Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33540 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33540 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sui ricorsi iscritti al n. 24397/2016 R.G. proposti, separatamente, da :
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della TOSCANA-FIRENZE n. 575/2015 depositata il 23/03/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Dalla sentenza in epigrafe, in punto d fatto, si apprende che l’Agenzia delle entrate di Firenze accerta ai fini IRES a carico della società RAGIONE_SOCIALE per il periodo di imposta 2007 costi non documentati per euro 1.643.749,55, costi non di competenza per euro 145.824,22 ed una maggiore IVA dovuta di euro 442.465,00 per l’utilizzo di fatture per operazioni asseritamente inesistenti emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE
Con altro avviso di accertamento, l’Ufficio di Firenze accerta per l’anno di imposta 2007 a carico della società RAGIONE_SOCIALE un debito IVA di euro 96.204,00 derivante dal disconoscimento di due note di credito emesse nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE in quanto asseritamente relative ad operazioni oggettivamente inesistenti nonché l’indebita deduzione di euro 156.186,00 ritenuta priva di logica imprenditoriale.
Le predette società con separati ricorsi impugnano i sopraddetti accertamenti contestando i rilievi anche perché privi di attendibili elementi probatori .
La Commissione Tributaria Provinciale di Firenze con sentenza numero 469/04/2014 depositata in data 04/04/2014 accoglie parzialmente proposto dalla
RAGIONE_SOCIALE nel senso di riconoscere come non dovuta la somma di euro 454.536,12 recuperata tassazione come costo non documentato.
Il primo giudice conferma il secondo rilievo dell’Ufficio ed accoglie parzialmente il ricorso con riferimento al terzo rilievo .
Con la suddetta sentenza accoglie di poi integralmente il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE
Avverso la riferita sentenza insorge sia la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione con appello principale sia l’Ufficio con appello incidentale .
L’agenzia delle entrate di Firenze avanza anche separatamente con atto di appello principale impugnazione nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
La CTR della Toscana, con la sentenza in epigrafe, accoglie parzialmente gli appelli di entrambe le società.
2.1. In particolare, quanto a RAGIONE_SOCIALE, osserva:
a Commissione prende in esame il primo rilievo mosso dall’Ufficio alla società RAGIONE_SOCIALE sul quale il primo giudice, come innanzi riferito, si è espresso in modo parzialmente favorevole alla richiesta avanzata dalla contribuente.
Peraltro in buona sostanza, a ben vedere, il primo giudice aderisce (con l’eccezione del costo di euro 454.536,12 di cui si dirà appresso) alla ricostruzione dell’Ufficio ad avviso del quale i costi addebitati non hanno riscontro in operazioni effettive o perché stornati nel 2008 o perché privi di relative fatture.
Sul punto l’appellante principale , quanto alle fatture, la non necessarietà di tale documento ai fini della detraibilità del costo e indicando per il resto specifiche
situazioni atte a convalidare la documentata sussistenza dei costi in discussione.
Tali situazioni, a ben vedere e ad avviso di questa Commissione, o prive di diretta ed inconfutabile documentazione: vedi in questo senso le voci descritte alle lettere a) e c) alle pagine 7 e 8 dell’atto di appello; oppure riferite ad annualità diverse da quella in contestazione: vedi la lettera b) dell’atto di appello; oppure ancora attinenti a situazioni di notevole rilevanza economica (vedi lettera d) euro 1.164.012,00) asseritamente sorte nell’anno in contestazione (2007) e rivendicate dal creditore solo a distanza di cinque anni rendendo così poco plausibile il riferimento del costo all’annualità in contestazione.
In definitiva appaiono pertanto condivisibili le conclusioni tratte dall’Ufficio il quale non solo evidenzia l’omessa esibizione di fatture ricevute negli anni 2008 e successivi ma altresì l’omessa produzione di documentazione comprovante l’effettività dei costi dedotti.
Da ultimo appare fuorviante l’osservazione del primo giudice secondo il quale la somma di euro 454.536,12 sarebbe giustificata perché ‘… interamente stornata nel 2008 …’.
