Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 916 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 916 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del rappresentante legale pro tempore , e dal socio COGNOME NOME , rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato recapito PEC, avendo i ricorrenti dichiarato di eleggere domicilio presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 3836, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia il 29.10.2019, e pubblicata il 30.12.2019; ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME la Corte osserva:
Oggetto: Srl con ristretta base partecipativa -Reddito societario e del socio -Operazioni oggettivamente inesistenti.
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate notificava l’11 agosto 2012 alla società RAGIONE_SOCIALE avente ristretta base partecipativa, avviso di accertamento in relazione ad imposte dirette ed indirette con riferimento all’anno 2007, in conseguenza della ritenuta partecipazione ad operazioni commerciali oggettivamente inesistenti. Era anche notificato al socio unico NOME NOME l’avviso di accertamento relativo al reddito di partecipazione ritenuto conseguito.
1.1. La società ed il socio proponevano separati ricorsi avverso gli avvisi di accertamento, riuniti dalla CTP, eccependo innanzitutto l’inesistenza della notificazione degli atti impositivi. L’Agenzia delle Entrate, alla quale era stato assegnato termine per informare la Commissione circa l’eventuale adozione di provvedimento di annullamento in autotutela, con nota del 16/01/2014 chiedeva alla CTP la declaratoria di estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. 546/1992, avendo annullato gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società e del socio unico.
Il Presidente della ottava sezione della CTP di Bari, con decreto del 28 febbraio 2014 n. 546/08/2014, dichiarava l’estinzione del giudizio per effetto della cessazione della materia del contendere, compensando le spese di lite tra le parti. Società e socio proponevano reclamo che era respinto.
1.2. I contribuenti impugnavano la decisione di estinzione innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, censurando la nullità della pronuncia a causa della violazione del contraddittorio, nonché delle regole di cui all’art. 46 d.lgs. 546 del 1992, e contestavano pure la nullità del provvedimento in ordine alla compensazione delle spese di lite. La CTR rigettava il loro ricorso.
1.3. La decisione era impugnata per la sua cassazione dalla società e dal socio, ed il ricorso assumeva NRG 25843/2015. Con
pronuncia 13.5.2022, n. 15432. Questa Corte di legittimità ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso stante la sopravvenuta carenza di interesse dei contribuenti.
Tanto premesso, a seguito dell’annullamento dell’accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/2012 emesso a carico della società (e di quello n. NUMERO_DOCUMENTO emesso a carico del socio unico sig. COGNOME NOME NOME per quanto attiene ai redditi di partecipazione non dichiarati), l’Ufficio notificava nei termini di legge alla società un nuovo avviso di accertamento, recante n. NUMERO_DOCUMENTO/2014, sempre in relazione al maggior reddito conseguito nell’anno 2007, ai fini Ires, Iva ed Irap, a causa del ritenuto utilizzo di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti nonché costi imputabili a quote di ammortamento indeducibili. Al socio NOME NOME era in conseguenza notificato l’avviso di accertamento n. TVF011000017/2014, avente ad oggetto il maggior reddito di partecipazione ritenuto conseguito.
2.1. Avverso questi ulteriori avvisi di accertamento la società in liquidazione ed il socio proponevano ricorso contestando la litispendenza con il giudizio introdotto avverso i precedenti avvisi di accertamento, poi annullati in autotutela, nonché l’illegittimità ed infondatezza dei nuovi atti impositivi a causa del vizio di motivazione e della carenza di prova della ricorrenza di una evasione fiscale. La CTP di Bari con sentenza n. 631/08/15 rigettava il ricorso ritenendo, tra l’altro, che non vi fosse litispendenza con il giudizio avente ad oggetto gli originari atti impositivi, poi annullati, per carenza di identità di petitum e causa petendi .
Avverso la decisione assunta dai primi giudici proponevano appello sia la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, sia il socio COGNOME COGNOME contestando innanzitutto la nullità della sentenza per vizi propri degli atti processuali ed a causa della violazione e falsa applicazione degli art. 39 e 156 cod. proc. civ. e
degli artt. 29 e 36 del D.lgs. n. 546/92; censuravano, inoltre, l’illegittimità ed infondatezza dell’avviso di accertamento a causa del vizio di motivazione, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 109 TUIR; l’illegittimità del ricorso all’accertamento presuntivo e la violazione dell’art. 295 cod. proc. civ., richiedendosi l’annullamento dell’accertamento relativo alla società RAGIONE_SOCIALE, previa separazione dei due giudizi e sospensione di quello attinente il redito di partecipazione ritenuto conseguito dal socio NOME NOME, sino alla definizione dell’accertamento pregiudicante operato nei confronti della società. Resisteva l’Ufficio chiedendo il rigetto dell’appello. Con sentenza n. 3836/01/2019 la Commissione Tributaria Regionale della Puglia accoglieva parzialmente l’appello, ritenendo provati e deducibili solo alcuni costi, anche sulla base di espletata CTU.
Avverso la decisione del giudice dell’appello la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, ed il socio COGNOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., i contribuenti contestano la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., a causa dell’omessa pronuncia della CTR sul motivo di appello relativo alla litispendenza del giudizio avente ad oggetto originari atti impositivi che erano stati annullati in autotutela, ma quando il giudizio conseguente alla loro impugnazione era già in corso.
Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., e dell’art. 39, comma 1, lett. d), del Dpr n. 917 del 1986 (Tuir), per non avere il giudice del gravame rilevato che non
sussistevano i presupposti di legge per procedere all’accertamento induttivo del reddito societario.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., i contribuenti criticano la nullità della pronuncia della CTR, perché il giudice dell’appello si è espresso con motivazione contenente un intrinseco irriducibile contrasto, avendo ritenuto che analoghe fatture potessero essere rappresentative di operazioni realmente esistenti nei confronti di alcuni fornitori, ma non di altri.
Con il primo motivo di ricorso i contribuenti contestano la violazione di legge, in cui ritengono essere incorso il giudice del gravame a causa dell’omessa pronuncia sul motivo di appello relativo alla litispendenza del giudizio avente ad oggetto gli originari atti impositivi, che poi erano stati annullati in autotutela, ma quando il giudizio conseguente alla loro impugnazione era già in corso.
4.1. Invero la contestazione dell’omesso esame su un motivo di impugnazione si risolve nella contestazione di una ragione di nullità (parziale) della sentenza gravata, e deve pertanto essere proposta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., e non ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (violazione di legge). Tuttavia la censura appare chiaramente comprensibile ed è perciò possibile scrutinarla.
4.2. Tanto premesso, la CTR mostra di avere ben presenti le censure proposte dai ricorrenti circa la affermata litispendenza di giudizio avente il medesimo oggetto, ed infatti le riassume. Quindi il giudice del gravame dichiara di accogliere parzialmente l’appello, ed evidentemente conferma nel resto la decisione di primo grado. Non ricorre pertanto un’ipotesi di omessa pronuncia, ma di pronuncia implicita.
La CTP aveva respinto le lagnanze dei contribuenti in materia di litispendenza osservando, tra l’altro e decisivamente, che ricorre la
litispendenza nel caso di ‘pendenza della stessa causa’ mentre, nel caso di specie, ‘i giudizi … hanno ad oggetto un petitum del tutto differente … trattandosi di impugnazione di avvisi di accertamento diversi ed autonomi’.
I contribuenti però, non contrastano questa ragione della decisione, non dimostrano perché i due giudizi avrebbero il medesimo oggetto, essendo senza dubbio fondati su atti impositivi diversi.
In conseguenza il primo motivo di ricorso risulta infondato e deve perciò essere respinto.
Mediante il secondo strumento di impugnazione, i ricorrenti censurano la violazione di legge in cui ritengono essere incorsa la CTR per non aver rilevato che non sussistevano i presupposti di legge per procedere all’accertamento induttivo del reddito. Con il terzo motivo di ricorso, i contribuenti censurano la nullità della pronuncia della CTR, perché il giudice dell’appello si è espresso con motivazione contenente un contrasto irriducibile, avendo ritenuto che analoghe fatture potessero essere rappresentative di operazioni realmente esistenti nei confronti di alcuni fornitori, ma non di altri. Gli strumenti di impugnazione presentano elementi di connessione, e possono perciò essere trattati congiuntamente, per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.
Sostengono i ricorrenti che l’Amministrazione finanziaria non ha dimostrato, neppure mediante presunzioni gravi precise e concordanti, che la società avesse preso parte ad operazioni commerciali inesistenti. Gli scarni elementi addotti dall’Ente impositore, inoltre, risulterebbero efficacemente contrastati da quelli documentali allegati dalla società, oltre ai pagamenti, i ‘contratti conclusi con le committenti, registri di cantiere, possesso delle maestranze, esistenza dei cantieri ove si è operato’ (ric., p. 15). Ancora, la CTR, nella prospettazione dei ricorrenti, ha omesso di esaminare compiutamente le dichiarazioni rese dal legale
rappresentante della società, il quale in sede penale ha chiarito che non vi erano operazioni inesistenti, ma solo operazioni con corrispettivo ‘gonfiato’. Del resto, se le operazioni commerciali erano state reali ed effettive, almeno in parte, l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto tener conto anche dei costi sostenuti, ma non l’ha fatto.
