Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32736 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32736 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3853/2017 R.G. proposto da : COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della TOSCANA-FIRENZE n. 1210/2016 depositata il 30/06/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
In punto di fatto, dalla sentenza in epigrafe si apprende quanto segue:
Con avviso di accertamento n. T8F010101331/2012 l’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Grosseto, ha rettificato la dichiarazione dei redditi ai fini irpef, irap ed iva del 2008 della ditta individuale NOME COGNOME avendo rilevato indebita “deduzione” di clementi negativi a fini reddituali. Nello specifico viene contestata la fattura di 50.000,00 curo emessa dalla RAGIONE_SOCIALE relativa a sponsorizzazione dì rally con utilizzo di logo del marchio RAGIONE_SOCIALE, i cui prodotti (cucine) sono venduti dal ricorrente (che svolge attività di rappresentante di mobili).
Infatti a seguito di accertamento della Guardia di Finanza la deduzione è stata reputata dall’Agenzia delle Entrate riferita ad attività inesistente.
Il sig. COGNOME ha proposto ricorso alla CTP di Grosseto avverso il suddetto avviso di accertamento, censurando la nullità della notifica dell’avviso medesimo, la intervenuta decadenza dal potere impositivo, la nullità dell’avviso per mancanza di sottoscrizione del capo dell’ufficio, la carenza di presupposti per l’accertamento parziale, la carenza di prova, la infondatezza del recupero impositivo e la illegittimità di sanzioni e interessi.
Con sentenza n. 305 del 2014 la CTP di Grosseto ha respinto il ricorso, ritenendo infondate le censure procedurali e ritenendo non provata la fattispecie che ha dato luogo alla deduzione.
Il contribuente proponeva appello, rigettato dalla CTR della Toscana con la sentenza in epigrafe sulla base della seguente motivazione:
Con il primo motivo l’appellante censura la corretta notificazione dell’avviso di accertamento, che sarebbe avvenuta violando le previsioni di cui all’art. 60 del DPR n. 600 del 1973.
Il motivo è infondato.
Dalla documentazione versata in atti dall’Agenzia delle Entrale in primo grado risulta che la Direzione Provinciale di Grosseto ha avviato a notifica l’atto n. NUMERO_DOCUMENTO in data 28 novembre 2013, essendosi il messo notificatore speciale NOME COGNOME avvals del servizio postale, spedendo l’avviso di accertamento con atto giudiziario con avviso di ricevimento n. NUMERO_DOCUMENTO; risulta altresì versata in atti la ricevuta di ritorno della suddetta spedizione postale avvenuta in data 3 dicembre 2013. La tesi dell’appellante secondo cui la spedizione diretta da parte dell’ufficio di avviso di accertamento a mezzo di servizio postale sarebbe esclusa risulta smentita dalle norme invocate .
Con il secondo motivo l’appellante censura la sentenza impugnata per aver essa erroneamente respinto la doglianza di avvenuta violazione dell’art. 43 del DPR n. 600 del 1973 .
Il motivo è infondato.
La notificazione a mezzo del servizio postale sopra richiamata si è perfezionata in data 3 dicembre 2013, così che non si è verificata la decadenza dal potere impositivo, che lo stesso appellante colloca al 31 dicembre 2013.
Con il terzo motivo l’appellante evidenzia la invalidità della sottoscrizione dell’avviso di accertamento gravato in primo grado, in particolare venendo contestata la delega rilasciata dal capo dell’ufficio competente (il Direttore Provinciale NOME COGNOME al sottoscrittore dell’avviso di accertamento gravato (NOME COGNOME) .
Il motivo è infondato.
È versata in atti la “disposizione di servizio” della Direzione Provinciale di Grosseto dell’Agenzia delle Entrate n. 17 del 5 giugno 2013 portante “attribuzione delle deleghe dj firma”, cioè l’attribuzione da parte del Direttore Provinciale NOME COGNOME ad altri funzionari della ‘delega di firma degli atti e/o documenti di sua competenza, ed aventi rilevanza esterna’; per quel che qui rileva si legge nella richiamata disposizione di servizio che “il Capo Ufficio Controlli (NOME COGNOME è delegato alla firma· degli atti e/o
documenti a rilevanza esterna di seguito indicati”, tra cui avvisi di accertamento fino a euro 200.000,00. Si tratta, come direttamente evincibile dal tenore dell’atto, non già di una “delega di funzioni”, bensì di mera “delega di firma” .