Come condivisibilmente annota l’Ufficio in sede di appello incidentale la ripresa fiscale in questione trova fondamento nell’assenza di documentazione sia nell’anno 2007 che nell’anno successivo.
Conclusivamente quindi alla reiezione dell’appello principale della società contribuente si accompagna, per quanto attiene il rilievo in questione, l’accoglimento dell’appello incidentale dell’Ufficio.
Quanto al secondo rilievo ritenuto dal primo giudice fondato, la Commissione ritiene di giungere ad opposte
conclusioni in accoglimento del motivo di appello principale spiegato dalla predetta società.
A questo proposito, difatti nel mentre appare inconsistente l’eccezione opposta dall’Ufficio -secondo il quale la deduzione del costo nell’anno in cui vi è certezza dell’ammontare dello stesso non sarebbe sufficiente senza indicazione di ulteriori elementi al riguardo (di quali altri elementi l’Ufficio non parla) si dimostra altresì fragile il ricorso nella fattispecie alle dichiarazioni di un terzo soggetto peraltro, come diffusamente dimostrato dall’appellante principale, assolutamente non qualificato.
Quanto al terzo ed ultimo rilievo la Commissione osserva quanto segue.
In primo luogo non appare infondata la censura mossa dall’appellante principale in relazione alla fattura di euro 145.824,00 di cui si è detto immediatamente sopra.
Difatti l’inserimento di questa fattura nell’elenco delle operazioni oggettivamente inesistenti è, come ritenuto dall’appellante principale, assolutamente incoerente al punto da determinare la inammissibilità della relativa ripresa fiscale, dal momento che l’asserita inesistenza oggettiva della prestazione oggetto della fattura in questione avrebbe dovuto costituire il presupposto del rilievo attinente alla violazione del criterio di competenza fiscale.
Esaminando di poi le censure di carattere generale mosse dalla contribuente la Commissione condivide le conclusioni raggiunte dal primo giudice per quanto attiene l’incidenza del risultanze del processo penale di cui alla sentenza del Tribunale di Firenze numero 1258/2012.
A prescindere difatti dalle considerazioni attinenti l’autonomia dei due giudizi nel caso di specie la
pronuncia del giudice penale è di natura prettamente processuale non di merito.
In altri termini l’efficacia della pronuncia penale sul giudizio tributario nel caso di specie appare inconsistente perché sull’effettività delle prestazioni contrattuali (che costituisce l’oggetto della contestazione relativa al rilievo in discussione) la ricordata pronuncia si limita ad osservare la sussistenza di un contratto di sfruttamento del marchio, cioè l’esistenza di un documento di natura cartolare, circostanza quest’ultima non messa in dubbio dall’Ufficio ma ritenuta insufficiente alla stregua degli elementi, anch’essi cartolari, rappresentati dalle fatture e dai bonifici di pagamento.
Premesso quanto sopra esposto la Commissione ritiene di dover confermare, con la eccezione innanzi riferita, la ripresa fiscale di cui al terzo rilievo.
Invero tutte le contestazioni mosse dalla contribuente al rilievo dell’Ufficio mirano ad evidenziare la sussistenza di elementi documentali comprovanti l’effettività oggettiva delle operazioni rappresentate dalle fatture.
La prospettazione della contribuente sarebbe valida ed esaustiva se l’Ufficio non avesse in sede accertativa fornito elementi di prova certi, concordanti ed atti a caducare la documentazione cartolare.
Ed allora su un piano indiziario acquistano rilievo : le due società hanno la medesima sede legale; i legali rappresentanti delle due società sono legati da un vincolo di coniugio.
E, sul piano probatorio: la società RAGIONE_SOCIALE sembra riconoscere, in sede di verifica, l’assenza di un preciso fondamento economico nella emissione delle fatture; la fatturazione periodica degli acconti, così come in effetti verificatasi, non era contemplata dal contratto (fonte delle
fatture di cui è causa) dal momento che il compenso doveva essere determinato a posteriori come percentuale sul volume di affari realizzato; ed infine retrodatazione di fatture e note di credito.
