALE prove presuntive, sulle modalità di utilizzo e valorizzazione RAGIONE_SOCIALE prove indiziarie deve
innanzitutto ribadirsi che compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 cod. civ. alla fattispecie concreta, poiché se è devoluto al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ. per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (Cass., 26 gennaio 2007, n. 1715; 5 maggio 2017, n. 10973; 15 novembre 2021, n. 34248; cfr. anche, 13 ottobre 2005, n. 19984). Peraltro, ai fini dell’utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva, che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti accertati dalla amministrazione (Cass., 8 aprile 2009, n. 8484; 15 gennaio 2014, n. 656; 26 settembre 2018, n. 23153; 28 aprile 2021, n. 11162), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova.
La giurisprudenza di legittimità ha comunque tracciato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento ( ex multis , cfr. Cass., 16 maggio 2017, n. 12002; 12
aprile 2018, n. 9059; 25 ottobre 2019, n. 27410). Ciò che pertanto rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria.
Nel caso di specie il giudice regionale ha analiticamente riportato tutti gli elementi indiziari, su cui era stata fondata la verifica dell’oggettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE prestazioni di servizi di consulenza fatturati dalla RAGIONE_SOCIALE (l’inesistenza di una sede legale, rinvenuta in un capannone abbandonato, la sistematica omissione di presentazione di dichiarazioni fiscali, così come del versamento di imposte; l’irreperibilità dell’amministratore della società, il riscontro della emissione di fatture per prestazioni inesistenti, formalmente offerte ad altri soggetti terzi). Ha dunque vagliato gli elementi offerti dalla odierna ricorrente in ordine alla esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni fatturate (il pagamento di somme tramite bonifici bancari, la documentazione fotografica nella quale si intravede un citofono ed un portone, la quale è tuttavia priva di data, l’affermazione di riunioni tenutesi presso la RAGIONE_SOCIALE, priva di riscontri obiettivi). Ha ritenuto che gli elementi addotti dalla società non fossero idonei a superare gli indizi, considerati gravi, precisi e concordanti, allegati dall’amministrazione finanziaria a supporto degli esiti della verifica.
Il giudice, nello sviluppo del procedimento logico-argomentativo, ha rispettato i principi di diritto che questa Corte ha elaborato in materia, così che il motivo risulta infondato. Né ha pregio evidenziare che nel suo ragionamento il giudice regionale abbia indirizzato l’attenzione su elementi che riguardavano l’esistenza della società fornitrice, perché in tema di operazioni oggettivamente inesistenti quello che conta è la prova, anche presuntiva, dell ‘ inesistenza della
fornitrice medesima, posto che, se essa manca, mancano le operazioni fatturate. Non è necessario cioè, a differenza RAGIONE_SOCIALE operazioni soggettivamente inesistenti, dare la prova della consapevolezza soggettiva del cessionario, perché RAGIONE_SOCIALE operazioni oggettivamente inesistenti è implicita la consapevolezza e la responsabilità del cessionario.
Peraltro, per mera completezza, gli indizi vagliati in sede d’accertamento dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sarebbero stati più che sufficienti a provare il coinvolgimento soggettivo della cessionaria, anche qualora le operazioni fossero state solo soggettivamente inesistenti.
Con il secondo motivo ci si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo, e della carenza di motivazione sul punto (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.). Sostiene la ricorrente di aver evidenziato diversi ‘fattori’ in grado di superare le presunzioni dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. A parte che gli elementi addotti dalla difesa della società sono stati tutti palesemente esaminati e ponderati dal giudice dell’appello, che li ha ritenuti inidonei a superare la prova presuntiva allegata da ll’ufficio, il vizio di motivazione, nella formulazione introdotta dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni in l. 7 agosto 2012, n. 134, deve riferirsi all’omesso esame di un fatto, laddove la censura è costruita come critica indirizzata al ragionamento elaborato dal giudice regionale. In realtà la società ha sollecitato una rivalutazione del merito della vicenda in sede di legittimità, così che il motivo si rivela inammissibile.
Il ricorso va in conclusione rigettato e all’esito del giudizio segue la soccombenza della ricorrente nelle spese di causa, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione in favore dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE spese processuali del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 7.500,00 per competenze, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 6 ottobre 2023