Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16512 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16512 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29894 -20 20 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del procuratore NOME COGNOME, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (EMAIL) e per procura in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore da ll’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME (pec: EMAIL.) ed elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio legale del predetto ultimo difensore;
– ricorrente –
Oggetto: Tributi – operazioni inesistenti
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO, domicilia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 425/14/2020 della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, depositata in data 12/02/2020; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28 marzo 2024 dal AVV_NOTAIO;
Rilevato che:
In controversia avente ad oggetto l’impugnazione di quattro avvisi di accertamento per imposte dirette ed IVA relativi agli anni d’imposta 2011, 2012, 2013 e 2014 , che l’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione della G.d.F. da cui emergeva la fittizietà delle operazioni commerciali di cessioni di bobine di carta e cartone nonché di container e compattatori usati, intercorse tra la società contribuente, quale interposta, ed altre società, tra la cui la RAGIONE_SOCIALE, gli RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE ed altre, con la sentenza impugnata la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Lombardia rigettava l’appello della società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo, per quanto ancora qui di interesse,
che non sussistevano dubbi sulla natura fittizia delle operazioni commerciali accertate giacché «delle prove documentali fornite dalla parte contribuente emerge che le fatture contestate sono prive dei documenti di trasporto, neppure sono indicate in fattura gli estremi dei documenti di trasporto. Non risultano le movimentazioni delle merci, né tampoco alcun contratto sottostante i rapporti commerciali tra le parti. Inoltre, i
rappresentanti delle società con le quali la contribuente avrebbe intrattenuto i rapporti presunti, hanno rilasciato dichiarazioni alle Forze dell’Ordine che aggiungono al quadro prospettato dall’Ufficio ulteriori elementi a conforto»;
che la società contribuente non poteva limitarsi alla produzione delle fatture o a fornire la prova del pagamento dei tributi;
che la società contribuente non aveva fornito la prova della propria buona fede.
Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, 40, 41-bis, 42 e 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, 4, 5, 11, 24 e 25 del d.lgs. n. 446 del 1997, 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 «in quanto privi del presupposto di imposta alla luce della errata e/o falsa applicazione dell’art. 2 del D.lvo n. 74/2000».
1.1. Con tale motivo, incentrato sui rapporti tra la società contribuente ed il ‘RAGIONE_SOCIALE‘, operante nel settore della produzione e commercio di carta, la ricorrente sostiene che dalla motivazione della sentenza penale di assoluzione emessa nei confronti di COGNOME NOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, risultava che il RAGIONE_SOCIALE aveva emesso fatture nei confronti di essa ricorrente non per realizzare una frode fiscale ma, stante le difficoltà finanziarie e patrimoniali del RAGIONE_SOCIALE, per ottenere credito presso le banche. In tale ottica, veniva a mancare
anche la consapevolezza della ricorrente di partecipare ad una frode fiscale.
Il motivo è manifestamente infondato.
2.1. Invero, la ricorrente fa riferimento alla motivazione di una sentenza penale di assoluzione che all’epoca in cui ha redatto il ricorso non era stata neppure depositata, per come ammesso a pag. 45 del ricorso, sicché la tesi sostenuta nel motivo, ovvero che le finalità dell’emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti non era quella di frodare il fisco ma quello di costituirsi le condizioni per poter avere accesso al credito bancario, rimane mera ipotesi del tutto indimostrata. Né può pervenirsi a diversa soluzione all’esito del deposito, con la memoria ex 380-bis 1 cod. proc. civ., della predetta sentenza penale nella sua integralità, posto che la stessa riguarda comunque un soggetto del tutto estraneo alla ricorrente e, pertanto, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, non può in alcun modo estendersi ad essa.
2.2. A ciò aggiungasi, da un lato, che la ricorrente nulla deduce o prova in ordine alla diversa finalità perseguita dal RAGIONE_SOCIALE, ovvero se quest’ultimo abbia effettivamente fatto ricorso al credito bancario; dall’altro, che comunque i rapporti commercial i fittizi riguardavano anche altre società, in relazione alle quali la ricorrente nulla dice; e, dall’altro ancora, che ai fini tributari è del tutto irrilevante che i partecipanti ad una frode fiscale perseguano e realizzino finalità extratributarie, specie quanto, come nel caso in esame, la frode fiscale risulta concretamente attuata, con realizzazione di un credito erariale inesistente, e non sia dimostrata l’assenza di danno erariale. Una volta messa in atto la frode fiscale e realizzato un credito erariale, resta del tutto indifferente la sua utilizzazione, se, cioè, a fini di detrazione, rimborso o a fini extratributari.
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta, in via subordinata, la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 20 e 21 del d.lgs. n. 74 del 2000 «in merito all’eseguibilità della sanzione amministrativa» e all’uopo richiama Cass. n. 21694 del 2020 secondo cui «in tema di violazioni in materia di IVA, in relazione agli illeciti penal-tributari di cui al Titolo II d.lgs. n. 74 del 2000 va escluso che il procedimento amministrativo sanzionatorio debba essere dichiarato improcedibile in ragione dell’intervenuta sentenza penale irrevocabile di assoluzione ancorché pronunciata con l’ampia formula “perché il fatto non sussiste”, la quale determina l’ineseguibilità definitiva della sanzione tributaria, ferma la necessità di accertare, in concreto, nel giudizio avente ad oggetto l’eventuale riscossione avviata dall’Ufficio, l’identità del “fatto” rispetto agli elementi costitutivi sia dell’illecito amministrativo tributario che della corrispondente fattispecie incriminatrice».
3.1. Sostiene che nel caso di specie vi era il solo dispositivo della sentenza di assoluzione ‘perché il fatto non costituisce reato’, non essendo state ancora depositate le motivazioni.
3.2. Solo con la memoria la ricorrente deposita la sentenza penale nella sua interezza.
Anche tale censura è manifestamente infondata in quanto la ricorrente erroneamente ritiene di poter estendere gli effetti dell’assoluzione penale a soggetto diverso da quello nei confronti del quale è stata pronunciata.
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di
legittimità, che liquida in euro 30.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 28 marzo 2024