Con il quarto motivo l’appellante contesta la violazione. dell’art. 41-bìs del DPR n. 600 del 1973 in materia di avvisi parziali, sul rilievo che l’avviso parziale può aversi solo nelle ipotesi tassative previste dalla legge .
Il motivo è infondato.
Non par dubbio che nella specie vi fossero i presupposti per procedere all’accertamento parziale, in presenza di un accertamento della Guardia di Finanza relativo alla inesistenza di una attività economica che aveva portato ad una deduzione, risultata conseguentemente non spettante .
Con il quinto motivo l’appellante contesta la sentenza gravata in punto di riparto dell’onere della prova, ribadendo l’esistenza dell’operazione contestata e il diritto alla deduzione del relativo costo .
Il motivo è infondato.
l’indagine svolta dalla Guardia di Finanza a carico della RAGIONE_SOCIALE ha evidenziato un complesso meccanismo posto in essere dalla suddetta società in ordine alla emissione di fatture per operazioni inesistenti; in sede di indagini penali per le correlate fattispecie criminose è stato escusso il legale rappresentante della società sig. NOME COGNOME il quale ha ammesso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti nei confronti di vari soggetti; in tal contesto si legge che tale sig. C.E. “ci ha presentato altri clienti nei cui confronti avremmo potuto emettere fatture per operazioni inesistenti”, specificando che “si tratta della ditta COGNOME Alberto dì Castiglione della Pescaia” e di altra società, nei confronti de quali sono state emesse fatture per operazioni mai realizzate; lo stesso legale rappresentate specifica che era previsto un compenso per l’operazione: era stato “concordato con il cliente un compenso per l’emissione delle fatture pari all’importo dell’lVA più il 4% dell’imponibile”; il sig. NOME
COGNOME ha altresì dichiarato che “per quanto concerne le modalità di pagamento e di giustificazione contabile delle fatture false emesse, procedevo con le seguenti modalità: ‘. In altra dichiarazione il COGNOME NOME ha poi affermato che erano state emesse altre fatture per operazioni inesistenti sulla base di rapporti intrattenuti dal fratello NOME COGNOME. Il sig. NOME COGNOME conferma le dichiarazioni del fratello . È vero che con riguardo specifico alla fattura n. 2 del 2008, emessa a favore di NOME COGNOME le dichiarazioni di NOME COGNOME sono parzialmente diverse; egli dichiara alla Guardia di Finanza: “Ho fatto pubblicità alla ditta del COGNOME nel Rally della Maremma 2008. La fattura mi è stata corrisposta solo in parte. Infatti, da accordi precedenti era stato stabilito il pagamento dell’TVA e solo di una piccola percentuale dell’importo che al momento non ricordo”. Ma, secondo quando dichiarato dal legale rappresentante NOME COGNOME, il pagamento dell’IVA e di una piccola percentuale dell’imponibile era proprio il compenso in generale pattuito per l’emissione della falsa fatturazione, il che porta ad inserire la dichiarazione di NOME COGNOME nel quadro generale delle operazioni di false fatturazioni appena descritto. Dalle dichiarazioni direttamente provenienti dalla RAGIONE_SOCIALE emerge quindi un quadro complessivo che rende certamente poco credibile l’effettiva sussistenza dell’operazione di sponsorizzazione per la significativa cifra di 50.000,00 euro. Né gli elementi in senso opposto dedotti dalla parte appellante risultano idonei a modificare il quadro appena descritto, come correttamente evidenziato dalla CTP . a presenza di un assegno assume scarso significato, essendo stato dichiarato dai soggetti coinvolti che gli assegni venivano utilizzati fittiziamente, il contratto depositato è privo di data certa, le foto e dichiarazioni di terzi appaiono scarsamente probanti.
Con il sesto motivo di appello si rileva la illegittimità conseguente in punto di sanzioni e interessi.
La infondatezza dei motivi esaminati porta al rigetto anche del presente motivo di illegittimità derivata.
Il contribuente propone ricorso per cassazione con sette motivi; resiste l’Agenzia delle entrate con articolato controricorso. Il contribuente deposita memoria.
