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Operazioni inesistenti: la Cassazione e l’onere prova

Una società del settore alberghiero ha richiesto un rimborso IVA derivante dall’acquisto di un immobile da una società collegata. L’Agenzia delle Entrate ha contestato l’operazione, ritenendola parzialmente inesistente a causa di un prezzo di vendita gonfiato, finalizzato a generare un credito IVA indebito. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell’Agenzia, ha stabilito che il giudice di merito ha errato nel non valutare adeguatamente tutti gli indizi di fittizietà forniti dall’amministrazione finanziaria. In presenza di presunzioni gravi, precise e concordanti di operazioni inesistenti, l’onere della prova si sposta sul contribuente, che non può limitarsi a esibire la fattura o la regolarità delle scritture contabili, ma deve dimostrare l’effettiva realtà economica dell’operazione.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione detta le regole sull’onere della prova

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sul delicato tema delle operazioni inesistenti e sulla ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. La decisione sottolinea come, di fronte a presunzioni gravi, precise e concordanti fornite dal Fisco, spetti alla società dimostrare l’effettiva esistenza e la correttezza economica delle transazioni contestate. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dai giudici.

I Fatti del Caso: Una Complessa Operazione Immobiliare

La controversia nasce da un avviso di accertamento notificato a una società a responsabilità limitata operante nel settore turistico-alberghiero. L’Agenzia delle Entrate contestava la detraibilità dell’IVA e la deducibilità dei costi relativi all’acquisto di un complesso immobiliare.

Secondo la ricostruzione del Fisco, la società acquirente aveva acquistato l’immobile da una società ad essa collegata (avendo di fatto lo stesso socio unico) a un prezzo notevolmente superiore a quello di mercato. L’operazione, secondo l’accusa, era stata architettata per generare un cospicuo credito IVA, del quale la società acquirente aveva poi chiesto il rimborso. Sebbene fosse stata emessa una nota di credito per ridurre il prezzo, la sua comparsa tardiva nel corso delle verifiche fiscali ha insospettito gli accertatori, portandoli a considerare l’intera operazione come parzialmente fittizia.

Il Percorso Giudiziario e i Motivi del Ricorso

Il caso ha avuto un lungo iter processuale. Dopo una prima decisione favorevole al contribuente, la Corte di Cassazione aveva già annullato la sentenza, rinviando la causa alla Commissione Tributaria Regionale per un nuovo esame.

Anche la decisione del giudice del rinvio è stata però impugnata, questa volta da entrambe le parti. La società contribuente lamentava una motivazione contraddittoria, mentre l’Agenzia delle Entrate denunciava la violazione delle norme sull’IVA (in particolare gli artt. 19, 21 e 26 del D.P.R. 633/72) e l’omesso esame di fatti decisivi che provavano la fittizietà dell’operazione.

La gestione delle operazioni inesistenti e l’onere probatorio

Il punto cruciale del ricorso dell’Agenzia riguardava la valutazione delle prove. L’Amministrazione Finanziaria sosteneva che il giudice di merito non avesse considerato adeguatamente tutti gli elementi indiziari raccolti, come la complessa rete di operazioni tra società collegate avvenute nello stesso giorno, la discrepanza tra il valore reale e il prezzo fatturato, e soprattutto la tardiva e sospetta apparizione della nota di credito, emersa solo dopo l’inizio dei controlli fiscali.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritenendolo fondato. I giudici hanno evidenziato come il giudice del rinvio si sia sottratto al dovere di valutare in modo completo e approfondito il quadro probatorio fornito dall’Amministrazione.

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: una volta che il Fisco dimostra, anche tramite presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti, l’oggettiva inesistenza dell’operazione contestata, l’onere della prova si inverte. Spetta quindi al contribuente provare l’effettiva esistenza delle operazioni, e tale prova non può ritenersi assolta con la mera esibizione della fattura o con la dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili. Questi elementi, infatti, sono spesso utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.

Nel caso specifico, il giudice di merito aveva omesso di valutare elementi cruciali, come la sequenza temporale delle operazioni e l’assenza di tracce delle stesse nelle note integrative dei bilanci delle società coinvolte. Inoltre, aveva erroneamente attribuito valore probatorio a fatti irrilevanti o addirittura inesistenti (come un avviso di liquidazione per l’imposta di registro che era stato in realtà annullato in autotutela). La Corte ha censurato questo approccio, definendolo una valutazione parziale e atomistica degli indizi, anziché una valutazione complessiva e logica.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Commissione Tributaria Regionale, in diversa composizione, per un nuovo esame. Il nuovo giudice dovrà attenersi ai principi di diritto enunciati, procedendo a una valutazione completa di tutti gli elementi indiziari forniti dall’Agenzia e verificando se il contribuente sia stato in grado di fornire la prova contraria richiesta. Questa ordinanza rappresenta un’importante conferma della rigorosa linea giurisprudenziale in materia di operazioni fittizie, ricordando alle imprese l’importanza della sostanza economica delle transazioni e della trasparenza documentale, specialmente nelle operazioni infragruppo.

Cosa si intende per ‘operazione inesistente’ ai fini IVA?
Per ‘operazione inesistente’ si intende non solo una transazione mai avvenuta, ma anche qualsiasi divergenza tra la realtà commerciale e la sua rappresentazione documentale, come ad esempio la fatturazione per un importo superiore a quello reale.

A chi spetta l’onere della prova in caso di contestazione di operazioni inesistenti?
Inizialmente, spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, anche con presunzioni gravi, precise e concordanti, l’inesistenza dell’operazione. Una volta fornita tale prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esistenza e la realtà economica della transazione.

Una nota di credito è sempre sufficiente a correggere una fattura con un prezzo gonfiato?
No. Secondo la sentenza, una nota di credito può rettificare una fattura solo se l’operazione originaria è reale ed effettiva. Se l’operazione è considerata inesistente o fittizia sin dall’origine, come nel caso di una sovrafatturazione deliberata, la procedura di variazione tramite nota di credito non è ammessa e l’imposta resta dovuta per l’intero importo indicato nella fattura originaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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