Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17604 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17604 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
Oggetto: IRAP ed IRPEF 2013 – Art. 5 t.u.i.r. – Operazioni oggettivamente inesistenti
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22545/2024 R.G. proposto da:
COGNOME, COGNOME e RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi, in virtù di procure speciali rilasciate su fogli separati ed allegati al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato l’indirizzo pec EMAIL;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, n. 792/22/2024, depositata in data 14 marzo 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. A seguito di segnalazione della Direzione Regionale della Lombardia, relativa alla società RAGIONE_SOCIALE con domicilio fiscale in Londra coincidente con quello di altri soggetti britannici coinvolti in operazioni fittizie, l’Agenzia delle entrate chiedeva alla società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto l’attività di ‘confezione su misura di vestiario’ , informazioni circa l’effettività della prestazione indicata nella fattura ( our consultancy fees for stylish feature spring -summer and fall-winter , per un imponibile di Euro 120.000,00) ricevuta dalla società britannica.
All’esito del contraddittorio l’ Ufficio, ritenendo la documentazione prodotta dalla società inidonea a dimostrare l’effettività della prestazione, emetteva l’avviso di accertamento CODICE_FISCALE con il quale recuperava a tassazione la detta fattura in quanto relativa ad un’operazione oggettivamente inesistente .
Sulla base dell’art. 5 t.u.i.r. l’Ufficio emetteva due avvisi di accertamento (nn. T9K01UP03655-57) nei confronti di NOME COGNOME ed NOME COGNOME, con il quale veniva imputato ai contribuenti, nella loro veste di soci al 50% (ciascuno) delle quote della società, e, quindi, recuperato a tassazione, ai fini IRPEF per l’anno 201 3, il maggior reddito accertato nei confronti della società.
La società ed i soci proponevano separati ricorsi avverso i rispettivi avvisi di accertamento, innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Como eccependo sia vizi procedimentali preliminari (nullità dell’avviso per mancata allegazione della segnalazione della DR della Lombardia) sia censure nel merito della pretesa tributaria nei confronti della società.
La CTP, riuniti i ricorsi, li accoglieva, rilevando, nel merito, che gli elementi indiziari addotti da ll’Ufficio non fossero gravi, precisi e concordanti. La società aveva, poi, provato il proprio ruolo di intermediario della società britannica nell’acquisto di stampe e disegni fra quest’ultima e la società cinese RAGIONE_SOCIALE
L’Ufficio interponeva gravame chiedendo l’integrale riforma della sentenza di prime cure.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte accoglieva l’appello: rigettava, in primo luogo, l’eccezione di nullità (riproposta in appello dai contribuenti) degli avvisi di accertamento per la mancata allegazione della segnalazione della DR della Lombardia, poiché gli atti risultavano adeguatamente motivati, senza compromissione del diritto di difesa dei contribuenti. Nel merito, dopo aver premesso che l’oggetto della contestazione attiene alla contabilizzazione ed utilizzo di una fattura passiva relativa ad operazione oggettivamente inesistente, sulla base della assunzione che il soggetto fornitore (la RAGIONE_SOCIALE) era strutturalmente inconsistente, così da non aver potuto effettuare la detta operazione, evidenziava che i plurimi element i concreti indicati dall’Ufficio integravano presunzioni semplici; riportava, quindi, la giurisprudenza di questa Corte formatasi in materia ed affermava che gli elementi introdotti dalle parti private non erano idonei a comprovare l’effettiva esistenza de lle prestazioni.
Per la cassazione della citata sentenza i contribuenti hanno proposto ricorso affidato a tre motivi. L ‘Ufficio resiste con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 18/06/2025.
Considerato che:
Con il primo motivo i contribuenti lamentano, da un lato, la «violazione art. 360 n. 4 cpc in relazione all’art. 115 cpc per errore di percezione del giudice sul contenuto oggettivo della prova ed omessa comparazione della stessa. Travisamento della prova per errore sulla ricognizione del contenuto oggettivo della stessa con conseguente impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio i contenuti informativi che da esso il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre ( demostratum )» e , dall’altro, la «violazione ex art. 360 1 co. n. 5 per omissione della valutazione della statuizione contenuta nella sentenza della Corte d’Appello di Milano
n. 168/2021, che costituisce fatto decisivo in punto di ulteriore disamina delle prove offerte dai ricorrenti nonché della statuizione della direzione provinciale di Bologna che statuiva l’esistenza di operazioni svolte da RAGIONE_SOCIALE per altro contribuente (medesima segnalazione DER)». Sotto il primo profilo lamentano esclusivamente la mancata valutazione, da parte della CTR, dei ‘numerosi elementi posti dai ricorrenti a sostegno dell’esistenza della prestazione’ (pag. 9 del ricorso) e la mancata comparazione tra i detti elementi e quelli prodotti dall’Ufficio. La CTR ‘neppure accenna ad uno scrutinio delle allegazioni svolte dagli odierni ricorrenti’ (pag. 10). Sotto il secondo profilo evidenziano di aver depositato in sede di appello la decisione della Corte di Appello di Milano (n. 168/2021), che, chiamata a pronunciarsi sul verbale di accertamento emesso dall’INPS a seguito della rettifica del reddito della società, aveva ritenuto ‘con rivalutazione autonoma…la fondatezza, bontà ed efficacia del compendio probatorio offerto dal contribuente’ (pag. 11).
