Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32275 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32275 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23505/2023 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in NAPOLI CENTRO DIREZIONALE INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché contro
AGENZIA ENTRATE RISCOSSIONE ,
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO CAMPANIA n. 3494/2023 depositata il 30/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/07/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
L’Agenzia delle entrate spiccava avviso di accertamento n. TF3010504318/2020, nei confronti della Ditta COGNOME Pasquale per l’anno di imposta 2015 , contestando il suo coinvolgimento, quale cessionaria, in operazioni inesistenti con la ‘missing RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE e recuperando così IVA illegittimamente detratta pari ad € 40.706,00 e costi indeducibili accertati di €185.039,00 (costi inesistenti, non inerenti, non documentati), oltre sanzioni.
Il COGNOME impugnava l’accertamento innanzi alla CTP di Napoli che, con sentenza n. 12710/2021, rigettava il ricorso, ritenendo che fossero state contestate operazioni oggettivamente inesistenti e che l’Amministrazione avesse assolto l’onere a suo carico. Secondo i primi giudici, la RAGIONE_SOCIALE era risultata evasore totale, non svolgente alcuna attività per inesistenza di una struttura operativa, mancanza di utenze di qualsiasi tipo elettriche, idriche, gas e di rifiuti, assenza di personale dipendente, mentre la società RAGIONE_SOCIALE aveva emesso fatture per operazioni soggettivamente inesistenti nei confronti di altri operatori commerciali. Inoltre, secondo la CTP, le fatture contestate risultavano pagate da un soggetto diverso dal ricorrente.
La Corte di Giustizia Tributaria (CGT) di secondo grado della Campania, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello . Osservava che la contestazione riguardava operazioni oggettivamente inesistenti: l’Agenzia aveva provato tramite presunzioni che entrambi i fornitori RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE erano soggetti inesistenti, mentre il contribuente non aveva fornito alcuna prova contraria al riguardo, neppure dei pagamenti che sarebbero stati effettuati , avendo dimostrato soltanto l’ordine dei bonifici ma non l’addebito sul conto corrente ; la prova del pagamento, in ogni caso, non sarebbe stata sufficiente al fine di ritenere deducibili i costi in questione.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il contribuente affidandosi a cinque motivi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
In data 7.2.2024 è stata depositata proposta di definizione accelerata, notificata il 13.2024, e in data 18.3.2024 il difensore del ricorrente, munito di nuova procura, ha depositato istanza per la decisione.
Il ricorrente ha anche depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo è stata dedotta « omessa valutazione di fatti decisivi denunciata ai sensi dell’art.360, n.5 cpc » perché la CGT di secondo grado non aveva considerato che era stata data prova dei pagamenti da parte della ricorrente non solo tramite disposizioni di bonifici bancari sul suo conto corrente ma anche con gli estratti conto che dimostravano l’addebito .
1.1. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 commi terzo e quarto, del DPR n. 600/1973, perché la preclusione prevista dall’art. 32, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 600/73 (inutilizzabilità dei documenti nel processo) vale solo se, in sede di verifica, l’Agenzia delle entrate specifica in modo puntuale i documenti richiesti e avverte delle conseguenze della mancata produzione.
1.2. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 7, dell’art. 36 e dell’art. 58 del d.lgs. 546/1992, perché la CGT aveva espressamente autorizzato il deposito della documentazione bancaria e, pertanto, era invalida la decisione laddove aveva concluso che i bonifici non erano «corredati dagli estratti conto che confermassero l’addebito» .
1.3. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art.360, c.1, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 7 d.lgs. n. 546/92
nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., laddove la CGT ha osservato che «il contribuente non ha mai contestato l’inesistenza delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con conseguente applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c.» ; il contribuente, sia nel corso della fase endoprocedimentale che nei giudizi di merito, aveva sempre insistito sulla realtà delle operazioni deducendo elementi di prova che non erano stati inficiati dagli accertamenti dell’Agenzia, sulla quale incombeva l’onere di dimostrare l’inesistenza delle operazioni; in questo caso, invece, si era addossato al contribuente l’onere della prova contraria, così violando anche i l comma 5 bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546/92, disposizione di carattere processuale che, sebbene applicabile successivamente al 16 settembre 2022, opera in tutti i procedimenti ancora in corso a quella data.