Alla luce dei riferiti elementi la Commissione non può non rilevare la sussistenza di un impianto di elementi di prova che legittima il recupero in questione che, con esclusione della fattura di cui sopra si è detto, ricomprende anche le note di credito di euro 102.000,00 e 743.157,00 a torto escluse dal primo giudice fatturazioni fittizie non di note di credito onde evitare le riprese fiscali .
2.2. Indi la motivazione della sentenza prosegue con riferimento alla posizione di RAGIONE_SOCIALE
Propongono ricorso per cassazione, con separati atti, entrambe le contribuenti, nella resistenza, con parimenti separati controricorsi, dell’Agenzia delle entrate.
Considerato che:
1. Ricorso di RAGIONE_SOCIALE
1.1. Con memoria del 22 maggio 2019, il difensore del contribuente allega -in assenza di contrarie deduzioni agenziali -l’intervenuta definizione agevolata della controversia ai sensi dell’art. 6 d.l. n. 193 del 2016 conv. dalla l. n. 225 del 2016, in relazione alla cartella n. NUMERO_CARTA indicata come afferente il presente giudizio.
La memoria (ribadita con altra telematica in data 9 settembre 2024, tuttavia rubricata: ‘Istanza rinvio udienza’), pur invocandola, non possiede i caratteri tipici di una vera e propria rinuncia al ricorso e, quindi, al relativo giudizio, tanto più in assenza di un’espressa menzione del potere di rinunciare in capo al difensore giusta la procura speciale in calce al ricorso per cassazione (p. 19), ma nondimeno manifesta il difetto di interesse
del contribuente ad insistere nella trattazione e decisione del ricorso medesimo. Esso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile (Sez. L, n. 25625 del 12/11/2020, Rv. 659543 -01) .
Le ragioni dell’inammissibilità rendono conto, ad un tempo, della sussistenza di giustificati motivi per la compensazione delle spese e dell’insussistenza, al contrario, dei presupposti affinché la contribuente sia tenuta al pagamento del cd. doppio contributo unificato (più precisamente, a questo secondo riguardo, dipendendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso dalla rappresentazione di un sopravvenuto difetto di interesse, la misura del raddoppio, che si applica ai soli casi tipici di rigetto o dichiarazione di inammissibilità originaria od improcedibilità dell’impugnazione, avendo natura eccezionale e ‘lato sensu’ sanzionatoria, soggiace al divieto di estensioni analogiche: cfr., ‘mutatis mutandis’, Sez. 3, n. 34025 del 05/12/2023, Rv. 669403 -01).
2. Ricorso di RAGIONE_SOCIALE.
2.1. Il ricorso di RAGIONE_SOCIALE è affidato a cinque motivi, come detto resistiti dall’Agenzia delle Entrate con controricorso.
2.2. I primi due motivi sono fatti premettere dalla dicitura: ‘Riguardo alla contestazione di indebita deduzione di costi non documentati per euro 1.643.749,53’.