Considerato che:
Primo motivo: ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 60, d.p.r. n. 600 del 1973 e dell’art. 14, l.n. 890 del 1982 in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.’.
1.1. ‘Nella ‘relata’ è scritto che la notificazione, nel caso di specie, è stata effettuata ai sensi dell’art. 14, della legge 20 novembre 1982, n. 890. Tale norma, tuttavia, non riguarda affatto la notifica degli avvisi di accertamento, che è disciplinata invece dall’art. 60 d.p.r. n. 600 del 1973 e dalle norme del codice processuale civile da quest’ultimo richiamate’.
Secondo motivo: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 60, d.p.r. n. 600 del 1973 e dell’art. 148 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.’.
2.1. ‘ Giudici di appello hanno escluso il vizio di notifica anche perché nella relata di notifica dell’accertamento depositata dall’Agenzia delle entrate risultava indicata la data di spedizione, 28 novembre 2013. Tale statuizione viola l’art. 60, d.p.r. n. 600 del1973, nella parte in cui rinvia per le notificazioni alle norme del codice di procedura civile, e l’art. 148 c.p.c. richiamato appunto dalla prima norma per quanto riguarda la compilazione della relazione di notificazione. Invero, la Commissione ha escluso il vizio di compilazione della relazione di notificazione ritenendo evidentemente prevalente la copia dell’originale a disposizione dell’Agenzia delle entrate (ove era indicata la data di notifica del 28 novembre 2013) rispetto a quella inviata al contribuente e depositata in giudizio (cfr. all. n. 1 al ricorso introduttivo), in cui mancava l’indicazione della data. Ciò è contrario alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, in caso di difformità tra relata dell’originale e relata della copia notificata, prevale quella della copia notificata’. ‘Si noti al riguardo che la suddetta difformità era stata tempestivamente eccepita in primo grado nella memoria illustrativa successiva al deposito delle controdeduzioni dell’Ufficio ”.
2.2. Entrambi i motivi -che possono essere esaminati congiuntamente per comunanza di censure -sono inammissibili e comunque manifestamente infondati.
2.2.1. Sono inammissibili in quanto, non trascrivendo gli atti del procedimento notificatorio, e perciò di per sé incorrendo in violazione del principio di autosufficienza, neppure colgono l’effettiva ‘ratio decidendi’ della sentenza impugnata.
Alla CTR era devoluta la contestazione della ‘correttezza’ della ‘ notificazione dell’avviso di accertamento, che sarebbe avvenuta violando le previsioni di cui all’art. 60 del DPR n. 600 del 1973’ e su tale contestazione essa ha pronunciato, disattendendola, sulla base del rilievo che la ‘documentazione’ attesta avere l’Agenzia ‘avviato a notifica l’atto n. NUMERO_DOCUMENTO in data 28 novembre 2013, essendosi il messo notificatore speciale avvals del servizio postale, spedendo l’avviso di accertamento ‘. Posto dunque che, alla stregua di un d i per sé insindacato accertamento in fatto compiuto dalla CTR, la notifica è stata effettuata ai sensi dell’art. 60 DPR n. 600 del 1973, senza che la contraria allegazione contenuta nel primo motivo (‘secondo cui essa è stata effettuata ai sensi dell’art. 14, della legge 20 novembre 1982, n. 890 ‘) sia accompagnata da alcuna evidenza in ricorso (perciò difettevole anche sotto il profilo della precisione, oltreché dell’autosufficienza), la CTR si intrattiene poi sull’ammissibilità dell’esperimento di detta forma di notifica a mezzo del servizio postale, analizzando sia il dato testuale riveniente dall’art. 60 cit., sia anche, ma solo in guisa di specificazione, ossia in definitiva ‘ad abundantiam’, dall’art. 14 l. n. 890 del 1982: il richiamo del quale, tuttavia, per la stessa formulazione linguistica utilizzata (‘ l’art. 14 della legge n. 890 del 1982 non fa che confermare la possibile notificazione degli atti tributari a mezzo del servizio postale direttamente da parte degli uffici, ovviamente facendo salve le modalità specifiche dettate dall’art. 60 del DPR n. 660 del 1973’) non entra nel perimetro della ‘ratio decidendi’, talché neppure può venire censurato.