1.4. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., « Omesso esame dei motivi del ricorso, violazione dell’art. 112 cpc, dell’art. 132 co.1 n. 4 cpc e dell’art. 36 d.lgs. 546/92 », perché sulle deduzioni del contribuente in ordine all’acquisto della merce in buona fede e sulla necessità di quelle forniture per lo svolgimento della sua attività l a s entenza aveva omesso ogni valutazione, limitandosi ad osservare che, trattandosi di operazioni oggettivamente inesistenti, non era necessario provare la conoscenza o la conoscibilità della partecipazione alla frode; inoltre, la CGT non aveva considerato le contestazioni in merito ai costi recuperati (relativi ad acquisto rame) sulle quali i giudici di secondo grado avevano l’obbligo giuridico di decidere ex art.112 cpc. Inoltre, sempre sotto il quinto motivo , si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 36 comma 2 n. 4 d.lgs. n. 546/92, dell’art. 132 cpc e dell’art. 111 cost., motivazione apparente della s entenza della CGT, che si era limitata a riprodurre pedissequamente interi
blocchi di periodi esposti nelle controdeduzioni depositate dall’Agenzia.
2. La proposta di definizione anticipata (PDA) è così motivata: « Primo motivo inammissibile per un triplice ordine di ragioni: in primo luogo, il motivo, più che incentrato sull’esame di un fatto storico, appare diretto a un riesame della documentazione (in gran parte prodotta in appello, da qui la deduzione del superamento della ‘doppia conforme’) al fine di dimostrare l’intervenuto pagamento delle prestazioni sottostanti l’emissione delle cinque fatture contestate; nel qual caso, si osserva che «la giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai consolidata (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. Un., 18 aprile 2018, n. 9558; Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2018, n. 33679) nell’affermare che il novellato testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma» (Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476); in secondo luogo, quand’anche possa individuarsi un fatto storico nel pagamento a mezzo bonifico bancario, non risulta formulato il giudizio di decisività della suddetta circostanza, ossia in che termini, in tema di operazioni oggettivamente inesistenti (come accertato dal giudice di appello), il pagamento sia circostanza idonea a offrire la prova contraria dell’esistenza dell’operazione sottostante, in
costanza della giurisprudenza di questa Corte secondo cui i mezzi di pagamento vengono di regola utilizzati allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. 28628); in terzo (e non ultimo) luogo, il fatto storico del pagamento a mezzo bonifico o, per meglio dire, la documentazione che dimostrerebbe l’intervenuto pagamento delle prestazioni sottostanti l’emissione delle fatture, è stata oggetto di esame da parte del giudice di appello (‘il ricorrente ha prodotto copia di ordini di bonifico, presumibilmente operati on line, di somme dovute alle società fornitrici in forza delle fatture contestate (…) gli ordini di bonifico depositati in copia dal ricorrente inoltre non risultano idonei a dare prova dell’avvenuto addebito degli stessi sul conto corrente Unicredit da cui provengono e quindi del pagamento delle fatture in contestazione in quanto, come che si desume chiaramente dagli ordini di bonifico, essi sono ‘revocabili’ (…) considerato che non ha prodotto la copia dei propri estratti di conto corrente da cui risulti l’avvenuto addebito del bonifico, non può dirsi provato l’avvenuto pagamento poiché l’ordine di bonifico prodotto prova l’inserimento della richiesta nel sistema informatico della stessa ma non l’esecuzione della stessa (…) le ricevute prodotte dal contribuente provano che i bonifici sono stati inseriti (disposti correttamente) ma non che siano stati eseguiti’); il che rende ulteriormente evidente come la censura di parte ricorrente si risolva in un inammissibile riesame in sede di legittimità della documentazione e, quindi, della scelta e della valutazione delle prove, attività che spetta al giudice del merito; secondo motivo inammissibile in quanto -in disparte la circostanza che tale questione non risulta trattata dalla sentenza impugnata e il ricorrente non dimostra che la questione sia stata introdotta sin dal primo grado di giudizio (per il vero, da quanto emerge a pag. 2 del ricorso, la questione non era stata dedotta davanti al giudice del merito di primo grado), il ricorrente non coglie la ratio decidendi
della sentenza impugnata, incentrata sulla inesistenza oggettiva delle fatture di acquisto in oggetto e sulla mancata prova contraria dell’esistenza dell’operazione sottostante; terzo motivo inammissibile nella parte in cui deduce violazione dell’art. 7 d. lgs. n. 546/1992 per avere autorizzato il deposito della documentazione bancaria in quanto -in disparte il difetto di interesse del ricorrente a sollevare la questione, posto che si trattava di documentazione prodotta dallo stesso contribuente in appello al fine di assolvere al proprio onere della prova -il motivo è privo di argomentazioni a supporto; quarto motivo inammissibile, in quanto dietro la censura di violazione di legge il ricorrente intende giungere a un diverso apprezzamento degli elementi di prova da parte del giudice di legittimità, attività riservata al giudice del merito; quarto motivo inammissibile quanto alla deduzione della violazione dell’art. 7, comma 5-bis, d. lgs. n. 546/1992, in quanto motivo nuovo, non trattato dalla sentenza di appello; ove tale norma dovesse (in tesi) applicarsi al giudizio in corso in quanto norma processuale, la norma si sarebbe dovuta invocare davanti al giudice del merito, essendo la decisione stata assunta nel vigore già della nuova disciplina; quinto motivo manifestamente infondato -sotto il duplice profilo dell’omessa pronuncia e della motivazione apparente -per essere la motivazione compiuta in ordine all’accertamento degli elementi indiziari relativi alla inesistenza delle operazioni sottostanti e alla mancanza di prova contraria della effettiva esecuzione delle prestazioni, nonché per avere il giudice di appello correttamente rilevato che in tema di operazioni oggettivamente inesistenti non ha alcun rilievo la buona fede del contribuente cessionario (‘una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede’); ugualmente manifestamente infondato è il medesimo motivo ove censura l’omesso esame delle altre questioni dedotte dal ricorrente, posto che -in disparte l’estraneità delle questioni agitate dal ricorrente rispetto alla ratio
decidendi al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto a esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., Sez. VI, 2 dicembre 2014, n. 25509; Cass., Sez. III, 20 novembre 2009, n. 24542), senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi (Cass., Sez. V, 2 aprile 2020, n. 7662; Cass., Sez. V, 30 gennaio 2020, n. 2153); propone la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. Si comunichi ai difensori delle parti Roma, il 07/02/2024 ».
Il ricorso è infondato; alla motivazione della PDA, che deve essere pienamente condivisa, può aggiungersi, anche alla luce di quanto osservato dal ricorrente nella successiva memoria, quanto segue.
Con riguardo al primo motivo, non si può che confermare la diffusa motivazione della PDA sottolineando che i pagamenti allegati non possono considerarsi ‘ fatto storico decisivo ‘ , nel senso richiesto dall’art. 360 comma 1 n. 5 c.c. (Cass. n. 13024 del 2022; Cass. n. 14802 del 2017), attesa la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui « In tema di IVA, l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in
quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia » (Cass. n. 9723 del 2024; Cass. n. 28628 del 2021; Cass. n. 17619 del 2018).
4.1. La CTR si è mossa sul solco di questo indirizzo, come risulta chiaramente laddove osserva che « la regolarità dei pagamenti non costituisce adempimento dell’onere della prova in relazione all’esistenza dell’operazione in caso di fatturazione oggettivamente inesistenti» , senza sottrarsi, peraltro, alla verifica della ‘resistenza’ del compendio indiziario (« Ad ogni modo, se pure si volesse ritenere raggiunta la prova del pagamento, si sottolinea che la restante documentazione prodotta dal ricorrente sarebbe comunque insufficiente a fondare l’accoglimento dell’appello »): a sostegno della decisione ha evidenziato l’assenza totale di documentazione extra contabile comprovante l’esistenza di reali rapporti commerciali tra il ricorrente e le società fantasma (contratti, preventivi, mail commerciali, cc.) , l’estraneità delle prestazioni svolte dalla RAGIONE_SOCIALE rispetto al suo oggetto sociale, nonché l’assenza di struttura organizzativa e di dipendenti di questa società; per la RAGIONE_SOCIALE, già coinvolta in frodi IVA, ha rilevato le incongruità tra fatture e documenti di trasporto.
4.2. In definitiva, la questione della prova dei pagamenti riguarda l’ambito della valutazione delle risultanze istruttorie che non si prestano alla rivalutazione sotto il paradigma del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. ove comunque risulti, come in questo caso, un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass. n. .10525 del 2022).
