Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27793 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27793 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
Oggetto: IVA – operazioni
oggettivamente inesistenti
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12651/2024 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata presso lo studio legale dell’AVV_NOTAIO che la rappresentata e difende giusta procura speciale in atti (domicilio digitale PEC: EMAIL)
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE (PEC: EMAIL digitale EMAIL)
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio n. 6975/02/23 depositata il 05/12/2023;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 18/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che:
-l’Ufficio Controlli della Direzione Provinciale III di Roma dell’RAGIONE_SOCIALE aveva proceduto, per l’anno d’imposta 2014, ai sensi dell’art. 54, comma 5 d.P.R. 633/1972, ai fini IVA, al recupero dell’imposta illegittimamente detratta, ex art. 19 d.P.R. 633/1972, per un importo pari ad € 31.410,72, relativamente all’utilizzo RAGIONE_SOCIALE fatture di acquisto emesse per un ammontare imponibile complessivo pari ad € 146.395,00;
-la società ricorreva; il giudice di primo grado rigettava l’impugnazione;
-proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE; con la sentenza di secondo grado oggetto di ricorso per cassazione in questa sede il giudice di appello ha confermato la decisione della CTP di Roma;
-ricorre la contribuente con atto affidato a tre motivi di doglianza; resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE;
-il Consigliere delegato depositava proposta di definizione accelerata del giudizio, alla quale ha fatto seguito il deposito ad opera della ricorrente di istanza di decisione Collegiale;
-il contribuente ha depositato memoria illustrativa;
Considerato che:
-il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE norme di diritto e precisamente dell’art. 57 del d. Lgs. n. 546 del 1992 nella parte in cui la Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Lazio ha ritenuto inammissibile il motivo d’appello relativo alla detraibilità dell’IVA anche in caso di operazioni inesistenti per essere stato proposto solo nel II grado di giudizio e non anche in I grado e violazione e violazione e falsa
applicazione RAGIONE_SOCIALE norme diritto in merito alla detraibilità dell’IVA in caso di operazioni inesistenti in particolare dell’art. 42, comma 1 e 21 -septies del d.P.R. n. 600/1973; secondo parte ricorrente la Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Lazio ha erroneamente ritenuto che il motivo di doglianza formulato in grado d’appello – relativo alla legittima detraibilità dell’IVA anche in caso di operazioni inesistenti, purché poste in essere da soggetti passivi IVA -fosse inammissibile in quanto non formulato anche nel ricorso -reclamo di I grado: invece, sempre secondo tale prospettazione, nel caso di specie ricorrevano tutti gli elementi per definire la formulazione del motivo d’appello in termini di emendatio , essendo stata sollevata una diversa qualificazione ed interpretazione del fatto costitutivo, rimasto, però, nei suoi elementi costitutivi, immutato;
-il motivo non trova accoglimento;
-a prescindere dalle ragioni di inammissibilità -che pure sussistono, in quanto: a) (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 32092 del 12/12/2024; Cass. Sez. Un., 20 febbraio 2007, n. 3840) ove il giudice si sia spogliato della potestas iudicandi statuendo l’inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio (e, nella specie, del motivo), le eventuali ulteriori considerazioni sul merito della controversia costituiscono mere argomentazioni ipotetiche e virtuali, le quali non possono formare oggetto di impugnazione proprio per l’assenza di valenza decisoria, potendosi l’impugnazione stessa appuntare esclusivamente sulla statuizione in rito relativa all’ammissibilità della domanda; b) la censura è carente di specificità non avendo il ricorrente trascritto, né allegato gli atti da cui emerge che il motivo
proposto in appello non fosse proposto per la prima volta in appello, ma una semplice emendatio -il motivo è comunque manifestamente infondato;
-invero, va ricordato in primo luogo che le operazioni oggettivamente inesistenti, così come quelle soggettivamente inesistenti, non sono affatto generative della neutralità dell’imposta per l’Erario, come ritiene parte ricorrente;
-quanto alle prime, difettando l’operazione sottostante, esse consentono all’utilizzatore RAGIONE_SOCIALE fatture emesse la detrazione di un’iva inesistente come le operazioni sottostanti, con conseguente evidente illegittimità;
-quanto alle seconde, per quanto sussista in natura l’operazione sottostante, esse consentono analogamente all’utilizzatore la detrazione di un’iva il cui versamento da parte di questi all’emittente non sarà seguito -stante l’inesistenza del soggetto emittente, avendo altri e non questi posto in essere effettivamente le prestazioni -da alcun versamento di tale iva all’Erario;
-va ricordato il combinato disposto degli artt. 18, comma 1, e 21, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, dai quali si evince che l’obbligo di emissione della fattura grava sul soggetto che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi, nei confronti del soggetto che ne è destinatario;