2.2.1. Primo motivo: ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 109 tuir: in tema di reddito d’impresa i costi per servizi vanno imputati secondo il criterio della competenza nell’esercizio in cui la prestazione viene effettuata non rilevando il momento in cui la fattura viene emessa o quello in cui viene pagata’. ‘I costi per servizi sono deducibili nell’esercizio in cui la prestazione del soggetto viene ultimata non rilevando, a tal fine, il momento in cui la fattura viene emessa oppure pagata . Pertanto, l’emissione della fattura non appare elemento indispensabile per la detraibilità del costo, con la logica conseguenza che la ripresa a
tassazione non può essere giustificata dall’Ufficio con il fatto, riportato nell’avviso di accertamento, ‘che la società non ha esibito alcuna fattura di acquisto eventualmente ricevuta negli anni 2008 o successivi”. ‘Un costo può essere effettivo e di competenza di un determinato periodo d’imposta anche se poi, per varie ragioni, la relativa fattura non viene emessa nel periodo di imposta successivo; si pensi, ad esempio, come è avvenuto nel caso di specie, al costo derivante da prestazioni professionali di un professionista (nel nostro caso un commercialista) quantificate da quest’ultimo in un importo elevato oggetto di contestazione da parte della società che ha usufruito del servizio. In tal caso è evidente come a fronte di una bozza di notula contestata, da un lato vi sarà il professionista che ha effettuato il servizio che non emetterà la relativa fattura per non versare le imposte alla stessa riferite , dall’altro, invece, attenderà prima di pagare una notula di cui non condivide gli importi. Stessa situazione potrebbe verificarsi nel caso in cui il professionista non venga pagato non perché se ne contesti la notula, ma semplicemente per mancanza di liquidità in capo all’usufruitore ‘. Dette ‘circostanze si sono verificate nel caso di specie’: ‘in merito alla somma di euro 860.000,00 circa’, RAGIONE_SOCIALE ha provato, ‘sin dalle memorie iniziali prodotte nel contraddittorio con l’Ufficio, come detta somma si riferisca a prestazioni professionali del rag. nell’ambito di una trattativa che avrebbe dovuto portare alla vendita dell’azienda per l’importo di euro 7.500.000,00 . progetto di notula, sollecitato dal professionista nel 2012, inizialmente non è stato pagato dalla RAGIONE_SOCIALE a causa di alcune contestazioni afferenti allo stesso, poi, nel proseguo, invece, a causa della crisi economicfinanziaria che ha colpito la società e che ha portato nel 2011 la messa in liquidazione della stessa. Se ciò non bastasse, è lo stesso avvio del presente accertamento tributario (dall’inizio del 2012) che ha di fatto impedito
ulteriormente, anche in seguito, il pagamento, anche parziale, della parcella in quanto, in caso di soccombenza , l’odierna ricorrente si vedrà costretta a richiedere il fallimento in proprio . A seguito di ciò la RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto sino ad oggi più saggio e prudente (per non andare incontro ad eventuali contestazioni distrattive) non corrispondere alcuna somma al rag. in attesa dell’esito del presente giudizio ‘. ‘Stesse considerazioni possono essere effettuate in riferimento alle somme di euro 360.000,00 e di euro 25.201,04 che si riferiscono sempre ad attività professionali prestate dal rag. : la prima per la riorganizzazione della rete di vendita e relativi corsi di formazione, come da contratto sottoscritto e da progetto di notula ; la seconda per avere ricoperto e svolto le funzioni di consulente esterno e di direttore commerciale provvisorio, come da relativo progetto di notula ‘. ‘Infine, l’erronea applicazione dell’art. 109 tuir da parte del giudice di seconde cure si è manifestata anche in riferimento al mancato riconoscimento dello storno contabile del rateo passivo per euro 479.737,16 avvenuto nel 2008, in riferimento a provvigioni passive maturate al 31/12/07 che soltanto nel 2008, dopo la chiusura del bilancio 2007, sono state rilevate come non dovute . Riguardo a tale operazione contabile, essendo costituita da uno storno del rateo a seguito di provvigioni poi risultanti non dovute (calcolate in base ad un prospetto extracontabile contenente indicazioni del personale di vendita e delle provvigioni maturate nel 2007 ), non si comprende davvero quale documentazione la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto produrre a riprova dell’effettività del costo. Infatti, con lo storno contabile del rateo passivo, mediante diminuzione del costo originariamente movimentato, è la stessa società che dà atto della non debenza di quelle provvigioni, ragion per cui le stesse non possono in alcun modo essere documentate se non dal prospetto
extracontabile utilizzato per calcolarle, prospetto debitamente prodotto all’amministrazione finanziaria’.
2.2.2. Secondo motivo: ‘Omessa e/o insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 comma 1 5) c.p.c. in merito alla produzione documentale effettuata dalla contribuente ed attestante l’effettività dei costi’. La motivazione della sentenza impugnata ‘non può che ritenersi apparente, e per ciò stesso insufficiente, in quanto sostenere che la documentazione prodotta dalla contribuente è confutabile rimando alle pagine dell’appello con la formula ‘vedi in questo senso le voci descritte alle lettere ‘ non consente all’odiern ricorrente di comprendere le ragioni in virtù delle quali tutta la documentazione prodotta viene ritenuta non sufficiente a provare l’effettività del costo. Non viene fatto cenno, infatti, ad alcun documento prodotto, né alle motivazioni che lo sconfesserebbero o comunque che lo farebbero ritenere inattendibile. Anche quando la Commissione di secondo grado afferma, in relazione alla lettera d) dell’appello, la stranezza di una rivendica del credito da parte del professionista a distanza di 5 anni, dimostra l’assoluta superficialità nell’analisi delle deduzioni e delle prove documentali fornite dalla contribuente proprio per giustificare tale attesa di 5 anni . Tra l’altro il giudice di seconde cure, concludendo, non parla neppure di documentazione insufficiente o comunque inidonea a provare l’effettività dei costi, ma si pronuncia in termini di ‘ommessa produzione documentale’, il che non corrisponde assolutamente a verità’. ‘Il semplice rimando ‘per relationem’ alle conclusioni dell’Ufficio non può che comportare una lesione del diritto di difesa del contribuente’. ‘Stesse considerazion, anche se sotto diverso profilo, debbono effettuarsi in relazione alla parte motivazionale della sentenza, che ha giustificato la ripresa a tassazione operata dall’Ufficio della somma di euro 454.536,12 (che come abbiamo visto in precedenza, costituisce storno contabile effettuato nel 2008 di ratei passivi
registrati nel 2007 in riferimento a provvigioni passive maturate al 31/12/07 ). L’apparenza di tale motivazione sta nel fatto che ci si lamenta dell’assenza di documentazione in riferimento ad un’operazione contabile che per sua natura (come abbiamo già argomentato nel motivo precedente) non può essere provata documentalmente se non con la scheda extracontabile contenente il calcolo delle provvigioni già prodotta in sede di contraddittorio ‘.
2.3. I motivi possono essere esaminati congiuntamente per evidente sovrapponibilità delle censure.
2.3.1. Assume priorità logica il secondo, che è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
È inammissibile in quanto non paventa l’omesso esame di alcun fatto storico viepiù decisivo da parte della CTR, ma semmai, finanche nella rubrica, soltanto la pretesa omessa considerazione, in senso favorevole alla contribuente, della documentazione prodotta a sostegno delle sue argomentazioni: documentazione, per vero, di per sé, in violazione dei principi di precisione ed autosufficienza, non riprodotta e nemmeno riassunta o descritta.
È, altresì, pur a prescindere da ciò, manifestamente infondato in quanto,
-per un verso, non corrisponde al vero che la CTR abbia pretermesso siffatta documentazione, come traspare evidente laddove
–riassume la posizione della contribuente, specificando che questa ‘ per il resto specifiche situazioni atte a convalidare la documentata sussistenza dei costi in discussione’;
–confuta siffatta posizione, rilevando che le ‘situazioni’ paventate dalla contribuente, e partitamente analizzate, ‘o prive di diretta ed inconfutabile documentazione’: documentazione, per l’effetto, esaminata e valutata;
–si spinge sino al punto di dire che la rivendica ‘solo a distanza di cinque anni’ di un’ingente somma da parte del creditore
– evidentemente alla stregua della documentazione giustificativa addotta dalla contribuente – appare ‘poco plausibile’;
-per altro verso, la sentenza impugnata, ad una semplice lettura, come d’altronde confermato da quanto testé detto, esibisce una motivazione (condivisibile o meno ma comunque) effettiva, sia dal punto di vista grafico che dal punto di vista contenutistico, in tal guisa integrando pienamente il requisito del cd. minimo costituzionale, solo violato il quale rileva il denunciato vizio di omessa od apparente motivazione (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01).