Fermo quanto innanzi, quanto all’affermazione, di cui al secondo motivo, che la relata di notifica apposta sull’atto consegnato al contribuente sarebbe priva di data, essa pure cade in difetto d specificità,
non fornendo evidenza -attraverso la riproduzione o quantomeno il richiamo di emergenze localizzate negli atti dei fascicoli di merito -della circostanza. Donde la preannunciata inammissibilità del motivo: altresì inammissibile, per vero, in quanto non si confronta con -né in ultima analisi contesta -il perentorio accertamento in fatto della CTR secondo cui l’atto è stato consegnato al destinatario il 3 dicembre 2013; accertamento in fatto che la CTR afferma espressamente di evincere dalla ‘ricevuta di ritorno della suddetta spedizione postale avvenuta in data 3 dicembre 2013’ e ribadisce ancora qualche riga oltre, l à dove evidenza che ‘l a notificazione a mezzo del servizio postale sopra richiamata si è perfezionata in data 3 dicembre 2013, così che non si è verificata la decadenza dal potere impositivo, che lo stesso appellante colloca al 31 dicembre 2013′. Ora, a fronte del perfezionamento della notifica, nessun concreto interesse manifesta il contribuente a sindacare l’asserita mancanza, nella copia notificata, dell”indicazione della data’.
Ciò tanto più in quanto, di per sé, secondo giurisprudenza consolidata, in caso di notifica a mezzo del servizio postale, non è neppure richiesta l’estensione di alcuna relata di notifica, sufficiente essendo l’avviso di ricevimento del piego raccomandato, nella specie esaminato dalla CTR giusta valutazione, come visto, non contestata.
Invero, ‘mutatis mutandis’, ‘in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, la mancata apposizione della relata di notifica sull’originale o sulla copia consegnata al destinatario -ai sensi dell’art. 3 della legge n. 890 del 1982 -comporta, non l’inesistenza, ma la mera irregolarità della notificazione, atteso che la fase essenziale del procedimento notificatorio è costituita dall’attività dell’agente postale, mentre quella dell’ufficiale giudiziario (o di colui che sia autorizzato ad avvalersi di tale mezzo di notifica) ha il solo scopo di fornire al richiedente la notifica la prova dell’avvenuta spedizione e l’indicazione dell’ufficio postale al quale è stato consegnato il plico; conseguentemente, qualora sia allegato l’avviso di ricevimento ritualmente completato, l’omessa apposizione della relata integra un semplice vizio, che non può essere fatto valere dal destinatario, non essendo tale adempimento previsto nel suo interesse’ (Sez. 5, n. 9493 del 22/04/2009, Rv. 607957 -01, conf., da ult., Sez. 5, n. 952 del 17/01/2018, Rv. 646692 -01).
Il principio ha in realtà una valenza finanche più generale, giacché, pur al di fuori della notifica per posta, s’è in passato affermato che, ‘in tema di notificazione degli avvisi di accertamento tributario, l’omessa riproduzione della relazione di notifica nella copia consegnata al destinatario non comporta ne’ l’inesistenza della notificazione, ove non sorgano contestazioni circa l’esecuzione della stessa come indicata nell’originale dell’atto, ne’ la nullità, prevista invece nella diversa ipotesi di difformità del contenuto delle due relate, bensì una mera irregolarità’ Sez. 5, n. 1532 del 05/02/2002, Rv. 552079 -01).
Terzo motivo: ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43, d.p.r. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.’.
3.1. ‘In conseguenza dei primi due motivi del presente ricorso, relativi rispettivamente alla violazione degli artt. 60, d.p.r. n. 600 del 1973 e 14, l. n. 890 del 1982 e degli artt. 60, d.p.r. n. 600 del 1973 e 148 c.p.c., la statuizione è parimenti erronea per violazione dell’art. 43, d.p.r. n. 600 del 1973’.
3.2. Il motivo, dichiaratamente proposto in via conseguenziale rispetto ai primi due, ne segue le sorti.
Quarto motivo: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42, d.p.r. n. 600 del 1973 e dell’art. 17, c. 1-bis, d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.’.
