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Operazioni inesistenti: Cassazione e onere della prova

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di presunte operazioni inesistenti nel settore del trading di energia. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato a una società la detrazione dell’IVA su fatture relative a compravendite di energia ritenute fittizie, parte di un meccanismo circolare a ‘somma zero’. Le commissioni tributarie di merito avevano dato ragione al contribuente, basandosi su un decreto di archiviazione penale e su una presunta ‘communis opinio’ giurisprudenziale favorevole. La Suprema Corte ha cassato la sentenza, affermando che l’archiviazione penale non vincola il giudice tributario e che quest’ultimo deve valutare autonomamente tutte le prove e gli indizi forniti dall’Amministrazione finanziaria, non potendo basare la decisione su una generica ‘opinione comune’.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione traccia i confini dell’onere della prova

Introduzione: il contrasto alle frodi IVA

La lotta alle frodi fiscali, in particolare quelle legate all’IVA, rappresenta una priorità costante per l’Amministrazione Finanziaria. Un caso emblematico è quello delle operazioni inesistenti, ovvero transazioni puramente cartolari create per generare crediti d’imposta fittizi. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione interviene su una complessa vicenda di trading energetico, fornendo chiarimenti cruciali sulla valutazione delle prove e sull’irrilevanza di un’archiviazione penale nel giudizio tributario.

Il Fatto: un carosello nel mercato dell’energia

L’Agenzia delle Entrate notificava a una società di consulenza due avvisi di accertamento, contestando l’indebita detrazione dell’IVA relativa agli anni 2012 e 2013. Secondo l’Ufficio, le fatture si riferivano a operazioni inesistenti oggettivamente. Le indagini avevano svelato un complesso meccanismo circolare: una grande società energetica, insieme a una rete di altre aziende (tra cui la contribuente), realizzava compravendite reciproche di ingenti quantità di energia elettrica.

Le caratteristiche di questo schema erano:
Circolarità: l’energia acquistata era sempre pari a quella venduta all’interno della rete.
Saldo zero: i corrispettivi pagati per gli acquisti erano identici a quelli incassati per le vendite, annullando qualsiasi profitto o rischio imprenditoriale.
Mancanza di sostanza: la società contribuente non disponeva di personale o strumenti e le operazioni non trovavano riscontro nei registri della Borsa elettrica.

L’Ufficio concludeva che, data l’assenza di una reale movimentazione economica e di un fine commerciale, le operazioni erano fittizie e l’IVA non era detraibile.

Le decisioni dei Giudici di Merito

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale accoglievano i ricorsi della società. I giudici di merito basavano la loro decisione su due argomenti principali:
1. L’esistenza di un decreto di archiviazione nel procedimento penale a carico degli amministratori della società capofila.
2. La formazione di una ‘communis opinio’ giurisprudenziale, ovvero una serie di sentenze di merito favorevoli ad altre società coinvolte nello stesso schema, che negavano l’inesistenza delle operazioni.

La Commissione Regionale riteneva che, sebbene non vincolanti, questi elementi rendessero non accettabile una soluzione diversa per casi identici, confermando così l’illegittimità della pretesa fiscale.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza regionale. Le motivazioni della decisione si fondano su principi cardine del diritto processuale e tributario.

Innanzitutto, i giudici di legittimità ribadiscono un punto fondamentale: il provvedimento di archiviazione penale non ha alcuna autorità di cosa giudicata nel processo tributario. A differenza di una sentenza emessa dopo un dibattimento, l’archiviazione si basa sulla mancanza di elementi per sostenere l’accusa in giudizio e non impedisce al giudice tributario di valutare autonomamente gli stessi fatti per finalità fiscali. Il giudice tributario deve condurre il proprio ragionamento presuntivo ai sensi dell’art. 2729 c.c., senza essere condizionato dall’esito dell’indagine penale.

In secondo luogo, la Corte critica l’uso del concetto di ‘communis opinio’ da parte dei giudici di merito. Tale principio si applica all’interpretazione di norme processuali, ma non può mai sostituire l’analisi critica e rigorosa del quadro probatorio di un singolo caso. Il giudice non può ritenere superati gli indizi gravi, precisi e concordanti forniti dall’Amministrazione (la circolarità delle transazioni, il saldo zero, la mancanza di profitto) semplicemente perché altri giudici in altre cause hanno deciso diversamente. Ogni processo ha una sua autonomia e il giudice ha il dovere di valutare nel complesso tutti gli elementi fattuali addotti dalle parti.

La Cassazione sottolinea che la Commissione Regionale ha commesso un errore nel trascurare di valutare il complesso degli elementi indiziari, che nel loro insieme delineavano un quadro probatorio solido a sostegno della tesi dell’Ufficio sulle operazioni inesistenti.

Le conclusioni

La sentenza viene cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria competente in diversa composizione. Quest’ultima dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi espressi dalla Cassazione: dovrà cioè procedere a una valutazione autonoma e completa di tutti gli elementi indiziari presentati dall’Agenzia delle Entrate, senza farsi influenzare né dall’archiviazione penale né da precedenti decisioni di merito su casi analoghi. Questa pronuncia riafferma il rigore necessario nella valutazione delle prove in materia di frodi IVA e chiarisce l’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, rafforzando gli strumenti di contrasto alle operazioni inesistenti.

Un decreto di archiviazione penale può impedire un accertamento fiscale per operazioni inesistenti?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che un provvedimento di archiviazione pronunciato in sede penale non rientra tra i provvedimenti con autorità di cosa giudicata nel processo tributario e, pertanto, non impedisce al giudice tributario di definire, valutare e qualificare diversamente lo stesso fatto ai fini fiscali.

Una serie di sentenze favorevoli in casi simili (communis opinio) è sufficiente a vincere una causa contro il Fisco?
No. Secondo la Corte, il concetto di ‘communis opinio’ si applica all’interpretazione di norme, ma non può sostituire la valutazione specifica e autonoma del quadro probatorio (indizi) di ogni singolo caso. Il giudice ha il dovere di analizzare criticamente le prove fornite dall’Amministrazione finanziaria, non potendo ignorarle sulla base di altre decisioni.

In caso di sospette operazioni inesistenti, come funziona l’onere della prova?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di fornire elementi di prova, anche presuntivi (indizi), purché gravi, precisi e concordanti, che facciano ragionevolmente dubitare della realtà delle operazioni. Una volta che l’Ufficio ha assolto a tale onere, spetta al contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle transazioni e il suo diritto alla detrazione dell’IVA.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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