Per completezza, preme di aggiungere che siffatte considerazioni valgono anche in riferimento alla voce di ‘storno contabile effettuato nel 2008 di ratei passivi registrati nel 2007 in riferimento a provvigioni passive maturate al 31/12/07’. L’argomento secondo cui si verterebbe di ‘un’operazione contabile che per sua natura non può essere provata documentalmente se non con la scheda extracontabile contenente il calcolo delle provvigioni’ è decentrato: premesso che il riferimento alla ‘scheda extracontabile’ è del tutto generico, comunque lo storno, non essendo operazione rimessa al libito di chi se ne avvale, deve trovare fondamento in idonea giustificazione documentale, la quale, nella specie, avrebbe dovuto precipuamente cadere sul fatto allegato ma non comprovato ancora dinanzi a questa S.C. – ‘che soltanto nel 2008, dopo la chiusura del bilancio 2007, sono state rilevate come non dovute e quindi debitamente stornate’.
2.3.2. Un tanto consente di trascorrere alla disamina del primo motivo, ‘ex se’ inammissibile.
Lo è in ragione dei difetti di precisione ed autosufficienza che condivide con il secondo.
Lo è, altresì, in ragione
-del non rappresentare, neppure in astratto, alcuna pretesa violazione e falsa applicazione del principio di competenza, per vero neppure revocato in dubbio dalla CTR, sì da non cogliere affatto la ‘ratio decidendi’ della sentenza impugnata, essenzialmente incentrata, come detto, sull’assenza di una ‘diretta ed inconfutabile documentazione’;
-dell’essere completamente vertito in fatto, esortando, finanche nella sua stessa formulazione letterale, questa S.C. ad un nuovo e, per la contribuente, più favorevole giudizio di merito, in violazione di canoni e limiti del giudizio di cassazione come momento di controllo della mera legalità dei provvedimenti ricorsi.
2.4. I successivi tre motivi sono fatti premettere dalla dicitura: ‘In riferimento alla indebita detrazione dell’imposta sul valore aggiunto per euro 442.465,00’.
Li si esaminerà partitamente.
2.5. Terzo motivo: ‘Erronea motivazione ex art. 360 comma 1 n. 5 circa un punto decisivo della controversia: erronea valutazione dei rapporti tra giudicato penale e giudizio tributario’. ‘La sentenza oggi impugnata è viziata anche sotto l’ulteriore aspetto della ritenuta mancata rilevanza, in ambito tributario, della sentenza n. 1258/12 Reg. Sent. emessa dal GIP Di Firenze nel procedimento penale che vedeva coinvolti i rispettivi legali rappresentanti per i reati di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti . Le operazioni contestate in sede penale, ovviamente, sono le stesse oggi contestate in sede tributaria. La ‘motivazione fornita a giustificazione della ritenuta irrilevanza della sentenza penale di non luogo a procedere, pronunciata dal GIP di Firenze , è meramente apparente’. ‘Riguardo al primo aspetto (sentenza penale ‘prettamente processuale’), giova evidenziare come anche una sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 c.p.p., pronunciata con la formula ‘perché i fatti non sussistono’, deve
essere valutata nel complessivo quadro indiziario a disposizione del giudice tributario’. Inoltre, ‘attribuire alla stessa una natura meramente processuale è alquanto riduttivo. Il giudice, infatti, non si è limitato a sostenere come gli elementi acquisiti risultino insufficienti o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio, ma dopo aver compiuto, dandone conto, un esame accurato degli elementi probatori raccolti, ha concluso nel seguente modo: ‘Nel caso in esame siamo in presenza di una situazione di innocenza tale da apparire non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuovi elementi di prova o da una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito ”.
2.6. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
2.6.1. È inammissibile in quanto,
-alla stregua finanche dell’enunciazione letterale della rubrica, è volto a denunciare una pura e semplice erroneità motivazionale: vizio, questo, la cui deducibilità in cassazione non è tuttavia più consentita dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., secondo l’interpretazione offertane dal Massimo Consesso nomofilattico (cfr. Sez. U, n. 8053 del 2014, cit.);
-ad ogni modo, non riproduce -oltreché, per vero, le imputazioni mosse ai legali rappresentanti delle contribuenti – la motivazione della sentenza di non luogo a procedere emessa dal GIP di Firenze, di cui non è neppure indicata la data di definitività, essendo palesemente insufficiente il breve stralcio citato a p. 19 del ricorso.
