Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2160 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2160 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12109/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.LAZIO n. 6553/2014 depositata il 04/11/2014.
Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 10/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il P.M., in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
uditi l’AVV_NOTAIO per la società ricorrente e l’AVV_NOTAIO, che hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate in atti.
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO2009 l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Roma recuperava a tassazione nei confronti della RAGIONE_SOCIALE le maggiori imposte Ires, Iva e Irap per l’anno 2003, conseguenti al disconoscimento delle fatture passive emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE
Secondo la ricostruzione dell’Agenzia, dalle indagini condotte dalla Guardia di Finanza di San AVV_NOTAIO Vesuviano era emerso che la società RAGIONE_SOCIALE faceva parte di un unico RAGIONE_SOCIALE societario (facente capo alla signora NOME COGNOME) costituito al solo scopo di attuare un progetto fraudolento, teso a sottrarre materia imponibile mediante l’emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti. Il sistema era congegnato di modo che le operazioni trovassero giustificazione nei movimenti bancari: le ampie disponibilità finanziarie del RAGIONE_SOCIALE detenute su conti esteri venivano fatte entrare in Italia per giustificare il flusso di denaro tra i soggetti coinvolti nelle operazioni inesistenti, e quindi giungevano sul conto corrente della RAGIONE_SOCIALE, che tratteneva l’importo corrispondente alla provvigione per la fattura falsa e ritrasferiva verso l’estero (sul conto delle società estere del RAGIONE_SOCIALE) la somma rimanente.
Nel caso di specie il soggetto economico nazionale (la RAGIONE_SOCIALE) aveva richiesto una prestazione (intermediazione per il procacciamento di clienti esteri) alla società nazionale del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE), la quale a sua volta aveva richiesto la medesima prestazione ad una società estera del medesimo RAGIONE_SOCIALE (la RAGIONE_SOCIALE); la società estera aveva emesso fattura nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, che a sua volta aveva fatturato la stessa prestazione, comprensiva della illecita
provvigione, al soggetto economico nazionale (RAGIONE_SOCIALE), che si era avvantaggiato del costo fittizio, riportato in contabilità, senza che alcuna prestazione fosse stata in concreto svolta.
Il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, che lamentava vizi formali e sostanziali dell’avviso accertato, veniva accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma.
Su appello dell’Amministrazione, la CTR del Lazio con sentenza n. 6553/2014 depositata il 04/11/2014, riformava la sentenza di primo grado, riconoscendo la legittimità dell’atto impugnato.
In particolare, i giudici di appello rilevavano: a) che il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva la disponibilità di importanti risorse finanziarie su conti esteri, e che, al fine di realizzare una fraudolenta sottrazione al l’imponibilità fiscale, ingenti somme rientravano in Italia mediante operazioni commerciali in realtà inesistenti, simulando che la RAGIONE_SOCIALE richiedesse una prestazione alla RAGIONE_SOCIALE; b) che tale società a sua volta richiedeva la medesima prestazione ad una consociata estera (ad esempio la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE o la RAGIONE_SOCIALE, la quale emetteva una fattura alla RAGIONE_SOCIALE che, dopo aver fatturato la stessa prestazione alla RAGIONE_SOCIALE, trattenendo l’importo dovuto a titolo di provvigione, girava i rimanenti importi in favore della consociata estera; c) che a fronte di tale ricostruito progetto fraudolento la RAGIONE_SOCIALE si è basata essenzialmente su due argomenti difensivi, il primo costituito dalla tenuta del registro Iva ed il secondo dalle movimentazioni bancarie, per lo più bonifici, che dimostrerebbero l’effettività delle contestate operazioni commerciali; d) che nessuno dei due elementi valutativi appariva utile a smentire la pretesa impositiva: non la tenuta del registro Iva, atteso che le annotazioni in esse operate sono di regola uno dei momenti realizzativi della illecita condotta materiale, non le movimentazioni bancarie, in quanto esse appaiono come meramente volte a dare un formale riscontro al complessivo illecito
sistema; e) che NOME COGNOME, rappresentante della RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato alla Guardia di Finanza di aver conosciuto tramite non meglio precisate comuni amicizie il signor NOME COGNOME, risultato essere uno dei più stretti collaboratori della signora COGNOME, il quale gli comunicava i nominativi di eventuali clienti potenzialmente interessati ad acquistare dalla RAGIONE_SOCIALE articoli promozionali; f) che risultava da tali dichiarazioni che il COGNOME non fosse stato in grado ti precisare chi fossero i veri clienti della RAGIONE_SOCIALE, né di chiarire l’esatto vantaggio da questa conseguito dall’opera di procacciamento asseritamente svolta dal COGNOME.
Avverso la predetta sentenza ricorre la società contribuente con quattro motivi e resiste l’Amministrazione con controricorso.