-e ciò in quanto la detraibilità dell’IVA è, in linea di principio, esclusa quando l’imposta sia stata corrisposta ad un soggetto che, non avendo effettuato l’operazione, non è né legittimato ad addebitarla a titolo di rivalsa, né tenuto a versarla all’Erario; non trova pertanto applicazione l’art. 168, lett. a), della
Direttiva 2006/112 (Cass., n. 20060/2015; Cass., n. 27555/2018);
-il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE norme di diritto e precisamente dell’art. 12, comma 7, RAGIONE_SOCIALE Statuto del contribuente (Legge n. 212/2000), nella parte in cui la Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Lazio ha ritenuto correttamente svolto il preventivo contraddittorio;
-il motivo è manifestamente infondato;
-è dirimente, in primo luogo, che il contraddittorio è stato rispettato posto che, come accertato dalla CGT2 e in alcun modo contestato dal ricorrente, nel pvc ‘ è stata espressamente rappresentata alla società, ai sensi dell’art. 12, comma 7 L. 212/2000, la facoltà di comunicare entro sessanta giorni ‘osservazioni e richieste’ all’Ufficio impositore ‘, e l’avviso è stato adottato ben oltre tale termine, sicché non sussiste alcuna lesione dei diritti della parte;
-peraltro, va anche rilevato che la sentenza di merito dà pure atto che, come parimenti risulta dal pvc, il contraddittorio si è svolto anche in costanza di verifica ( ‘nel P.V.C. si dà atto del contraddittorio svolto in data 9 ottobre 2017 dai verificatori con il Presidente del Consiglio di amministrazione della società e del fatto che, in quell’occasione, nessuna documentazione o chiarimento ulteriore sia stata fornita’ ), sicché esso ha, in concreto, ha avuto effettivamente luogo;
-comunque, la censura non ha fondamento anche per l’ulteriore ragione che si illustra;
-resta del tutto privo di rilievo, dunque, la valutazione sulla cd. prova di resistenza, fermo restando che, anche sotto questo versante, la CGT2 ha accertato, in fatto, che ‘… la società, al di
là di generiche asserzioni, non ha in alcun modo enunciato le ulteriori ragioni che, in concreto, avrebbe potuto far valere, tali da condurre ad un risultato diverso’ ; del resto, una specifica indicazione di fatti e informazioni -in coerenza con quanto recentemente precisato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 21271/2025) -neppure è stata rappresentato nello stesso ricorso per cassazione;
-il terzo motivo, per evidente mero errore di scritturazione numerato sub. n. 2 (con inizio dell’esposizione a pag. 7, ultime due righe, del ricorso per cassazione), censura la pronuncia gravata per violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE norme di diritto e precisamente dell’art. 7, comma 5 bis del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, nella parte in cui la Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Lazio ha rigettato l’appello della ricorrente, pur in assenza di specifiche prove sull’unico centro di imputazione. In concreto, secondo la parte ricorrente, gli indizi o gli elementi di prova forniti dall’Ufficio a sostegno RAGIONE_SOCIALE proprie contestazioni e pretese sarebbero da ritenersi del tutto insufficienti, mentre sono al contrario facilmente riscontrabili gli elementi che dimostrano la ‘effettività’ RAGIONE_SOCIALE operazioni attuate e la buona fede dell’odierna ricorrente;
-premesso che la disposizione che si assume violata, si applica esclusivamente ai giudizi introdotti successivamente al 16 settembre 2022, data di entrata in vigore dell’art. 6 della legge n. 130 del 2022 (Cass., Sez. T, 13 giugno 2024, n. 16493; Cass. Sez. T, 25 luglio 2024, n. 20816) in quanto norma sostanziale a non processuale, il motivo è in ogni caso inammissibile in quanto esso, in realtà, sollecita questa Corte a
un riesame, non consentito, degli elementi di prova e ad una nuova valutazione degli stessi;
-in conclusione, il ricorso va rigettato;
-le spese processuali seguono la soccombenza;
-poiché la presente decisione fa seguito ad istanza di decisione proposta al Collegio in seguito alla comunicazione di proposta di definizione accelerata del giudizio ex art. 380 bis c.p.c. va applicata la giurisprudenza di questa Corte (si vedano in termini le pronunce Cass. Sez. Un., Ordinanza n. 28540 del 13 ottobre 2023; Cass. Sez. Un., Ordinanza n. 27195 del 22 settembre 2023; ancora, conforme alle precedenti risulta la recente Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 31839 del 15 novembre 2023) secondo la quale in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380 – bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d. Lgs. n. 149 del 2022) – che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. – codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente;
-debbono quindi liquidarsi ex art. 96 terzo comma c.p.c. l’importo di euro 2.200,00 a carico di parte soccombente ed ex art. 96 quarto comma c.p.c. e ancora l’ulteriore importo di euro 1.100,00 sempre a carico di parte soccombente da versarsi quest’ultimo alla cassa RAGIONE_SOCIALE ammende;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali che liquida in euro 4.400,00, oltre a spese prenotate a debito; condanna parte ricorrente al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.100,00 ex art. 96 c. 3 c.p.c. in favore di parte controricorrente e infine dell’ancora ulteriore somma di euro 1.100,00 ex art. 96 c. 4 c.p.c. in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME