Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7505 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7505 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8275/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
DRV –RAGIONE_SOCIALE A RESPONSABILITA’ LIMITATA -intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 7710/2022 depositata il 05/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la sentenza n. 2557/07/2021 depositata il 21.07.2021 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, sentenza che aveva accolto il ricorso prodotto dalla contribuente società RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento teso al recupero dell’Iva dovuta in ragione
dell’accertato utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Nel suo atto di appello l’Agenzia censurava la sentenza di primo grado, rilevando come la stessa non avesse valorizzato la prova fornita mediante presunzioni anche in punto di consapevolezza in capo alla società contribuente della frode comunitaria perpetrata nel caso di specie. La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania ha rigettato l’appello dell’Ufficio con la sentenza n. 7710/01/2022, depositata in data 05/12/2022. L’Agenzia affida ora il proprio ricorso per cassazione a una composita censura. La contribuente è rimasta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 17, 19, 21 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 26 ottobre 1972, n. 633, nonché degli artt. 2697 e art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 per l’erronea esclusione della inesistenza soggettiva delle operazioni imponibili. Il motivo è fondato e va accolto.
La Corte regionale ha osservato testualmente: ‘ va confermata la sentenza di primo grado, dovendo rappresentarsi come dall’avviso di accertamento, ma anche dall’atto di appello, anche solo nelle affermazioni e nella prospettazione pur senza prova correlata, non emerge quali siano gli elementi indiziari che consentano di ritenere che la società contribuente abbia agito consapevolmente o non esercitando adeguata diligenza in ordine alla natura fraudolenta della operazione. L’avviso di accertamento fino al fol. 11 si occupa di dare conto della inesistenza delle società cartiere, emergenti da atti svolti dall’Ufficio Antifrode di Alessandria, nonché della documentazione allegata dalla DVR in sede di contraddittorio precontenzioso; nelle pagine succissive l’Agenzia delle Entrate non chiarisce quali siano gli elementi dai quali desumere che la DVR aveva consapevolezza o avrebbe dovuto averne con l’ordinaria
diligenza, della natura di cartiere delle fornitrici: a ben vedere la motivazione dell’avviso di accertamento resta astratto, ricostruisce in teoria il fenomeno della frode, non rende conto in alcun modo anche a mezzo di presunzioni -che devono essere diverse dalla prova della inesistenza delle ‘cartiere’ – del difetto di buona fede della attuale appellata. Nessun accertamento è stato svolto o viene allegato sulla durata dei contatti fra la contribuente e le fornitrici inesistenti, sulle modalità di trasporto, su ogni altro elemento concreto che pur non costituendo prova possa costituire indice di mala fede. L’Agenzia, di fatto, si limita a replicare alla prova offerta dalla contribuente e valorizzata dalla Commissione in primo grado, ‘saltando’ l’onere della prova dapprima incombente sull’Ufficio e concentrandosi sulla inattendibilità della contro-prova, che andrebbe valutato all’esito della prima prova, seguendo la scansione formalizzata dall’orientamento giurisprudenziale citato e consolidato ‘.
Osserva questa Corte che l’Ufficio, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, ha in realtà documentato d’aver esposto anche nel gravame di merito un complesso di elementi indiziari orientato a porre in evidenza la consapevolezza della contribuente, soprattutto sub specie di non adeguata diligenza nell’approccio alla comprensione alla dinamica fraudolenta tesa a coinvolgerla.
Gli elementi indiziari sintomatici dell’inesistenza delle società apparenti fornitrici non risultano soppesati dalla Corte regionale, che ha trascurato di vagliare se i medesimi, in quanto attentamente vagliati col metro dell’imprenditore accorto e diligente, quindi secondo l’ordinaria diligenza dell’operatore professionalmente attrezzato, valessero a disvelare quantomeno la conoscibilità della frode da parte di quest’ultimo.
I dati concreti riguardavano, ad ampio spettro, la mancanza di una sede effettiva delle fornitrici, l’assenza di rappresentanti e/o
amministratori operativi e con i quali potessero intrattenersi rapporti d’impresa, l’omessa tenuta della contabilità, l’inadempimento sistematico degli obblighi tributari.
A fronte di siffatti circostanziati profili, che avrebbero implicato la verifica da parte del giudice d’appello in punto di prudenza e scrupolosità messe in capo dalla contribuente nello svolgimento del controllo sulle operazioni, la Corte regionale non si è peritata, viceversa, d’indagare la sussistenza della prova della propria ‘buona fede’ da parte della società.
Il giudice d’appello ha, infatti, da un lato ritenuto che l’Ufficio abbia fornito la prova della fittizietà dei fornitori intermedi, dall’altro ha escluso -sostanzialmente di default -che i medesimi profili valessero anche a porre in guardia la società cessionaria dei beni rispetto a dinamiche economiche intrinsecamente poco limpide, ortodosse e rigorose.
D’altronde, se al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio cedente, nondimeno sorge a suo carico un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi peculiari e anomali dell’operazione commerciale, tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi sia in punto di identità del soggetto che in apparenza figura come emittente la fattura, sia in punto di potenziale perpetrazione di una potenziale evasione.
La rilevanza di detti indici è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e finanche suscettibili di reiterazione nel tempo.
La stessa Corte Europea mostra di valorizzare appieno -pure sul versante per così dire ‘soggettivo’, della conoscenza o conoscibilità -la prova indiziaria o presuntiva, laddove afferma che la sussistenza di “indizi”, che consentano di sospettare l’esistenza di
irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente delle fatture, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi. In difetto, non potrà che essere escluso – per le ragioni suindicate – il diritto del medesimo alla detrazione di imposta (C. Giust. CE, 21.6.12).
In definitiva, la sentenza impugnata è eccentrica rispetto alla giurisprudenza eurounitaria e di questa stessa Corte sopra richiamata, in quanto da un lato afferma apoditticamente l’assenza di prova della conoscibilità da parte della società contribuente che le operazioni si iscrivevano in un’evasione o in una frode, sostanzialmente pretendendo che l’Amministrazione ne dovesse offrire una prova certa ed incontrovertibile; dall’altro, non valuta in alcun modo analiticamente gli elementi della fattispecie per verificare ove ricorressero nella fattispecie gli indizi che avrebbero dovuto rendere edotta la contribuente, con la diligenza media richiesta ad un imprenditore onesto che opera sul mercato.
Il ricorso va, pertanto, accolto. La sentenza d’appello va cassata e la causa rinviata, per un nuovo esame, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Campania, cui va demandata anche la regolazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza d’appello. Rinvia, per un nuovo esame, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Campania, cui va demandata anche la regolazione delle spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 16/01/2025.