4.1. ‘La statuizione è erronea e viola palesemente l’art. 42, d.p.r. n. 600 del 1973 e l’art. 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 165 del2001. L’avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 42, d.p.r. n. 600 del 1973, deve essere sottoscritto da parte del capo dell’ufficio ovvero da persona delegata; quanto alla delega, essa deve pacificamente rispettare i requisiti di cui all’art. 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 165 del 2001. Invero, a nulla rileva la distinzione tra delega di competenze e delega di firma per quanto riguarda il rispetto dei requisiti di cui all’art. 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 165 del 2001’. ‘Lo scrivente concorda con la Commissione che, nel caso di specie, siamo di fronte ad una ‘delega di firma’ e tuttavia ritiene che la delega di firma debba rispettare i requisiti di cui all’art. 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 165 del 2001 e cioè che la stessa sia nominativa, che sia conferita per un periodo di tempo determinato e che rechi le ‘specifiche e comprovate ragioni di servizio’ per cui è stata conferita’.
4.2. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
È inammissibile perché, in violazione del principio di autosufficienza, non trascrive ‘la ‘disposizione di servizio’ della Direzione Provinciale di Grosseto dell’Agenzia delle Entrate n. 17 del 5 giugno 2013′ evocata nella sentenza impugnata, impedendo perciò di sindacarne il contenuto, asseritamente carente.
È manifestamente infondato perché, in due celebri arresti, per vero ormai non più recenti, cui si è uniformata la successiva giurisprudenza, questa Suprema Corte ha avuto modo di esplicitare che ‘la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma -e non di funzioni -poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa’ (Sez. 5, n. 11013 del 19/04/2019, Rv. 653414 -01), puntualizzando come il provvedimento contenente la delega di firma ‘non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, ‘ex post’, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto’ (Sez. 5, n. 8814 del 29/03/2019 (Rv. 653352 -01).
Il superiore insegnamento non obnubila la necessità del provvedimento di delega, non essendo quindi sufficiente la mera riferibilità dell’avviso di accertamento all’Amministrazione emanante, dacché (come osservato da Sez. 5, n. 8814 del 2019, in motiv., par. 3, p. 4), ‘se gli avvisi di accertamento costituiscono la più complessa espressione del potere impositivo, incidendo con particolare profondità nella realtà economica e sociale, deve ritenersi che la loro sottoscrizione
da parte del capo dell’ufficio, o da funzionario da lui delegato, sia stata prevista come essenziale garanzia per il contribuente (Cass. n. 1875 del 2014 e, da ultimo, Cass. n. 22800 del 2015). Sotto tale profilo, appare evidente come il dato fondante sia costituito dal superamento di quella generale presunzione, sopra richiamata, di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo dotato del potere di emanarlo, richiedendosi, al contrario, che tale provenienza sia avvalorata dalla sottoscrizione del capo dell’ufficio, o del funzionario da lui delegato’.
Il superiore insegnamento riposa, invece, sulla considerazione che alla delega di firma, di cui all’art. 42, comma 1, DPR n. 600 del 1973, non possa applicarsi la disciplina prevista per il ben diverso istituto della delega di funzioni, nel senso che ‘l’art. 17, comma 1 -bis, del d.lgs n. 165 del 2001 si riferisce espressamente ed inequivocabilmente alla ‘delega di funzioni’, laddove prescrive che i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze ad essi riservate, a dipendenti che ricoprono le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidate. Tale rigore non si addice alla delega di firma, nella quale, come è stato già rilevato, il delegato non esercita alcun potere o competenza riservata al delegante e che trova titolo nei poteri di ordine e direzione, coordinamento e controllo attribuiti al dirigente preposto all’ufficio (art. 11, comma 1, lett. c) e d), Statuto Ag. Entrate -approvato con Delib. 13 novembre 2000, n. 6; art. 14, comma 2, reg. amm. n. 4 del 2000) nell’ambito dello schema organizzativo della subordinazione gerarchica tra persone appartenenti al medesimo ufficio’ (ivi, par. 8, p. 7 s.).
Quinto motivo: ‘Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, c. 2, n. 4), d.lgs. n. 546 del 1992: motivazione apodittica, apparente o perplessa in merito all’utilizzo dell’accertamento parziale ex art. 41-bis, d.p.r. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma l, n. 4, c.p.c.’.