Il Pubblico ministero ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378, comma 1, cod. proc. civ., chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società contribuente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., eccepisce la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2729 c.c.».
Lamenta la ricorrente che la «scarnissima motivazione della sentenza non lasci comprendere affatto come si sia pervenuti a considerare inesistenti le prestazioni di RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE», soggiungendo che, in violazione dell’obbligo di prudenza rafforzato discendente dagli artt. 116 c.p.c. e 2967 c.c., in nessun luogo della motivazione la CTR avrebbe dato conto di quali fatti abbiano valenza indiziaria, non potendosi considerarsi tale la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE svolgesse operazioni ‘carosello’ in via abituale, tanto è vero che i giudici di appello avrebbero sentito il bisogno di rafforzare la conclusione raggiunta con l’affermazione,
pacificamente non riscontrata, che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe fatto parte del ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
1.1. Il motivo è inammissibile quanto alla dedotta violazione dell’art. 116 c.p.c., censura riconducibile al vizio di legittimità di cui all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., atteso che, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U, n. 20867 del 30/09/2020), «la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione».
1.2. Si tratta di condizioni in evidenza non ravvisabili nelle generiche contestazioni di ‘scarnissima motivazione’ sollevate dalla ricorrente.
1.3. Con riguardo al secondo profilo di censura, si osserva che la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura nel caso in cui il giudice di merito applichi la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni: in buona sostanza, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice
di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, né in quello del precedente n. 4, disposizione che dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 7/10/2021, n. 27270).
1.4. Si deve inoltre ribadire, con riferimento agli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in tema di presunzioni, che, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. 04/08/2017, n. 19485; Cass. 16/11/2018, n. 29635; Cass. 20/01/2020, n. 1163, di recente Cass. 18/11/2020, n. 25843, con principi ribaditi da questa sezione, Cass. 15/06/2021, n. 16785 e di recente Cass. 6.06.2023, n. 15781).
1.5. Con riferimento ai caratteri della gravità, precisione e concordanza che devono connotare necessariamente le presunzioni, le suindicate pronunce hanno chiarito che «la gravità allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioè rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una
qualche ‘ lex artis ‘)», esprimendo nient’altro che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui, dato un fatto A noto è probabile che si sia verificato il fatto B, non essendo condivisibile invece l’idea che vorrebbe sotteso alla gravità che l’inferenza presuntiva sia «certa» (così Cass. n. 19485 del 2017, cit.). Infatti, per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla scorta della regola dell’inferenza necessaria), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’ id quod plerumque accidit (in senso analogo, più di recente, Cass. 06/02/2019, n. 3513 e, prima, Cass. 31/10/2011, n. 22656).
1.6. In base alle considerazioni svolte, la contestazione in esame suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza.
Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi.
1.7. Di contro la critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali, in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero
dovuto essere ricostruite in altro modo (sicché il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, primo comma (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali).
In questi casi la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti , e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa e ci si pone su un terreno che non è quello dell’art. 360 n. 3 ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti . Terreno che, come le Sezioni Unite, (Cass., Sez. U., 7/04/2014, nn. 8053 e 8054) hanno avuto modo di precisare, vigente l’art. 360 n. 5, è percorribile solo qualora si denunci che il giudice di merito abbia omesso l’esame di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo per una diversa individuazione del modo di essere della detta quaestio ai fini della decisione, occorrendo, peraltro, che tale fatto venga indicato in modo chiaro e non potendo esso individuarsi solo nell’omessa valutazione di una risultanza istruttoria.
1.8. Nel caso di specie la CTR ha fatto compiuta applicazione di tali principi, né ha omesso di considerare le circostanze dedotte dalla ricorrente, e segnatamente la regolare registrazione delle fatture oggettivamente false e la formale esistenza di movimentazioni bancarie, adempimenti considerati dal giudice tributario, con argomentazioni intrinsecamente razionali, come funzionali al mascheramento della frode fiscale.
Con il secondo motivo si eccepisce, in relazione all’artt. 360, n. 5, cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
La società lamenta in particolare i) che la RAGIONE_SOCIALE, chiamata a verificare se le prestazioni di servizio in oggetto fossero state effettivamente rese dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, non avrebbe adeguatamente esaminato un complesso di fatti allegati dalla parte e risultanti nella ‘Nota della Polizia giudiziaria’ richiamata nell’avviso di accertamento impugnati, e segnatamente che la RAGIONE_SOCIALE non faceva parte del ‘RAGIONE_SOCIALE‘, che le fatture considerate ai fini delle operazioni inesistenti nelle indagini penali avevano ad oggetto ‘prestazioni di consulenza, studio e progettazione’ e non di prestazioni di intermediazione quali erano quelle rese dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, ed infine il fatto che la RAGIONE_SOCIALE non fosse stata nominata nella relazione della Polizia giudiziaria e ii) sotto differente profilo, che la CTR non avrebbe reso adeguata motivazione in merito alla effettiva rilevanza di un complesso di fatti, richiamati nella pronuncia impugnata, sulla quale il giudice di appello ha fondato la propria decisione, segnatamente in merito alla effettiva rilevanza probatoria dell’esistenza di cospicue risorse finanziarie all’estero da parte della RAGIONE_SOCIALE, del rapporto di conoscenza tra l’amministratore di NOME ed uno dei collaboratori della signora COGNOME, nonché delle dichiarazioni rese dal rappresentante legale della società ricorrente, sig. COGNOME, alla Guardia di finanza.
2.1. Nella parte di sub i), in cui denuncia il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio a norma dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ., il motivo è inammissibile.
2.2. Va ribadito che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico
denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
2.3. Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli art. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. ex multis, Cass. S.U. 22/9/2014 n. 19881, S.U. 7/4/2014 n.8053; Cass. n. 27415 del 29/10/2018).
2.4. Ed è proprio all’opera di valutazione di fatti storici comunque presi in considerazione dal giudice di appello che è diretta, inammissibilmente, la contestazione di parte ricorrente, che inoltre non deduce alcunché in merito alla decisività delle indicate circostanze, il cui più approfondito esame avrebbe dovuto, in tesi, indurre la CTR a diverso convincimento.
2.5. Parimenti inammissibile è il secondo argomento di censura, laddove intende denunciare l’omessa o carente motivazione sotto il profilo del vizio previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. anziché del vizio di violazione di norme processuali previsto dall’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., doglianza peraltro sollevata con il quarto motivo di ricorso che verrà esaminato infra .
Con il terzo motivo di ricorso la società contribuente eccepisce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per violazione del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2967 c.c. in materia di operazioni inesistenti».
3.1. Il motivo è infondato.
Va rammentato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva (Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. n. 28628), ricorrendo alla prova che l’emittente è una «cartiera» o una «società fantasma», ciò essendo gravemente indiziario della oggettiva inesistenza delle operazioni, spettando poi al contribuente provare l’effettiva esistenza delle operazioni sottostanti; né tale onere può ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., Sez. V, 5 luglio 2018, n. 17619; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27554; Cass., Sez. V, 27 novembre 2019, n. 30937; Cass., Sez. V, 15 febbraio 2022, n. 4826; Cass., Sez. VI, 22 marzo 2022, n. 9304; Cass., Sez. V, 12 aprile 2022, n. 11737).
Il giudice di appello, dopo aver ritenuto, in forza degli elementi già richiamati, provata l’oggettiva inesistenza delle operazioni descritte nelle fatture passive contabilizzate dalla RAGIONE_SOCIALE, anche alla luce delle dichiarazioni rese dal rappresentante della società sig. COGNOME, ha puntualmente argomentato in merito alla irrilevanza degli elementi di prova di presunto segno contrario addotti dalla società.
3.2. Con specifico riguardo alla regolare registrazione delle fatture oggettivamente false ed alla formale esistenza di
movimentazioni bancarie attinenti alle operazioni inesistenti, le valutazioni espresse dai giudici di appello sono coerenti con l’orientamento di questa Corte, secondo cui la mera regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati non sono sufficienti ad integrare la prova contraria posta a carico del contribuente, trattandosi di circostanze non concludenti, e di accorgimenti che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. (Cass. n. 17818 del 9/09/2016; n. 12258 del 18/05/2018; n. 26453 del 19/10/2018).
Con il quarto motivo si eccepisce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. la «Nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 546/1992 per motivazione meramente apparente e/o inesistente».
4.1. Anche tale motivo di ricorso è infondato.
L’assenza della motivazione, la sua mera apparenza, o ancora la sua intrinseca illogicità, implicano una violazione di legge costituzionalmente rilevante e, pertanto, danno luogo ad un error in procedendo, la cui denuncia è ammissibile dinanzi al giudice di legittimità ai sensi del n. 4 dell’art. 360, ponendosi come violazione delle norme poste a presidio dell’obbligo motivazionale (Cass. S.U. sentenze 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). In sostanza, il vizio di motivazione che solo può dar luogo alla cassazione della sentenza è quello che attinge il nucleo fondamentale della sentenza, il cosiddetto minimo costituzionale di esplicitazione delle ragioni poste a base della sentenza.
4.2. Va ancora rammentato che ‘La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.’ (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. 1, 03/03/2022 n. 7090).
4.3. Nessuna di tali fattispecie ricorre nel caso in esame, in quanto dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata emerge l’iter logico seguito dalla CTR, di cui si è già offerto ampio richiamo.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis AVV_NOTAIO stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10/01/2024.