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Operazioni inesistenti: diligenza e prova dell’IVA

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 7505/2025, chiarisce la ripartizione dell’onere della prova nelle controversie su operazioni inesistenti. Se l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi indiziari sulla fittizietà del fornitore, spetta al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza per verificare la controparte e di non essere a conoscenza della frode. La sentenza di merito che ignora tali indizi viene cassata, sottolineando l’importanza di un approccio proattivo da parte dell’imprenditore per non perdere il diritto alla detrazione IVA.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione detta le regole sulla diligenza dell’imprenditore

L’ordinanza n. 7505/2025 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per ogni operatore economico: il rischio di vedersi contestare la detrazione dell’IVA a causa di operazioni inesistenti. Questa pronuncia stabilisce principi chiari sull’onere della prova e sulla diligenza che l’imprenditore deve adottare per non cadere vittima di frodi fiscali e subirne le conseguenze. Comprendere i doveri di verifica sulla propria catena di fornitura diventa essenziale per tutelare la propria posizione fiscale.

I Fatti di Causa

Il caso nasce da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava a una società a responsabilità limitata l’indebita detrazione dell’IVA, derivante dall’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. In pratica, la società aveva acquistato beni da imprese che, secondo l’Amministrazione Finanziaria, erano mere “cartiere”, create al solo scopo di emettere fatture false nell’ambito di una frode comunitaria.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado avevano dato ragione al contribuente. I giudici di merito avevano ritenuto che l’Agenzia non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare la consapevolezza o la colpa della società acquirente riguardo alla frode perpetrata dai suoi fornitori. Secondo la Corte d’Appello, l’avviso di accertamento si limitava a descrivere in astratto il fenomeno della frode, senza fornire elementi concreti che dimostrassero la malafede del contribuente.

La Decisione della Cassazione sulle operazioni inesistenti

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente la prospettiva, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. I giudici supremi hanno definito la sentenza di secondo grado “eccentrica” rispetto alla giurisprudenza consolidata, sia nazionale che europea.

Il punto centrale della decisione è che, una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha fornito un quadro di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti sull’inesistenza dei fornitori (le cosiddette “società cartiere”), l’onere della prova si sposta sul contribuente. Non spetta più all’Agenzia dimostrare la malafede dell’acquirente con una prova “certa ed incontrovertibile”, ma è il contribuente a dover dimostrare di aver agito con la massima diligenza e di essere in totale buona fede, ossia di non sapere e di non poter sapere, con l’ordinaria prudenza, di essere coinvolto in una frode.

Le Motivazioni

La Corte ha specificato che la Corte d’Appello ha commesso un errore fondamentale: non ha adeguatamente valutato gli indizi presentati dall’Ufficio. Questi indizi includevano elementi concreti e sintomatici dell’inconsistenza dei fornitori, come la mancanza di una sede operativa effettiva, l’assenza di amministratori reperibili, l’omessa tenuta della contabilità e il sistematico inadempimento degli obblighi tributari.

Di fronte a un quadro del genere, secondo la Cassazione, un imprenditore accorto e diligente avrebbe dovuto porsi delle domande e attivare dei controlli. La presenza di tali anomalie costituisce un campanello d’allarme che impone un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, sulla reale identità e operatività del partner commerciale. Ignorare questi segnali significa non adottare la prudenza richiesta a un operatore professionale.

La Corte richiama anche la giurisprudenza europea, la quale afferma che la presenza di “indizi” che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o evasioni nella sfera del fornitore deve indurre l’acquirente ad assumere informazioni aggiuntive. In assenza di tale verifica, il diritto alla detrazione dell’IVA può essere negato. In definitiva, la Corte d’Appello ha preteso una prova diretta della malafede, ignorando che la prova può essere raggiunta anche in via presuntiva, valutando il comportamento del contribuente alla luce dei segnali di allarme disponibili.

Le Conclusioni

La decisione ha importanti implicazioni pratiche per tutte le imprese. Non è sufficiente limitarsi a ricevere una fattura e pagarla per garantire il proprio diritto alla detrazione IVA. È necessario adottare un approccio proattivo nella gestione dei rapporti con i fornitori, specialmente quelli nuovi. Le aziende devono implementare procedure di controllo e due diligence che, pur senza trasformarsi in un’attività investigativa, consentano di verificare l’affidabilità e la reale operatività delle controparti. La presenza di anomalie, come quelle indicate dalla Cassazione, deve far scattare un livello di attenzione superiore. Dimostrare di aver effettuato queste verifiche diventa fondamentale in sede di contenzioso per provare la propria buona fede e salvaguardare il diritto alla detrazione dell’imposta.

Cosa si intende per operazioni soggettivamente inesistenti?
Sono operazioni commerciali che sono state effettivamente realizzate, ma tra soggetti diversi da quelli indicati formalmente nella fattura. Tipicamente, viene interposto un soggetto fittizio (“cartiera”) per permettere all’acquirente finale di detrarre un’IVA che la cartiera stessa non verserà mai.

Se l’Agenzia delle Entrate fornisce indizi sulla falsità del fornitore, cosa deve fare il contribuente?
In presenza di un quadro indiziario grave, preciso e concordante fornito dall’Amministrazione Finanziaria, l’onere della prova si inverte. Spetta al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto e di non essere stato a conoscenza, né di aver potuto conoscere, della frode.

Quali sono gli indizi che dovrebbero far sospettare un imprenditore sull’affidabilità di un fornitore?
La sentenza indica diversi elementi, tra cui: la mancanza di una sede effettiva, l’assenza di amministratori o personale operativo, l’omessa tenuta della contabilità e l’inadempimento sistematico degli obblighi tributari. Tali anomalie devono indurre l’imprenditore ad assumere maggiori informazioni prima di effettuare la transazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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