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Operazioni inesistenti: deducibilità e sanzioni IRES

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14803/2024, ha chiarito che in caso di operazioni inesistenti sotto il profilo oggettivo, i costi non sono mai deducibili ai fini IRES. La buona fede del contribuente è irrilevante, poiché il costo non è mai stato effettivamente sostenuto. La Corte ha cassato la decisione dei giudici di merito che avevano erroneamente applicato i principi validi per l’IVA, legati alla consapevolezza della frode, a una questione di imposte dirette, annullando la sentenza e rinviando il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti e Deducibilità IRES: la Buona Fede non Basta

L’ordinanza n. 14803/2024 della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia fiscale: la deducibilità dei costi legati a operazioni inesistenti. Quando un’operazione non è mai avvenuta, il costo corrispondente non può essere dedotto dal reddito d’impresa ai fini IRES, indipendentemente dalla buona o cattiva fede del contribuente. La Suprema Corte ha cassato una sentenza di merito che aveva confuso i presupposti per la detrazione IVA con quelli per la deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette, creando un importante precedente per casi analoghi.

I Fatti del Caso

Una società si vedeva notificare un atto di irrogazione di sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2009. La contestazione riguardava l’indebita deduzione di costi derivanti da acquisti considerati oggettivamente inesistenti da una società fornitrice, e da cessioni, anch’esse fittizie, verso una società cliente. In pratica, l’Amministrazione Finanziaria accusava la società di aver utilizzato fatture per operazioni inesistenti al fine di abbattere il proprio reddito imponibile.

I giudici di primo grado accoglievano il ricorso della società. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello dell’Agenzia, sostenendo che non fosse stata fornita la prova della consapevolezza della società contribuente di partecipare a una frode fiscale (la cosiddetta “frode carosello”). Secondo i giudici d’appello, in assenza di tale prova, le sanzioni non erano dovute. L’Agenzia delle Entrate, insoddisfatta, proponeva quindi ricorso in Cassazione.

La Disciplina delle Operazioni Inesistenti e la Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso centrale dell’Agenzia, ritenendolo fondato e assorbendo gli altri. Il punto nodale della decisione risiede nella netta distinzione tra la disciplina delle operazioni inesistenti ai fini IVA e quella ai fini delle imposte dirette (IRES).

La Corte ha evidenziato come i giudici di merito abbiano commesso un errore di diritto, applicando al caso di specie, che riguardava sanzioni IRES per costi indeducibili, i principi validi per la detrazione dell’IVA. Nel contesto IVA e delle operazioni soggettivamente inesistenti (dove l’operazione è reale ma intercorre tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura), la prova della buona fede del contribuente può essere rilevante per consentire la detrazione dell’imposta.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione è chiara e lineare. Per quanto riguarda l’IRES, il presupposto per la deduzione di un costo è la sua effettiva esistenza e inerenza all’attività d’impresa, come stabilito dall’art. 109 del TUIR. Se un’operazione è oggettivamente inesistente, significa che il costo non è mai stato sostenuto. Di conseguenza, manca il presupposto fondamentale per la sua deduzione dal reddito.

In questo scenario, investigare sulla buona o cattiva fede del contribuente è del tutto superfluo. La deducibilità non è negata come sanzione per un comportamento fraudolento, ma perché il costo, semplicemente, non esiste. La sentenza della Commissione Tributaria Regionale è stata quindi cassata perché basata su una ratio decidendi errata, incentrata sull’elemento soggettivo (la consapevolezza della frode), che non ha alcuna rilevanza nel contesto delle imposte dirette per operazioni inesistenti dal punto di vista oggettivo.

Le Conclusioni

Con questa pronuncia, la Suprema Corte riafferma un principio cardine: ai fini delle imposte dirette, la realtà economica prevale sulla forma. Un costo documentato da una fattura, ma relativo a un’operazione mai avvenuta, non può essere dedotto. La buona fede del contribuente, che potrebbe aver pagato la fattura credendo nella realtà dell’operazione, non può sanare la mancanza del requisito oggettivo della spesa. La Corte ha quindi rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questo principio di diritto, valutando la controversia unicamente sulla base dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate.

Perché un costo da operazioni oggettivamente inesistenti non è deducibile ai fini IRES?
Perché, secondo la Corte, il presupposto fondamentale per la deducibilità di un costo è che sia stato effettivamente sostenuto. Se l’operazione non è mai avvenuta, il costo è inesistente e quindi non può essere dedotto dal reddito d’impresa, a prescindere da qualsiasi altra considerazione.

La buona fede del contribuente ha importanza in caso di operazioni oggettivamente inesistenti?
No, ai fini della deducibilità del costo per le imposte dirette (IRES), la buona fede è irrilevante. La non deducibilità deriva direttamente dalla mancanza del costo stesso, non da una sanzione per un comportamento fraudolento.

Quale errore ha commesso la Commissione Tributaria Regionale?
La Commissione ha erroneamente applicato i principi validi per l’IVA, dove la consapevolezza del contribuente di partecipare a una frode è un elemento cruciale per negare la detrazione, a un caso che riguardava invece la deducibilità di un costo ai fini IRES, dove tale elemento soggettivo non rileva se l’operazione è oggettivamente inesistente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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