5.1. Le critiche proposte dai ricorrenti sono generiche, e si basano su insistite petizioni di principio. Su loro richiesta è stata espletata in corso di causa una CTU volta a verificare se tutte, o alcune, le operazioni commerciali contestate, potessero ritenersi reali ed effettive. La CTR ha ritenuto di condividere le valutazioni del CTU secondo il quale ampia parte delle operazioni commerciali dovevano qualificarsi come oggettivamente inesistenti, mentre altra parte non presentava questo carattere.
5.2. La CTR ha ritenuto provata la natura oggettivamente inesistente delle operazioni commerciali contestate sul fondamento dei rilievi proposti dal CTU, cui rinvia, soffermandosi peraltro a contrastare alcuni degli argomenti proposti dai ricorrenti. In particolare, con riferimento alle rimanenze finali, il giudice dell’appello osserva che da parte dei contribuenti ‘non si è data contezza né delle categorie omogenee né, tanto meno, dell’analisi per cantiere cui le stesse si riferiscono non offrendo, in questo modo, alcun elemento valutativo certo’ (sent. CTR, p. IV), subito richiamando le statuizioni della Suprema Corte circa l’insufficienza della mera documentazione contabile prodotta dalla parte al fine di provare l’esistenza di un’operazione commerciale.
La CTR illustra pure le ragioni per le quali ha ritenuto non integrino un elemento di prova le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società, COGNOME Raffaele, e comunque dette dichiarazioni non sono da ritenersi sufficienti a contrastare l’apparato indiziario offerto dall’Amministrazione finanziaria.
5.3. In presenza di una simile pronuncia, i ricorrenti non concentrano la propria censura nel dimostrare che le operazioni ritenute inesistenti, anche dal CTU e dal giudice dell’appello, fossero invece reali ed effettive, non indicano specificamente, in relazione a ciascuna operazione, quale documentazione ulteriore rispetto a quella contabile abbiano prodotto. Ritengono piuttosto che sia possibile applicare una sorta di parallelismo in conseguenza del quale se delle operazioni commerciali sono ritenute realmente eseguite nei rapporti con un partner imprenditoriale, ogni operazione analoga dovrebbe ritenersi ‘reale’ anche quando conclusa con partner commerciali diversi, opinione che non trova fondamento normativo. Possono emettersi fatture commerciali identiche, alcune delle quali si riferiscono ad operazioni reali e le altre ad operazioni fittizie.
5.3.1. Anche alle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società i ricorrenti pretendono di attribuire un rilievo probatorio che non è possibile riconoscervi. L’affermazione di COGNOME secondo cui le fatture erano ‘gonfiate’ nell’ammontare, nella misura in cui la dichiarazione assume valore confessorio, assicura conforto alla tesi che la contabilità dell’impresa sia da valutare inattendibile, legittimando il ricorso all’accertamento induttivo del reddito, ma certo non dimostra che le operazioni commerciali contestate fossero state effettivamente portate a termine. Emerge dallo stesso ricorso dei contribuenti, che riportano in sintesi i rilievi dei verificatori, come le imprese con le quali è stato contestato alla società di avere concluso operazioni commerciali insussistenti mostrassero evidenti incapacità operative ed una gestione contabile gravemente lacunosa. I contribuenti neppure illustrano come abbiano provato che con simili partners commerciali sarebbero riusciti a concludere operazioni commerciali reali ed effettive.
In definitiva i contribuenti non sono in grado di dimostrare che le operazioni commerciali contestate come inesistenti fossero invece reali ed effettive, e che in conseguenza il ricorso all’accertamento induttivo del reddito fosse illegittimo.
Anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso risultano pertanto infondati, e devono perciò essere rigettati.
In definitiva il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni affrontate e del valore della controversia.
6.1. Deve ancora darsi atto che ricorrono le condizioni processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, del c.d. doppio contributo.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
rigetta il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del rappresentante legale pro tempore , e dal socio NOME NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della costituita controricorrente, e le liquida in complessivi Euro 10.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma il 12 dicembre 2024.