Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3053 Anno 2025
Oggetto: Tributi
Ires, Irap e Iva 2013 Relatore: COGNOME NOME
Operazioni in nero
Operazioni oggettivamente
inesistenti
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3053 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 17495 del ruolo generale dell’anno 202 1, proposto
Da
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv.to NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del difensore (PEC) EMAIL
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 6160/10/2020, depositata in data 14 dicembre 2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 gennaio 2025 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania, aveva rigettato l’appello proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 3501/20/2019 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli che aveva rigettato il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. della Guardia di Finanza di Ottaviano, aveva contestato, per il 2013, un maggior reddito di impresa ai fini Ires, Irap e Iva, derivante da operazioni ‘in nero’ e dall’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. In particolare, l’accertamento era basato su due rilievi: 1) il riscontro, a seguito di controlli incrociati effettuati su alcuni clienti e fornitori, di una discrasia contabile essendo emersa la registrazione di alcune forniture, nella contabilità dei fornitori, come regolarmente pagate e in quella della contribuente come ancora da saldare con conseguente presunzione dell’utilizzo d el saldo debitorio artificiosamente per mascherare pagamenti avvenuti con provviste derivanti da vendite in nero; 2) l’utilizzo di fatture di acquisto afferenti ad operazioni oggettivamente inesistenti con rideterminazione, in via induttiva, di un maggior reddito applicando una percentuale di ricarico pari al 5% dei ricavi ricostruiti.
2 .Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
3 .E’ stata formulata proposta di definizione anticipata del ricorso, in considerazione del rilievo di manifesta infondatezza del ricorso, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
La società ricorrente ha chiesto la decisione ed è stata quindi disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 380 bis e 380 bis.1 c.p.c.
Sia la ricorrente che l’Agenzia hanno depositato rispettive memorie.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. per avere la CTR ritenuto pienamente probanti dei contestati maggiori ricavi non dichiarati elementi costituiti da mere ipotesi formulate dalla G.d.F. (‘ i verificatori hanno ipotizzato la costituzione di disponibilità finanziarie occultate non contabilizzate ‘) e riprese dalla Amministrazione, elevando, in assenza dell’assolvimento della prova diretta da parte di quest’ultima, l’asserita mancanza di controprova a elemento integrativo idoneo a colmare il deficit probatorio della ripresa a tassazione e compiendo, inoltre, un apprezzamento deficiente delle risultanze istruttorie; in particolare, ad avviso della ricorrente, in ordine al primo rilievo dei maggiori ricavi derivanti da operazioni ‘ in nero ‘ , la CTR avrebbe violato il criterio di riparto dell’onere probatorio, ritenendo che la contribuente non aveva provato la corrispondenza tra la disponibilità bancaria e i ricavi contabilizzati laddove le transazioni contestate con i fornitori erano avvenute a mezzo banca e confluite nella dichiarazione dei redditi; peraltro, la statuizione del giudice di appello circa la mancata corrispondenza tra il dichiarato e i movimenti bancari sarebbe anche incongruente atteso c he la contestazione dell’Ufficio concerneva la riscontrata discrasia tra i debiti risultati saldati presso i fornitori con pagamenti tracciati e quelli risultati a riporto presso la società contribuente con conseguente presunzione da tale discrasia d ell’esistenza di ulteriori operazioni in nero. In
ordine al secondo rilievo inerente alle fatture oggettivamente inesistenti, ad avviso della ricorrente, la CTR: 1) avrebbe omesso l’esame di un fatto decisivo e controverso consistente nell’avvenuto disconoscimento delle operazioni sottese alle fatture contestate esclusivamente da parte di un fornitore (‘RAGIONE_SOCIALE) ; 2) avrebbe ritenuto dimostrata una circostanza non provata dall’Amministrazione ossia il mancato esperimento delle azioni di recupero crediti verso la contribuente; 3) avrebbe omesso di valutare gli elementi di controprova concreti offerti dalla contribuente in ordine alla ragione delle elevate rimanenze dovuta alla commercializzazione di frutta in guscio di lunga conservazione e in ordine alla percentuale di ricarico applicata giustificabile avuto riguardo alle criticità strutturali del settore agroalimentare nel quale operava la società.
1.1. Il primo motivo – che cumula sub censure di violazione di legge e di vizio motivazionale – si profila complessivamente inammissibile.
1.2.Come si evince dalla sentenza impugnata la ripresa di maggiori ricavi non contabilizzati operata dall’Ufficio sulla base delle risultanze delle indagini della Guardia di finanza, si fondava su due rilievi: 1) l’utilizzo da parte della contribuente di consistenti disponibilità economiche scaturenti da vendite di beni ‘ in nero ‘, impiegate, a loro volta, per operare acquisti in nero; 2) l’utilizzo di fatture afferenti ad operazioni oggettivamente inesistenti.
1.3.In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c . (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Cass. sez. 3, n. 30173 del 2021).
1.4.L a violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, e non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (tra le altre, Cass. Sez. L, Sentenza n. 17313 del 19/08/2020; Cass. 23518 del 2018; Cass. n. 571 del 2017; n. 19064 del 2006, n. 15107 del 2013).
1.5.Il motivo di ricorso, nella parte in cui deduce la violazione di legge, tende inammissibilmente ad una rivalutazione dell’apprezzamento di fatto operato dal giudice di appello il quale – conformemente ai principi in materia di accertamento con metodo analitico- induttivo, in presenza di contabilità formalmente tenuta ( ex multis, Cass., 5 ottobre 2007, n. 20857; Cass., 24 settembre 2014, n. 20060; Cass., 9 giugno 2017, n. 14370) e di operazioni oggettivamente inesistenti ( ex multis , Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 9723 del 10/04/2024;Cass.sez. 5 – , Sentenza n. 28628 d el 18/10/2021) – ha accertato che: 1) in ordine alle contestate operazioni ‘in nero’ a fronte degli elementi presuntivi – stimati gravi, precisi e concordantiofferti dall’Ufficio sulla base delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza (evidenti discordanze tra la contabilità della contribuente e quella dei fornitori mancando nella prima la contabilizzazione da parte della società di incassi da terzi e di pagamenti in favore dei fornitori stessi; reiterata mancata annotazione in contabilità dei pagamenti delle fatture contestate tenuto anche conto della consistente entità dell’importo complessivo delle stesse, pag. 3 -4 della sentenza impugnata) circa l’esistenza di consistenti disponibilità economiche occultate derivanti da vendite ‘in nero’ utilizzate, a loro volta , per operare acquisti non contabilizzati, la società contribuente non aveva offerto idonei elementi di prova a contrario , essendosi limitata a dedurre l’avvenuto pagamento delle fatture indicate nella contabilità dei fornitori a mezzo banca e la mancata registrazione
dei pagamenti delle stesse nella propria contabilità per una mera irregolarità senza dimostrare la riconducibilità dei movimenti bancari ai ricavi contabilizzati; 2) in ordine al rilievo dell’utilizzo di fatture afferenti ad operazioni oggettivamente inesistenti, a fronte degli elementi presuntivi – stimati univoci, precisi e concordanti – della oggettiva fittizietà delle operazioni in questione forniti dall’Ufficio ( esplicito disconoscimento delle operazioni sottese alle fatture in questione da parte dei fornitori, mancato esperimento delle dovute azioni di recupero da parte degli apparenti creditori, accesso infruttuoso presso il fornitore RAGIONE_SOCIALE), la contribuente non aveva provato l’effettiva esistenza delle stesse, essendosi limitata a dedurre che l’accesso presso RAGIONE_SOCIALE era avvenuto nel 2015 mentre le forniture sarebbero avvenute nel 2013, laddove ‘ appariva logico e verosimile ritenere che la situazione riscontrata nel 2015 ( idonea a dimostrare l’inoperatività di RAGIONE_SOCIALE) non fosse molto differente anche nel 2013 tenuto anche conto che l’ultima dichiarazione della stessa risaliva al 2005′. La censura si sostanzia pertanto – a fronte d ell’articolato percorso argomentativo e ragionamento presuntivo della CTR -in una inammissibile richiesta di rivalutazione degli elementi indiziari operata dal giudice di merito che, lungi dal considerare, come dedotto in ricorso, ‘fidefacienti’ quelli prodotti dall’Ufficio, li ha valutati complessivamente, in vicendevole completamento, nel rispetto dei criteri giuridici in tema di formazione della prova critica (Cass., sent. n. 12002/2017; Cass., ord. n. 5374/2017; Sez. 5, Ordinanza n. 37404 del 2021), stimandoli idonei a concretare prova presuntiva delle contestazioni dell’Ufficio, ritenuta non superata da adeguate e sufficienti prove addotte a contrario dalla contribuente.
1.6. Quanto alla dedotta violazione dell’art.360, comma 1, n. 5 c.p.c., il motivo si profila inammissibile, posto che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis ) concerne l’omesso esame di un fatto storico , principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra
le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 , comma 1, n. 6, c.p.c. e dell’ art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra l e parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015). Né, ovviamente, e a maggior ragione, l’apprezzamento giuridico del giudice, dissonante rispetto alle aspettative e prospettazioni della parte, può assurgere a omesso esame di un fatto controverso e decisivo (Cass. sez. 2, n. 29923 del 2023); nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto l’omesso esame di un ‘fatto storico’, ma peraltro di profili attinenti alle risultanze probatorie -puntualmente esaminate dal giudice di appello – la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte.
1.7. Peraltro, la censura di vizio motivazionale della sentenza impugnata è, altresì, inammissibile in quanto, in presenza di una cd. doppia conforme di merito, la ricorrente, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 348 -ter, quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83/2012, conv., con modif., dalla l. n. 134/2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11/09/2012, come nel caso di specie), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 06/05/2020, n. 8515; sez. 5, Sentenza n. 35893 del 2023), il che non è avvenuto nel caso in esame emergendo comunque dal contenuto del ricorso che identica è la quaestio facti esaminata dalle due commissioni.
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.: 1) la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/92 per avere la CTR, rigettato, con una motivazione apparente, l’eccezione della contribuente circa lo sfasamento temporale tra l’anno (2013) delle contestate operazioni e quello (2015) dell’accesso della GdF; 2) la violazione dell’art. 115 c.p.c. per avere la CTR travisato il contenuto dell’avviso in questione ritenendo lo stesso motivato per relationem con rinvio alle conclusioni di cui al p.v.c. della G.d.F. sebbene l’A mministrazione non avesse espresso, in alcun punto, una anche implicita, condivisione delle stesse; peraltro, la CTR avrebbe travisato le risultanze istruttorie nel ritenere l’avvenuto disconoscimento delle operazioni sottese alle fatture contestate da parte dei fornitori, laddove tale disconoscimento era stato operato esclusivamente ad opera di un fornitore (RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE; 3) la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR omesso la pronuncia in ordine alle eccezioni – sollevate nei gradi di merito -concernenti: a) la correttezza della percentuale di ricarico applicata (pari alla metà di quanto ipotizzato dall’Ufficio) avuto riguardo anche alle criticità del settore agroalimentare nel quale operava la società; b) la giustificazione addotta delle elevate rimanenze ravvisabile nella commercializzazione di frutta in guscio di lunga conservazione e non fresca di immediata deperibilità; c) il regime fiscale agevolativo di cui godevano i fornitori essendo produttori agricoli.
2.1. Il motivo – che si articola in diverse sub censure -si profila, in parte, inammissibile e, in parte, infondato.
2.2. Quanto al dedotto vizio di motivazione apparente -in ordine al rilievo dell’indebito utilizzo delle fatture per operazioni oggettivamente inesistenti -per avere la CTR rigettato, senza esplicitare le ragioni giuridiche sottese alla decisione, l ‘eccezione della contribuent e circa lo sfasamento temporale tra l’anno (2013) delle contestate operazioni e quello (2015) dell’accesso della G .d.F. presso uno dei fornitori ( RAGIONE_SOCIALE ) – premesso che si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della
sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021)- nella specie, il giudice di appello -con una motivazione articolata con riferimento a specifiche circostanze di fatto e senza neppure trascurare le circostanze dedotte dalla contribuente -ha rigettato la censura circa l’inidoneità di un accesso postumo a d accertare rapporti inesistenti pregressi in quanto ‘ appariva logico e verosimile ritenere che la situazione riscontrata nel 2015 (idonea a dimostrare l’i noperatività di RAGIONE_SOCIALE non fosse molto differente anche nel 2013 tenuto anche conto che l’ultima dichiarazione della stessa risaliva al 2005′ .
