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Operazioni inesistenti: Cassazione nega detrazione IVA

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società contro un avviso di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria che negava la detrazione IVA per l’anno 2009. Il caso riguarda l’acquisto di quote di emissione CO2 da fornitori fittizi (missing traders) in un contesto di frode carosello, configurando operazioni inesistenti dal punto di vista soggettivo. La Corte ha confermato che, a fronte di solidi indizi forniti dall’Amministrazione sulla consapevolezza della frode da parte della società acquirente, spetta a quest’ultima dimostrare di aver agito con la massima diligenza e in buona fede, prova che nel caso di specie non è stata fornita.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione nega la detrazione IVA e chiarisce l’onere della prova

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 20468 del 2024, è tornata a pronunciarsi sul tema delle operazioni inesistenti e sul diritto alla detrazione dell’IVA, fornendo chiarimenti cruciali sulla ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. La decisione, che nega il diritto alla detrazione a una società coinvolta in una frode carosello, sottolinea l’importanza della diligenza e della buona fede che ogni operatore economico deve adottare per non essere considerato partecipe, anche solo per negligenza, di un meccanismo evasivo. Questo principio si rivela fondamentale per le imprese che operano in settori complessi e a rapida movimentazione.

I Fatti: una frode carosello nel mercato delle quote CO2

Il caso esaminato dalla Corte riguarda una società, la Società Alfa S.p.A., che si è vista notificare un avviso di accertamento dall’Amministrazione Finanziaria. L’atto contestava l’indebita detrazione dell’IVA relativa all’anno 2009 per l’acquisto di quote di emissione di gas serra (CO2). Secondo l’Amministrazione, tali acquisti rientravano in una complessa ‘frode carosello’ e configuravano operazioni soggettivamente inesistenti. In pratica, le società fornitrici erano mere ‘cartiere’ (o ‘missing traders’), create appositamente per non versare l’IVA incassata, mentre la Società Alfa S.p.A. agiva come ‘società filtro’, interponendosi nella catena fraudolenta. Sia il tribunale di primo grado che la Commissione Tributaria Regionale avevano dato ragione all’Amministrazione Finanziaria, spingendo la società a ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte sulle operazioni inesistenti

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della Società Alfa S.p.A., confermando la legittimità dell’avviso di accertamento e, di conseguenza, il diniego della detrazione IVA. I giudici hanno stabilito che, di fronte a un quadro probatorio presuntivo solido e coerente fornito dall’Amministrazione Finanziaria, l’onere di dimostrare la propria totale estraneità alla frode e la propria buona fede ricade interamente sul contribuente. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la società non avesse fornito prove sufficienti a superare gli elementi indiziari che ne indicavano la consapevolezza, o quantomeno la colpevole ignoranza, del meccanismo fraudolento in cui era inserita.

Le Motivazioni della Cassazione: gli indizi di consapevolezza della frode

La sentenza si sofferma ampiamente sulle motivazioni che hanno portato alla decisione. La Corte ha validato l’impianto accusatorio dell’Amministrazione Finanziaria, basato su una serie di ‘indizi gravi, precisi e concordanti’. Tra questi elementi, ritenuti idonei a provare la conoscibilità della frode, figurano:

* Prezzi di acquisto anomali: Anche se solo di pochi centesimi inferiori a quelli di mercato, il modestissimo margine di guadagno (circa l’1%) era compensato da volumi di scambio enormi e veloci, suggerendo un utile derivante dalla movimentazione stessa più che da una reale attività commerciale.
* Utilizzo di conti correnti esteri: Le transazioni avvenivano sistematicamente tramite conti correnti in Paesi non collaborativi (inseriti in ‘black list’), una pratica insolita e sospetta.
* Struttura delle società fornitrici: Molte delle società venditrici (‘missing traders’) condividevano la stessa sede legale, erano state costituite dagli stessi soggetti e non avevano una reale struttura operativa, elementi tipici delle società ‘cartiere’.
* Mancato versamento dell’IVA: Le società fornitrici omettevano sistematicamente il versamento dell’IVA allo Stato.

Di fronte a questo quadro, la Cassazione ha ritenuto insufficienti le argomentazioni difensive della società, come la sua recente costituzione o l’aver seguito le procedure formali di ‘Know Your Customer’ (KYC). Secondo la Corte, un operatore diligente, specialmente in un settore nuovo e complesso, avrebbe dovuto ‘ponderare in via preventiva la consistenza e attendibilità delle controparti’ e i numerosi ‘campanelli d’allarme’ avrebbero dovuto indurlo a un maggior grado di cautela.

Le Conclusioni: diligenza e buona fede per la detrazione IVA

La sentenza ribadisce un principio cardine del diritto tributario europeo e nazionale: il diritto alla detrazione dell’IVA non è assoluto e può essere negato quando il contribuente sapeva, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione fiscale. Non è necessario provare la partecipazione attiva alla frode; è sufficiente dimostrare che il contribuente disponeva di indizi tali da ‘porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto’.
Per le imprese, questa decisione rappresenta un monito importante: la regolarità formale dei documenti (fatture, pagamenti) non è una garanzia sufficiente. È indispensabile adottare un approccio sostanziale, valutando l’affidabilità commerciale e fiscale delle proprie controparti e prestando la massima attenzione a eventuali anomalie operative o finanziarie che possano celare operazioni inesistenti e meccanismi fraudolenti.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare la consapevolezza della frode da parte dell’acquirente?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione. Tale prova può essere fornita anche tramite presunzioni, ovvero elementi oggettivi e specifici che, nel loro insieme, indicano tale consapevolezza.

Quali sono gli elementi che possono indicare la conoscenza di una frode IVA da parte di un’azienda?
La sentenza elenca diversi indizi, tra cui: prezzi di acquisto inferiori a quelli di mercato, l’uso sistematico di conti correnti in Paesi non collaborativi (black list), l’identica sede sociale di diverse imprese fornitrici, la costituzione di società ad opera degli stessi soggetti, l’utilizzo di conti correnti esteri da parte delle società venditrici, e l’omesso versamento dell’IVA da parte di queste ultime.

È sufficiente adottare le normali procedure di controllo sui clienti (KYC) per dimostrare la buona fede ed evitare contestazioni su operazioni inesistenti?
No. Secondo la Corte, il rispetto formale delle procedure, come il KYC, non è sufficiente a dimostrare la buona fede quando sono presenti numerosi e gravi indizi di anomalia. Un operatore commerciale diligente deve andare oltre la forma e valutare concretamente la consistenza e l’attendibilità delle controparti, specialmente in presenza di circostanze che dovrebbero far sorgere un sospetto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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