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Operazioni inesistenti: la Cassazione sui profitti

La Corte di Cassazione conferma la tassabilità dei profitti derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti. Una società, operante sia nel commercio di metalli che come “cartiera”, si è vista confermare l’accertamento fiscale che recuperava a tassazione sia i ricavi occulti dell’attività reale, sia un compenso presunto per il suo ruolo di interposta fittizia. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che anche i proventi illeciti costituiscono reddito imponibile e che l’accertamento induttivo è legittimo in presenza di scritture contabili inattendibili a causa dell’emissione di fatture false.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni soggettivamente inesistenti: la Cassazione conferma la tassazione dei profitti illeciti

Con l’ordinanza n. 24534/2025, la Corte di Cassazione affronta un caso complesso di operazioni soggettivamente inesistenti, ribadendo principi fondamentali in materia di tassazione dei proventi illeciti e di onere della prova. La decisione chiarisce come l’amministrazione finanziaria possa legittimamente accertare un reddito presunto in capo a una società “cartiera”, derivante dal suo coinvolgimento in frodi fiscali. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da due avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate a una società a responsabilità limitata e al suo socio unico per l’anno d’imposta 2005. L’Ufficio contestava un maggior reddito derivante da una duplice condotta:

1. Attività reale: L’occultamento di ricavi derivanti dall’effettiva attività di commercio di materiale non ferroso usato.
2. Attività fittizia: Il conseguimento di un corrispettivo per il ruolo di “cartiera”, ovvero di società fittiziamente interposta in operazioni soggettivamente inesistenti.

In sostanza, secondo la ricostruzione del Fisco, la società svolgeva contemporaneamente un’attività economica lecita (seppur con ricavi non interamente dichiarati) e un’attività illecita parallela, fungendo da schermo per consentire a terzi di evadere le imposte. Per quest’ultima attività, l’Agenzia aveva determinato induttivamente un compenso, pari al 10% delle imposte risparmiate dalle società beneficiarie della frode. Al socio unico, invece, veniva contestato il maggior reddito da partecipazione occultamente distribuito.

I ricorsi presentati dalla società e dal socio venivano respinti sia in primo che in secondo grado. La Commissione Tributaria Regionale confermava la ricostruzione dell’Ufficio, ritenendo plausibile la coesistenza delle due attività e la derivazione del maggior reddito da entrambe le fonti.

La Decisione della Corte di Cassazione e le operazioni soggettivamente inesistenti

I ricorrenti hanno impugnato la sentenza di secondo grado dinanzi alla Corte di Cassazione, avanzando cinque motivi di ricorso. La Suprema Corte, tuttavia, li ha rigettati tutti, confermando in toto la decisione dei giudici di merito e la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni dei ricorrenti con un ragionamento logico e giuridicamente solido.

1. Pregiudizialità tra i giudizi: Il primo motivo, con cui si lamentava la mancata sospensione del giudizio relativo al socio in attesa della definizione di quello della società, è stato ritenuto inammissibile e infondato. La Corte ha chiarito che, non essendo stata sollevata l’eccezione nei gradi di merito, non poteva essere proposta per la prima volta in Cassazione. Inoltre, non sussistevano i presupposti per una sospensione necessaria.

2. Tassabilità dei proventi illeciti e accertamento induttivo: Il cuore della controversia risiede nel secondo motivo, con cui si contestava la possibilità di tassare un “ricavo” derivante da un’attività illecita. La Cassazione ha respinto categoricamente questa tesi, affermando un principio consolidato: i proventi derivanti da fatti, atti o attività illecite sono soggetti a tassazione se rientrano nelle categorie di reddito previste dalla legge. Il compenso percepito dalla società per il suo ruolo di “cartiera” è stato qualificato come “profitto illecito” e, come tale, pienamente imponibile. Di conseguenza, data la natura illecita e non dichiarata del provento, e l’inattendibilità complessiva delle scritture contabili (viziate dall’emissione di fatture false), l’Ufficio ha legittimamente utilizzato il metodo di accertamento induttivo puro per quantificarlo.

3. Inesistenza soggettiva e non oggettiva: I ricorrenti hanno tentato di sostenere che i giudici di merito avessero erroneamente applicato la disciplina delle operazioni oggettivamente inesistenti. La Corte ha definito il motivo inammissibile perché non coglieva nel segno: sia la contestazione dell’Ufficio che la sentenza impugnata avevano costantemente e chiaramente fatto riferimento a operazioni soggettivamente inesistenti.

4. Inapplicabilità del reverse charge: Anche il quarto motivo, relativo a una presunta errata contestazione sulla detrazione IVA in regime di inversione contabile (reverse charge), è stato respinto. La Corte ha evidenziato che, in punto di diritto, la partecipazione a operazioni soggettivamente inesistenti esclude l’applicazione dei meccanismi di neutralizzazione dell’IVA come il reverse charge, proprio perché la transazione fatturata non corrisponde a quella reale. La consapevolezza della frode da parte del contribuente impedisce qualsiasi diritto alla detrazione.

5. Posizione del socio: L’ultimo motivo, relativo alla posizione del socio unico, è stato rigettato come conseguenza diretta del rigetto dei motivi riguardanti la società. Essendo stato confermato il maggior reddito accertato in capo alla società, ne discendeva logicamente la presunzione di distribuzione di maggiori utili al socio.

Conclusioni

L’ordinanza in commento offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, consolida il principio secondo cui “pecunia non olet” (il denaro non ha odore) anche in ambito fiscale: qualsiasi provento, anche se di origine illecita, costituisce materia imponibile. In secondo luogo, avvalora la legittimità dell’accertamento induttivo quando le scritture contabili sono inquinate da condotte fraudolente come l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Infine, ribadisce la rigorosa interpretazione della giurisprudenza in materia di frodi IVA, negando l’applicazione di regimi di favore come il reverse charge a chi partecipa consapevolmente a un disegno criminoso. Questa decisione rappresenta un monito per gli operatori economici sulla pervasività dei controlli fiscali e sull’impossibilità di invocare tecnicismi giuridici per sfuggire alle conseguenze di condotte illecite.

I profitti derivanti da un’attività illecita, come quella di “cartiera” in operazioni soggettivamente inesistenti, sono tassabili?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che i proventi derivanti da fatti illeciti costituiscono reddito da sottoporre a tassazione. Il compenso ottenuto per il ruolo di società interposta fittizia è considerato un “profitto illecito” e, come tale, rientra nel reddito imponibile.

È legittimo per l’Agenzia delle Entrate usare un metodo induttivo per determinare il reddito di una società coinvolta in operazioni fraudolente?
Sì. Secondo la Corte, l’inattendibilità delle scritture contabili, dovuta anche all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, giustifica pienamente il ricorso all’accertamento induttivo puro per ricostruire il reddito effettivo della società.

Il regime del “reverse charge” si applica in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
No. La Corte ha chiarito che il meccanismo di neutralizzazione dell’IVA, come il reverse charge, non può trovare applicazione per le operazioni soggettivamente inesistenti, poiché la consapevolezza del contribuente di partecipare a un’evasione d’imposta preclude il diritto alla detrazione e l’applicazione di regimi agevolativi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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