5. Il secondo motivo è inammissibile, sulla scorta del principio secondo cui « La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 n.4) c.p.c., con conseguente inammissibilità
del ricorso, rilevabile anche d’ufficio » (Cass., n. 20910 del 2017); come già osservato dalla PDA, la questione è estranea alla ratio decidendi della sentenza impugnata, posto che la CTR non ha dichiarato inammissibile la documentazione prodotta dal contribuente.
Il terzo motivo è inammissibile per difetto di specificità, mancando una chiara e concludente argomentazione della dedotta violazione di legge; vale il principio secondo cui il giudice non è tenuto a fondare la sua decisione sui documenti ammessi, poiché resta riservato al giudice di merito il potere di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 9097 del 2017).
Il quarto motivo è inammissibile.
7.1. Come rilevato dalla PDA, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, si mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., n. 34476 del 2019). Va altresì osservato, che « una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione » (Cass. n. 6774 del 2022; Cass. n. 1229 del 2019; Cass. n. 27000 del 2016). Anche la critica al ragionamento presuntivo svolto da giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando si concretizza, come in questo caso, in un’attività diretta ad evidenziare che le
circostanze fattuali avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo ovvero a prospettare una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, c.c. In questi casi la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della quaestio facti , e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio cosicché ci si pone su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. (Cass. sez. un. n. 1785 del 2018).
7.2. Quanto al profilo della violazione delle regole sul riparto dell’onere della prova, va osservato che « La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. » (Cass., n. 17313 del 2020).
7.3. Inammissibile, poi, è la censura relativa alla violazione dell’art. 7 comma 5 bis cit., quale ius superveniens inapplicabile nel caso in esame. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 16493 del 2024), tale disposizione ha chiaramente natura sostanziale posto che, in base al consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, sono tali le norme che, come quella in esame, consistono in regole di giudizio la cui applicazione comporta una decisione di merito, di accoglimento o di rigetto della domanda, mentre hanno carattere processuale le disposizioni che disciplinano i modi di deduzione, ammissione e assunzione delle prove (cfr. Cass. n. 18912 del 2018). Ne consegue che la disposizione in esame, di natura sostanziale e senza alcuna valenza interpretativa
di altre disposizioni in tema di valutazione delle risultanze probatorie, non ha efficacia retroattiva e, quindi, si applica ai giudizi introdotti successivamente al 16 settembre 2022, data di entrata in vigore dell’art. 6 della legge n. 130 del 2022 che l’ha introdotta, per la quale il successivo art. 8, dettato in materia di « disposizioni transitorie e finali », non prevede una diversa decorrenza.
8. Inammissibile è il quinto motivo con riguardo alla censura di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., dovendosi ribadire quanto già osservato in PDA circa contenuto e limiti del compito affidato al giudice del merito: è necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi (alle sentenze già citate può aggiungersi, tra le più recenti, Cass. n. 12131 del 2023).
8.1. Il motivo è invece infondato sotto il profilo della motivazione apparente perché « Nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato » (Cass. n. 29028 del 2022).
9. La definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis c.p.c. comporta l’applicazione de i commi 3 e 4 dell’art. 96 c.p.c., come testualmente previsto dal citato art. 380-bis ultimo comma c.p.c., che « mira a configurare uno strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare, secondo una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato (d.lgs. n. 149 del 2022), un’ipotesi di abuso del diritto di difesa. Richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., l’art. 380 -bis cod. proc. civ. codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato, una ipotesi di abuso del processo, già immanente nel sistema processuale, giacché non attenersi alla delibazione del Presidente che trovi poi conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilità aggravata» (Cass. sez. un., n. 36069 del 2023).
9.1. Va peraltro esclusa una interpretazione della norma che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, dovendo l’applicazione in concreto delle predette sanzioni rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie: nell’ipotesi in esame non si rinvengono ragioni (stante la complessiva ‘tenuta’ della PDA) per discostarsi dalla suddetta previsione legale.
10. Sulla scorta di quanto esposto il ricorrente va condannato al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese di lite liquidate come in dispositivo ed altresì della ulteriore somma di euro 3.000,00 (valutata equitativamente, tenuto conto anche dell’oggetto della domanda), nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 1.500,00.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; visto l’art. 380 bis ult. comma c.p.c., condanna le ricorrenti al pagamento della somma di euro 3.000,00 a favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c., e al pagamento della somma di euro 1.500,00 a favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96 comma 4 c.p.c.;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 02/07/2024.