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Operazioni inesistenti e IVA: la decisione della Corte

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15355/2024, ha rigettato il ricorso di due società (una controllante e una controllata) contro un avviso di accertamento per IVA indetraibile. Il caso riguardava operazioni inesistenti realizzate tramite una fattura da 18 milioni di euro per la cessione di un progetto immobiliare. La Corte ha confermato che l’onere della prova sulla realtà dell’operazione spetta al contribuente e che l’Agenzia delle Entrate può legittimamente basarsi su presunzioni gravi, precise e concordanti. È stata inoltre ribadita la responsabilità solidale della società controllante nel regime dell’IVA di gruppo.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti e IVA di Gruppo: La Cassazione Conferma la Linea Dura

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 15355 del 31 maggio 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: le operazioni inesistenti. Il caso analizzato riguarda una complessa operazione infragruppo finalizzata, secondo l’Agenzia delle Entrate, a creare vantaggi fiscali indebiti. La decisione offre importanti chiarimenti sulla prova delle operazioni fittizie, sulla responsabilità della società controllante nel regime dell’IVA di gruppo e sulle garanzie del contribuente durante i controlli fiscali.

I Fatti: Un’Operazione Immobiliare Sotto la Lente del Fisco

Il contenzioso nasce da due avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate. Il primo contestava a una società immobiliare (la controllata) l’indetraibilità di un’IVA di 3,6 milioni di euro, relativa a una fattura da 18 milioni di euro emessa dalla sua società controllante. L’operazione, descritta come “cessione di scrittura privata”, era legata a un grande progetto di sviluppo immobiliare. Secondo il Fisco, tale operazione era oggettivamente inesistente e mirava a un duplice vantaggio: consentire alla controllante di azzerare il proprio reddito utilizzando perdite fiscali pregresse e permettere alla controllata di maturare un ingente credito IVA. Il secondo avviso, relativo a IRES e IRAP, è stato oggetto di definizione agevolata e non è stato trattato nel merito dalla Corte.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione all’Agenzia, ritenendo l’operazione fittizia sulla base di una serie di elementi, tra cui la mancanza di prova del pagamento e l’assenza di riscontri documentali sui costi che avrebbero giustificato un corrispettivo così elevato. Le società hanno quindi presentato ricorso in Cassazione.

L’Analisi della Corte sulle operazioni inesistenti

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso delle società, confermando la decisione dei giudici di merito. L’analisi si è concentrata su tre punti fondamentali.

La questione procedurale: accertamento a tavolino e garanzie del contribuente

I ricorrenti lamentavano la violazione delle garanzie procedurali, in particolare la mancata consegna di un processo verbale di constatazione (PVC) e il mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni prima dell’emissione dell’avviso. La Corte ha respinto questa doglianza, chiarendo un principio consolidato: tali garanzie si applicano esclusivamente ai controlli effettuati tramite accesso fisico presso la sede del contribuente. Nel caso di specie, si trattava di un “accertamento a tavolino”, basato sull’analisi di documenti richiesti al contribuente. In questa modalità di controllo, le suddette garanzie non operano.

La responsabilità della controllante nell’IVA di gruppo

Un altro motivo di ricorso riguardava la presunta illegittima dichiarazione di responsabilità solidale della società controllante. La Corte ha ribadito che, nel regime dell’IVA di gruppo, la controllante, attraverso la presentazione della dichiarazione consolidata, non solo liquida l’imposta per l’intero gruppo ma si assume anche la piena responsabilità per i debiti IVA delle controllate. Questa responsabilità si estende anche a quanto emerge da un successivo accertamento, comprese le sanzioni per indebita detrazione derivante da operazioni inesistenti.

La prova delle operazioni inesistenti tramite presunzioni

Il punto centrale della controversia era la natura dell’operazione. I ricorrenti sostenevano che la fattura non riguardasse la cessione di un contratto, ma la remunerazione per l’attività di sviluppo del progetto immobiliare svolta dalla controllante. La Cassazione ha ritenuto questa difesa un tentativo di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti, attività preclusa nel giudizio di legittimità. Ha confermato che il ragionamento presuntivo dei giudici di merito era corretto e ben motivato. La mancanza di prove oggettive sui costi sostenuti dalla controllante per giustificare un corrispettivo di 18 milioni di euro è stata ritenuta un indizio decisivo per qualificare la transazione come fittizia.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione tra l’apprezzamento dei fatti, riservato ai giudici di merito, e il controllo di legittimità. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella della Commissione Tributaria Regionale se quest’ultima è sorretta da una motivazione logica e coerente. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano correttamente utilizzato il meccanismo della prova presuntiva (art. 2729 c.c.), basando la loro decisione su una serie di indizi gravi, precisi e concordanti che, nel loro insieme, dimostravano la natura fittizia dell’operazione. Il contribuente, d’altro canto, non è riuscito a fornire la prova contraria, ovvero a dimostrare l’effettività e la congruità economica della prestazione fatturata.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa sentenza ribadisce la linea rigorosa della giurisprudenza in materia di operazioni inesistenti. Sottolinea che l’onere di provare la realtà di un’operazione economica ricade sul contribuente che intende detrarre l’IVA. Inoltre, conferma che l’Amministrazione Finanziaria può validamente fondare i propri accertamenti su prove presuntive, quando queste siano supportate da un quadro indiziario solido. Per le imprese che operano in gruppo e adottano il regime dell’IVA consolidata, la decisione serve come monito: la controllante assume una responsabilità diretta e piena per le condotte delle controllate, senza potersi sottrarre alle conseguenze di eventuali illeciti fiscali commessi all’interno del gruppo.

In caso di “accertamento a tavolino”, si applica il termine dilatorio di 60 giorni prima di emettere l’avviso?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che il termine dilatorio di 60 giorni, previsto dall’art. 12, comma 7, della L. 212/2000, si applica solo in caso di controlli eseguiti presso la sede del contribuente (verifiche fiscali) e non per gli accertamenti basati su documenti esaminati presso l’ufficio dell’Agenzia.

In un regime di “IVA di gruppo”, la società controllante risponde per l’indebita detrazione di una controllata derivante da operazioni inesistenti?
Sì. La sentenza afferma che la società controllante, presentando la dichiarazione IVA consolidata, si assume la piena responsabilità per il contenuto delle dichiarazioni delle controllate. Di conseguenza, è responsabile in solido per i debiti IVA accertati, inclusi quelli derivanti da operazioni fittizie.

Come può l’Agenzia delle Entrate provare che si tratta di operazioni inesistenti?
L’Agenzia può dimostrarlo attraverso un ragionamento presuntivo, basato su elementi e indizi gravi, precisi e concordanti. Nel caso di specie, l’assenza di prove sui costi sostenuti per il presunto “progetto di sviluppo”, la mancanza di un pagamento effettivo e altre incongruenze contabili sono stati ritenuti sufficienti a dimostrare la natura fittizia della transazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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