È manifestamente infondato – fermo che non viene qui in linea di conto l’introduzione dell’art. 21 -bis D.Lgs. n. 74 del 2000, poiché la sentenza penale di cui discute è stata resta ai sensi dell’art. 425 cod. proc. pen. – in quanto
-la sentenza impugnata, ben lungi dall’aver pretermesso la sentenza in parola, l’ha invece espressamente considerata e
valutata, non già disconoscendone la rilevanza (come invece sostenuto nel motivo), ma, premessane la natura processuale, affermandone l’inconducenza a favore della tesi della contribuente, poiché essa ‘si limita ad osservare la sussistenza di un contratto di sfruttamento del marchio, cioè l’esistenza di un documento di natura cartolare, circostanza quest’ultima non messa in dubbio dall’Ufficio ma ritenuta insufficiente alla stregua degli elementi, anch’essi cartolari, rappresentati dalle fatture e dai bonifici di pagamento’: quel che dunque la sentenza impugnata -ineccepibilmente (cfr. ‘infra’ riguardo al motivo successivo) – vuol dire è che – a fronte della contestazione, come nella specie, di operazioni oggettivamente inesistenti – la difesa dell’interessato non può essere affidata a mere giustificazioni ‘cartolari’, in quanto perfettamente compatibili ed anzi funzionali al meccanismo illecito;
-la sentenza ex art. 425 cod. proc. pen., per sua stessa natura, in funzione della fase procedimentale in cui interviene, ha effettivamente, in conformità a quanto ritenuto dalla CTR, una natura processuale, siccome preordinata ad impedire la progressione alla cognizione del giudice dibattimentale di un’azione penale che allo stato degli atti appare sorretta da elementi insufficienti od inidonei: la circostanza che essa sia resa ‘rebus sic stantibus’ ne esclude alcuna attitudine accertativa e, con essa, la stessa idoneità al giudicato (da intendersi in senso sostanziale).
2.7. Quarto motivo: ‘Omessa motivazione ex art. 360 comma 1 n. 5 ‘ riguardo l’oggettiva esistenza delle operazioni ‘tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE‘. La CTR ‘non ritiene rilevanti altri elementi documentali come l’esistenza di un contratto di concessione regolante i rapporti tra le due aziende, le fatture attestanti le operazioni in questione ed i relativi bonifici di pagamento’. Non incombe al contribuente provare l’effettività dell’operazione: invero, ‘la tenuta delle scritture e dei documenti contabili i cui dati vengono utilizzati dal contribuente ed esposti
nella dichiarazione fiscale, non onera, infatti, il contribuente anche alla ulteriore indicazione degli elementi probatori attestanti la effettiva corrispondenza alla realtà dei dati indicati in fattura, trascritti nei registri obbligatori e riportati nella dichiarazione annuale. Incombe, invece, sull’Amministrazione che adduce la falsità del documento e quindi l’inesistenza di un maggiore imponibile l’onere di dimostrare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere . Nel caso di specie sussiste il vizio motivazionale in quanto il giudice di merito non ha tenuto minimamente conto degli elementi dimostrativi addotti in giudizio dalla società contribuente ed indicati prima nel ricorso e poi nell’atto di appello, limitandosi soltanto ad assumere l’insussistenza delle prove offerte dal contribuente senza compiere nessuna analitica considerazione delle risultanze processuali ‘.
2.8. Il motivo è inammissibile comunque manifestamente infondato.
2.8.1. È inammissibile in quanto – oltreché non indicare donde risultino, agli atti dei giudizi di merito, gli ‘elementi probatori’ ‘a dimostrazione della effettiva esistenza delle operazioni’, elencati a pag. 24 del ricorso – non deduce un’omessa motivazione, ma semmai un'(asserita) insufficiente motivazione comportante un'(asserita) erroneità del percorso giustificativo per non avere la CTR accordato decisiva preminenza ai suddetti elementi. In tal guisa, tuttavia, la censura esula dal rubricato paradigma.