2.3.Con riguardo al denunciato travisamento del contenuto dell’avviso di accertamento quanto alla asserita sufficienza motivazionale dello stesso va ribadito l’orientamento di questa Corte – cui si è adeguato puntualmente la CTRsecondo cui in tema di avviso di accertamento, la motivazione ” per relationem ” con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Sez. 5, Sentenza n. 32957 del 20/12/2018).
2.4.Quanto al denunciato travisamento delle risultanze istruttorie quanto alla ritenuta prova dell’inesistenza (oggettiva) delle operazioni sottese alle fatture stante l’avvenuto disconoscimento delle stesse da parte dei fornitori sebbene,
ad avviso della ricorrente, il disconoscimento dei rapporti con la contribuente fosse stato operato esclusivamente dal fornitore RAGIONE_SOCIALE, la sub -censura si risolve in una inammissibile rivisitazione della valutazione degli elementi istruttori operata dal giudice di appello che, in merito al rilievo dell’indebito utilizzo delle fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, a fronte degli elementi presuntivi – stimati univoci, precisi e concordanti – offerti dall’Ufficio (concretanti nell’avvenuto esplicito disconoscimento da parte dei fornitori delle operazioni sottese alle fatture contestate, nel mancato esperimento delle dovute azioni di recupero da parte degli apparenti creditori e nell’accesso infruttuoso presso il fornitore RAGIONE_SOCIALE ) ha ritenuto non offerta dalla contribuente, in base alla documentazione prodotta, prova a contrario idonea a ‘scalfi la fondatezza della pretesa tributaria azionata’. Si tratta all’evidenza di una censura sulla valutazione del diverso apporto probatorio fornito dalle parti e tesa a raggiungere un risultato opposto a quello del giudice d’appello. Al riguardo, va ribadito che con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. n. 29404 del 2017; Cass. n. 5811 del 2019; Cass. n. 27899 del 2020; Cass. 18611 e 15276 del 2021; Cass. 37623/22).
2.5. Infondata è, in ultimo, la sub-censura di omessa pronuncia atteso che, per costante orientamento di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia ( Cass. 20311/2011, 24155/2017; Cass.
7927/2021).Il giudice di appello, nel rigettare l’appello della contribuente, ravvisando la sussistenza dei presupposti della pretesa tributaria azionata con riguardo sia alle contestate operazioni in nero che alle operazioni oggettivamente inesistenti, ha, seppure implicitamente, disatteso le doglianze dedotte nei gradi di merito. In ogni caso, neppure sussistono i presupposti per la denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., postulando la stessa che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o di una eccezione autonomamente apprezzabile, ritualmente e inequivocabilmente formulata (Sez. 2, Ordinanza n. 28072 del 14/10/2021) e non già, come nella specie, di mere circostanze (commercializzazione di frutta in guscio di lunga conservazione; criticità del settore agroalimentare nel quale operava la società; regime fiscale agevolativo dei fornitori produttori agricoli) che, ove valutate, avrebbero potuto comportare una diversa decisione (vizio denunciabile nei limiti consentiti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.) .
3.In conclusione, il ricorso va rigettato.
4.Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
5.Ai sensi del terzo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. « la Corte … quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 » (disposizione immediatamente applicabile anche ai giudizi in corso alla data del 1° gennaio 2023 per i quali a tale data non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio, come nella specie: cfr. Cass., Sez. U, Ordinanza n. 27195 del 22/09/2023; Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023; Cass. n. 28318 del 2023). La norma sottende una valutazione legale tipica del legislatore delegato, in ragione della quale l’applicazione delle sanzioni -di quelle del terzo comma come di quelle del quarto comma dell’art. 96 -non è subordinata ad una valutazione discrezionale ma discende, «di default», dalla definizione del giudizio in conformità alla proposta (Cass. n. 27947/2023).
6.La Corte stima equo fissare in euro 7.000,00 la sanzione ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., ed in euro 3.500,00 quella ai sensi del comma 4 della medesima disposizione, atteso il carattere pacifico dei principi giurisprudenziali applicati e la manifesta infondatezza del ricorso, per i motivi ampiamente esposti.
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 14.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
condanna la ricorrente a pagare l’ulteriore importo di euro 7.000,00 in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.;
condanna la ricorrente a pagare l’ulteriore importo di euro 3.500,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 28 gennaio 2025