Il motivo è infondato sotto ambedue i profili.
1.1. La prima doglianza, nonostante un titolo omnicomprensivo (in cui si parla anche di errore di percezione e travisamento della prova), si riduce alla denuncia della mancata valutazione degli elementi addotti dai contribuenti e della mancata comparazione degli stessi con quelli forniti dal l’Ufficio.
Così perimetrata la doglianza alla luce del contenuto sostanziale della sua parte motiva, deve essere rigettata perché, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, la CGT-2 non solo ha espressamente indicato la documentazione prodotta dai ricorrenti (a pag. 4: la contabilità, la copia del contratto intercorso con la società britannica sottoscritto il 7/1/2012 con durata sino al 30 novembre 0213, la fattura in questione, copia dei bonifici effettuati, fotocopia dei disegni dei tessuti ) ma l’ha anche comparata con gli elementi introdotti dall’Ufficio, ritenendola inidonea ad integrare la prova dell’ esistenza della prestazione (a pag. 5: è impossibile ricondurre alla fattura i disegni prodotti e le pur voluminose carte esibite
all’Ufficio; risulta del tutto anomala la modalità della consegna della merce a Lugano da parte del sig. COGNOME azionista della RAGIONE_SOCIALE in incontri informali, senza che risulti corrispondenza e reportistica analitica dei rapporti; le fatture hanno descrizioni di causali generiche; il contratto ha un contenuto del tutto sommario e generico che non individua neppure il tipo di servizio offerto e non si capisce se si tratta di forniture di merce o consulenze; le indicate modalità di consegna della merce sono d el tutto anomale (non c’è bolla di consegna, non si capisce di che merce si tratti ) ; da nessuna parte nel contratto si evince il ruolo di intermediaria della RAGIONE_SOCIALE rispetto a società cinesi ).
1.2. In relazione alla seconda doglianza (omesso esame della sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 168/2021) è opportuno premettere che l ‘art. 360, comma primo, cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dal legislatore nel 2012 (d.l. 83/2012) ed applicabile ratione temporis , prevede, per quanto qui rilevi, che le sentenze emesse in grado di appello possono essere impugnate con ricorso per cassazione:
…5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Nonostante la ratio della riforma fosse chiara, ovvero, da un lato, evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, dall’altro, limitare il sindacato sul fatto in Cassazione, la formulazione della norma, molto criticata in dottrina, ha generato numerose questioni interpretative e questa Corte è stata chiamata a delimitare l’ambito di applicazione del motivo de quo .
In termini generali, si è affermato che è denunciabile, ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., solo l’anomalia motivazione che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U. 07/04/2014 n. 8053, Cass. Sez. U. 21/12/2022 n. 37406, Cass. n. 12111/2019).
Al di fuori di queste ipotesi, quindi, è censurabile ai sensi del n. 5) soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso, che sia stato oggetto di discussione e che sia decisivo; di contro, non è più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti e ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. n. 2474/2017).
Per fatto decisivo deve intendersi innanzitutto un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o secondario, che sia processualmente esistente, in quanto allegato in sede di merito dalle parti ed oggetto di discussione tra le parti, che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e se preso in considerazione avrebbe determinato una decisione diversa (Cass. n. 9637/2017).
Pertanto, non costituiscono ‘fatti’ suscettibili di fondare il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., le argomentazioni o deduzioni difensive, il cui omesso esame non è dunque censurabile in Cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 (Cass. n. 9637/2021), né costituiscono ‘fatti storici’ le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative (Cass. n. 10525/2022).
Pacifica, poi, l’applicabilità della norma al processo tributario (così Sez. U. n. 8053/2014 cit.), questa Corte, in tema di contenzioso tributario, ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale non si censuri l’omesso esame di un fatto
decisivo ma si evidenzi solo un’insufficiente motivazione per non avere la CTR considerato tutte le circostanze della fattispecie dedotta in giudizio (Cass. 28/6/2016 n. 13366, in materia di idoneità delle dichiarazioni rese da un terzo a fondare la prova, da parte della contribuente, di fatture per operazioni inesistenti).
Alla luce della giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata deve osservarsi che nella specie il fatto omesso esula dal parametro normativo sopra tratteggiato sia perché integra un elemento della più complessa fattispecie dedotta in giudizio sia perché, soprattutto, non è affatto decisivo (la citata sentenza, infatti, non solo non è resa tra le stesse parti, ma della stessa non viene neanche dedotto, prima che provato, il passaggio in giudicato).
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la «violazione ex art. 360 n. 3cpc per aver interpretato e valutato una documento formatosi nelle forme del diritto anglosassone (bilancio ecc) con i principi normativi del diritto italiano». Precisamente, la CGT-2 avrebbe valutato la RAGIONE_SOCIALEbasandosi su elementi contabili e norme societarie di diritto italiano’ (pag. 12 del ricorso). Osservano, di contro, che la sede della detta società ai fini VIES era lo studio del commercialista, per cui era normale che ivi fossero domiciliate altre società, che la RAGIONE_SOCIALE è una small company , società di diritto britannico alla quale vanno applicate le norme di diritto anglosassone.
Il motivo è infondato.
2.1. La CGT-2 ha compiuto una valutazione complessiva della struttura della RAGIONE_SOCIALE onde inferirne la natura di ‘società cartiera’; a tal fine ha considerato plurimi elementi, tra i quali il bilancio, evidenziando che non vi era esposto alcun ricavo, ma solo attività coerenti con poche decine di migliaia di euro; pur volendo ritenere che il bilancio della RAGIONE_SOCIALE sia conforme al diritto anglosassone, ciò non esclude affatto la persistenza di tutti gli altri elementi dedotti dall’Ufficio, ovvero la coincidenza della sede legale ai fini IVES con quella di altri soggetti giuridici britannici ‘coinvolti in
meccanismi di frodi tramite uso di fatture per operazioni inesistenti’ (pag. 4 della sentenza; specificazione opportunamente omessa dai ricorrenti nel motivo in esame), assenza di immobilizzazioni e carenze strutturali.
Detta valutazione, infine, ha costituito nel ragionamento dell’Ufficio, prima, e della CGT -2, poi, un elemento corroborante il giudizio inferenziale della inesistenza dell’operazione portata dalla fattura oggetto di contestazione.
Con il terzo motivo i contribuenti lamentano la violazione «dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 42, comma 2, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come successivamente modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), del d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32» per avere la CGT-2 ritenuto validi gli avvisi di accertamento pur non essendovi allegato ‘l’atto d’impulso dell’accertamento’, ovvero la segnalazione della DR della Lombardia.
Il motivo è infondato.
3.1. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte ( ex multis , Cass. 10/06/2021, n. 16428), l’art. 7 della legge n. 212 del 2000 prescrive che, se nella motivazione degli atti dell’amministrazione finanziaria si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama e l’obbligo di allegazione, previsto dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000, mira a garantire al contribuente il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difensive, laddove, in mancanza, egli sarebbe costretto ad una attività di ricerca, che comprimerebbe illegittimamente il termine a sua disposizione per impugnare (conformi, Cass. nn. 28800, 28801, 28802, 28803, 28804 del 2020, nonché Cass. nn. 17486 del 2019, 29491 del 2018, 29402 del 2017, 12468 del 2015); in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già
integrale e legale conoscenza (Cass. n. 29968 del 2019); in tema di avviso di accertamento, l’onere di allegazione di cui all’art. 7 della I. n. 212 del 2000 è limitato ai documenti non conosciuti né ricevuti dal contribuente e costituenti il presupposto dell’atto impositivo al fine di evitare il pregiudizio del diritto di difesa di quest’ultimo (Cass. n. 14723 del 2020).
Più recentemente si è precisato che l’allegazione dell’atto richiamato non è necessaria, essendo sufficiente che il relativo contenuto essenziale sia riprodotto nell’avviso di accertamento (Cass. 30/12/2024, n. 34906).
3.2. Ciò posto, nella specie la CGT-2 afferma che la segnalazione della DR della Lombardia nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, effettivamente non allegata agli avvisi di accertamento, era ivi riportata, nel suo contenuto essenziale: ‘gli elementi essenziali da essi desumibili utili per la formalizzazione delle contestazioni alla RAGIONE_SOCIALE sono stati riportati e indicati nell’avviso emesso a suo carico’ (pag. 4 della sentenza).
I ricorrenti opinano, di contro, che l’atto di impulso doveva essere allegato agli avvisi, in quanto atto non conosciuto.
Ora, alla luce della giurisprudenza più recente di questa Corte supra richiamata, la decisione della CGT-2 anche in parte qua deve essere confermata, non occorrendo l’allegazione -all’avviso di accertamento dell’atto richiamato, purché nell’avviso sia riportato, come nella specie, il suo contenuto essenziale e non sia compromesso il diritto di difesa del contribuente.
Il ricorso va, in definitiva, rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 5.900,00, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 giugno 2025.