È manifestamente infondato in quanto, come già anticipato in sede di disamina del precedente motivo, la CTR ha messo in evidenza la natura meramente documentale (o cartolare) delle giustificazioni fornite dalla contribuente, per l’effetto insuscettive di scalfire il quadro indiziario addotto dall’Ufficio, a dimostrazione, sul piano invece della sostanza, dell’inesistenza oggettiva. Scrive infatti la CTR che ‘tutte le contestazioni mosse dalla contribuente al
rilievo dell’Ufficio mirano ad evidenziare la sussistenza di elementi documentali comprovanti l’effettività oggettiva delle operazioni rappresentate dalle fatture’, osservando di contro: ‘Ed allora su un piano indiziario acquistano rilievo : le due società hanno la medesima sede legale; i legali rappresentanti delle due società sono legati da un vincolo di coniugio. E, sul piano probatorio: la società RAGIONE_SOCIALE sembra riconoscere, in sede di verifica, l’assenza di un preciso fondamento economico nella emissione delle fatture’. Sicché la CTR ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, ‘in tema di IVA, l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Sez. 5, n. 9723 del 10/04/2024, Rv. 670825 -01).
2.9. Quinto motivo: ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 26 D.P.R. n. 633/72’. La CTR, ‘pur ritenendo false le fatture intercorse tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, avrebbe comunque dovuto riconoscere gli storni effettuati, sempre nell’anno 2007, con le due note di credito di €. 102.000,00 ed €. 743.157,00. Il diniego viene giustificato dal giudice d’appello con il principio, sancito dalla Suprema Corte, secondo il quale i soggetti coinvolti in fatturazioni fittizie non possono giovarsi di note di credito . Tuttavia il giudice di legittimità ha altresì precisato come la nota di credito possa ugualmente essere presa in
considerazione ‘a storno’ della fattura inesistente se l’emittente si sia per tempo attivato per prevenire il rischio di una perdita del gettito fiscale . Nel caso di specie è evidente come nessun danno vi sia stato per l’Erario in quanto le due note di credito sono state emesse e registrate nell’annualità 2007 (stornando quindi la posta nel medesimo periodo d’imposta) e da parte di entrambe le società’.
2.10. Il motivo è infondato.
2.10.1. Il meccanismo contabile dello storno non può ‘ex se’ essere utilizzato in caso di operazioni inesistenti. Invero – deve espressamente ribadirsi -‘lo storno di fatture con note di variazione di pari importo è legittimo solo per le operazioni effettive e reali e non anche per quelle inesistenti, con conseguente indeducibilità, in detta ipotesi, delle relative sopravvenienze passive dal reddito imponibile’ (Sez. 5, n. 20337 del 26/07/2019, Rv. 654856 -01), giacché ‘la speciale procedura di cui all’art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, relativa alla facoltà di regolarizzazione dell’IVA, presuppone necessariamente che le operazioni per le quali siano state emesse le fatture da rettificare o da regolarizzare, perché relative ad operazioni venute meno in tutto o in parte, siano effettive e, pertanto, non è applicabile nel caso in cui le operazioni siano inesistenti’ (Sez. 5, n. 24231 del 18/11/2011, Rv. 620340 -01).
Fermo quanto precede, anche a voler in ipotesi seguire la tesi della contribuente, la pura e semplice infrannualità dello storno non vale ad escludere il rischio di pregiudizio per l’erario, in difetto della dimostrazione della mancata produzione di effetti derivanti dalla contabilizzazione e dall’utilizzo ‘medio tempore’ delle fatture.
In definitiva, il ricorso di RAGIONE_SOCIALE deve essere integralmente respinto, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
In riferimento alla posizione di RAGIONE_SOCIALE, dichiara inammissibile il ricorso, compensando le spese di lite.
In riferimento alla posizione di RAGIONE_SOCIALE rigetta il ricorso, condannandola a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese di lite, liquidate in euro 8.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 21 novembre 2024.