5.1. Nella sentenza impugnata, ‘la Commissione ha statuito che si può fare ricorso all’accertamento parziale ai sensi dell’art. 41-bis, d.p.r. n. 600 del 1973 allorché vi sia sollecita emersione della materia imponibile e che tale circostanza sussisterebbe nel caso di specie ove vi era un p.v.c. della GdF che aveva accertato l’inesistenza della prestazione
contestata. La motivazione della sentenza è del tutto contraddittoria tanto da risultare apparente, apodittica e perplessa’.
5.2. Il motivo è manifestamente infondato.
È sufficiente una semplice lettura della sentenza impugnata per appurare come la stessa esibisca una motivazione effettiva, sia dal punto di vista grafico che contenutistico, dovendosi per l’effetto escludere alcuna ipotesi di omessa motivazione o di motivazione meramente apparente. Quel che il motivo mira a censurare non è un’assenza grafica o contenutistica della motivazione, ma l’apparato argomentativo che la CTR ha profuso per addivenire alla decisione. Nondimeno, la deduzione di un tale vizio non è più consentita, quand’anche si avesse a riqualificare la censura ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., tra l’altro nella specie preclusa dalla cd. doppia conforme di merito, ai sensi dell’art. 348 -ter cod. proc. civ. ‘ratione temporis vigente’. Vale, invero, l’insuperato insegnamento secondo cui ‘la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’ (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01).
Pur a prescindere da ciò, comunque, la sentenza impugnata si sottrae alle critiche mossele. Infatti, ricorre in giurisprudenza il principio per cui ‘l’accertamento parziale, che è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39
del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo e il relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare’ (così, da ult., Sez. 5, n. 28681 del 07/11/2019, Rv. 655548 -01). Di tale principio la CTR ha fatto pedissequa applicazione.
Sesto motivo: ‘Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, c. 2, n. 4), d.lgs. n. 546 del 1992: motivazione apodittica, apparente o perplessa in merito alla prova dell’inesistenza dell’operazione contestata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.’.
6.1. ‘a Commissione ha ritenuto inesistente la prestazione sulla base delle dichiarazioni dei fratelli NOME e NOME COGNOME i quali tuttavia non hanno affatto dichiarato che la prestazione di cui alla fattura n. 2 del 30 settembre 2008 non è stata effettuata. Anzi, il sig. NOME COGNOME, come già detto nello svolgimento del processo, aveva dichiarato di aver effettuato la prestazione (ma di aver ricevuto solo in parte il compenso per la prestazione). Il sig. NOME COGNOME nulla ha invece detto in merito alla fattura n. 2 del 30 settembre 2008 essendosi limitato a definire inesistente l’operazione descritta in una fattura intestata al COGNOME per l’anno 2009. Sulla base di tali dichiarazioni, la Commissione ha escluso la rilevanza di tutti gli elementi che il ricorrente aveva documentato nei due gradi di giudizio, affermando che le foto del Rally da cui risultava la pubblicità del marchio Schimdt erano inspiegabilmente ‘scarsamente probanti’ così come le dichiarazioni di terzi prodotte, che il contratto per l’effettuazione dell’operazione era privo di data certa e che il pagamento con assegno non era rilevante. La motivazione della sentenza si palesa sul punto del tutto contraddittoria ed incomprensibile: secondo la Commissione la prestazione è inesistente sulla base di una dichiarazione di un soggetto che ha detto invece di averla effettuata (e di una dichiarazione di un soggetto che non parla affatto della prestazione contestata per l’anno 2008)! E sulla base di tale dichiarazione vengono ritenuti scarsamente probanti elementi oggettivi come le foto che documentano l’avvenuta sponsorizzazione, le dichiarazioni di terzi che dicono di aver visto le vetture del Rally della Maremma 2008, il contratto
da cui risulta la prestazione, il pagamento di un acconto della prestazione’.
6.2. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
È inammissibile perché non riproduce le dichiarazioni di NOME e NOME COGNOME, così precludendo ‘in radice’ l’attingimento del loro contenuto; non indica né riproduce o descrive ‘tutti gli elementi che il ricorrente aveva documentato nei due gradi di giudizio’; cade in contraddizione con il motivo successivo, che, invece, come subito sarà chiaro, presuppone l’esistenza di una motivazione intelligibile, aggredendone il contenuto; sollecita a questa Suprema Corte un giudizio palesemente meritale, in violazione di canoni e limiti del giudizio di cassazione quale momento di controllo della mera legalità degli atti impugnati.
È manifestamente infondato perché, come già detto a proposito del motivo precedente, una pur superficiale lettura della sentenza impugnata rivela come questa esibisca una motivazione effettiva ed anzi particolarmente ampia, approfondita e completa, in tal guisa integrando sicuramente il requisito del cd. minimo costituzionale, solo violato il quale rileva il denunciato vizio di omessa od apparente motivazione (Sez. U, n. 8053 del 2014).
Settimo motivo: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’.
7.1. ‘Gli elementi indicati in sentenza non paiono per nulla idonei a soddisfare i requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c. in punto di prova dell’inesistenza della prestazione ed anzi, ad avviso dell’esponente, depongono a favore dell’esistenza della prestazione. In vero, se il COGNOME NOME ha dichiarato di aver emesso alcune specifiche fatture false senza tuttavia indicare la fattura in contestazione e se il COGNOME NOME ha dichiarato di aver effettuato la prestazione (pur avendone ricevuto il pagamento solo in parte), davvero non si riesce a comprendere come i Giudici abbiano ritenuto dimostrata l’inesistenza della prestazione, essendo semmai dimostrato il contrario’.
7.2. Il motivo -di per sé inammissibile, perché non riproduce le dichiarazioni dei COGNOME e perché attinge un ‘thema’ prettamente meritale -è altresì manifestamente infondato.
La CTR ha analizzato tutti gli elementi probatori devolutile, con particolare riguardo alle dichiarazioni dei COGNOME, spiegando con compiutezza ed apprezzabile linearità logico-argomentativa le ragioni per le quali le medesime, ben lungi dall’essere in contraddizione, depongano invece univocamente, viepiù in un quadro d’insieme coerente, nel senso dell’oggettiva inesistenza delle prestazioni di cui alla fattura contestata. In tal guisa, la CTR ha fatto esemplare applicazione del principio per cui ‘il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento’ (Sez. 3, n. 9059 del 12/04/2018, Rv. 648589 -01).
7.3. Né – è d’uopo aggiungere alla luce della memoria – ad inficiare le superiori conclusioni soccorre l’introduzione del comma 5 -bis nell’art. 7 D.Lgs. n. 546 del 1992, ad opera della l. n. 130 del 2022., a termini del quale ‘l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che
emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati’.
Assume il contribuente – in memoria – che ‘tale norma, di carattere procedimentale e come tale applicabile retroattivamente, risulterebbe prevedere un onere particolarmente rigoroso in capo all’Amministrazione finanziaria circa la prova della pretesa impositiva. Ebbene tale onere non risulta soddisfatto nel caso di specie, considerata la contraddittorietà/inconferenza degli elementi addotti dall’Ufficio e, a maggior ragione, considerato quanto il contribuente ha documentato in corso di causa e che non è stato di fatto considerato dalla sentenza impugnata’.
Sia sufficiente osservare – con (tra le altre) Sez. 5, n. 20816 del 25/07/2024, Rv. 672031 -01 – che ‘il nuovo comma 5 -bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’art. 6 della l. n. 130 del 2022, essendo una norma di natura sostanziale e non processuale, si applica ai giudizi introdotti successivamente al 16 settembre 2022, data di entrata in vigore della legge predetta’.
Né, a prescindere da ciò, l’Agenzia (valga tuzioristicamente rilevare) ha mancato di offrire prova idonea delle ‘violazioni contestate’ finanche al cospetto del comma 5 -bis citato. Invero, per le anzidette ragioni, la prova offerta è tutt’altro che difettevole, contraddittoria e comunque insufficiente, ma anzi intrinsecamente coerente, logica ed esaustiva, ben potendo la pienezza probatoria essere attinta, come nella specie, anche dalla prova indiziaria, non affatto espunta con la novella dal catalogo delle prove (cfr. Sez. 5, n. 2746 del 30/01/2024, Rv. 670209 -01, secondo cui ‘il nuovo comma 5 -bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’art. 6 della l. n. 130 del 2022, secondo cui il giudice deve valutare la prova ‘comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale’, non si pone in contrasto con la persistente applicabilità delle presunzioni legali
che, nella normativa tributaria sostanziale, impongano al contribuente l’onere della prova contraria’).
8. In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese di lite, liquidate in euro 4.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 27 settembre 2024.