Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25617 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 25617 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4800/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 1522/2020, depositata l’8 luglio 2020.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso. Udito l’avvocato dello Stato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -L’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Brescia notificava alla RAGIONE_SOCIALE due distinti avvisi di accertamento n. T9H06A302046/2015 e T9H06A302047/2015 relativi alla maggior IVA relativa agli anni d’imposta 2012 e 2013 , ritenuta indebitamente detratta in quanto afferente a fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti.
Da una verifica fiscale e da indagini di polizia giudiziaria svolte dalla Guardia di finanza era emerso che la RAGIONE_SOCIALE aveva, negli anni dal 2009 al 2013 organizzato una rete di società, facenti capo ai medesimi soggetti, che acquistavano e vendevano reciprocamente ingenti quantità di energia elettrica sul mercato telematico, realizzando un meccanismo circolare in forza del quale la quantità di energia comprata era sempre pari a quella venduta, e i corrispettivi pagati da ciascuna società per gli acquisti erano pari ai corrispettivi incassati per le rivendite alle altre società della rete. L’I VA attiva generata dalle fatture di vendita era stata regolarmente dichiarata, e l’iva passiva sugli acquisti regolarmente detratta. Dall’insieme di circostanze sopra accennate, l’Ufficio traeva la conclusione che sia ai fini dell’IVA che ai fini delle imposte sul reddito, le operazioni di compravendita in questione fossero da considerare oggettivamente inesistenti. Di conseguenza, l’IV A scontata per rivalsa sugli apparenti acquisti non era detraibile (e, ai fini delle imposte sul reddito, i ricavi delle vendite non potevano considerarsi imponibili, ma i costi di acquisto dell’energia correlati alle vendite fittizie erano indeducibili; donde le sanzioni ex art. 8 d.l. n. 16/2012 per esposizione di componenti negativi indeducibili). Più in particolare, a carico della RAGIONE_SOCIALE era emerso che il nome di questa società, con l’indicazione esatta dei quantitativi di energia
elettrica comprati e venduti in transazioni intervenute con la suddetta RAGIONE_SOCIALE, e dei relativi corrispettivi, figurava nei prospetti delle indicate operazioni ‘a somma zero’ con le diverse società che operavano in rapporto con la RAGIONE_SOCIALE, reperito dai verificatori nell’accesso presso quest’ultima. Anche le operazioni di acquisto e vendita effettuate nei diversi anni tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE si erano tutte chiuse a saldo ‘zero’, vale a dire senza alcuna differenza né positiva né negativa tra le quantità di energia acquistate e quelle vendute, né tra i corrispettivi incassati e quelli pagati. Risultava, inoltre, che RAGIONE_SOCIALE presso la sede sociale non disponeva di personale o strumenti; tale sede era un recapito in Milano, in comune con molte altre società che ivi avevano indicato la propria sede. Infine, il Gestore del mercato elettrico, interpellato dai verificatori, aveva riferito che nessuna delle operazioni indicate nel suddetto prospetto, apparentemente intercorse tra RAGIONE_SOCIALE e le sue controparti, trovava riscontro nelle transazioni registrate nella Borsa elettrica.
La contribuente impugnava gli avvisi di accertamento con distinti ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Brescia sostenendo, in sintesi, che le operazioni contestate consistevano in comuni e tipiche operazioni ‘back to back’, in cui due operatori acquistano e vendono reciprocamente l’energia, calcolando il saldo del dare e dell’avere solo al termine di tal i negoziazioni.
La Commissione tributaria provinciale, con la sentenza n. 760/2016, previa loro riunione, accoglieva i ricorsi della società.
-Avverso tale pronuncia l’Ufficio proponeva atto di appello.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 1522/2020 emessa in data 25 novembre 2019 e depositata l’8 luglio 2020, confermava la sentenza di primo grado e compensava le spese dell’intero giudizio.
-Avverso tale pronuncia l’Ufficio propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La contribuente non ha svolto attività difensiva.
La Procura generale ha depositato una requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Preliminarmente va disattesa la richiesta di riunione, essendovi trattazione nella medesima udienza dei procedimenti per cui è stata avanzata l’istanza, giacché le controversie sono relative ad atti di accertamento diversi.
Nel giudizio di cassazione, le finalità di economia processuale e di uniformità delle decisioni relative a casi identici, cui è ispirato l’obbligo della riunione previsto dall’art. 151 disp. att. c.p.c., come sostituito dall’art. 19, lett. f), del d.lgs. n. 40 del 2006, possono utilmente essere perseguite, in mancanza di un espresso riferimento della predetta disposizione al giudizio di legittimità, anche attraverso la trattazione di più cause riunibili nella medesima udienza e davanti allo stesso giudice, verificandosi in tale evenienza una situazione sostanzialmente assimilabile a quella del simultaneus processus in senso tecnico (Cass. n. 25288/2023).
-Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 , comma 2, n. 4 d.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1 , n. 4 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale reso una pronuncia affetta da motivazione apparente in quanto ha rinviato a precedenti decisioni senza riprodurne il contenuto e senza effettuare una propria valutazione critica, così da non consentire una verifica della compatibilità logico-giuridica del rinvio; nonché per aver reso una pronuncia affetta da motivazione contraddittoria laddove afferma che le operazioni contestate siano da considerarsi, al tempo stesso, sia inesistenti che evanescenti.
2.1. -Il primo motivo è infondato.
Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della
sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022).
Questa Corte ha, altresì, precisato che «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass. sez. un. n. 22232 del 2016; cfr. anche Cass., n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento).
Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata attinge la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. avendo il giudice di appello ritenuto illegittimi gli avvisi di accertamento in quanto essenzialmente: il procedimento penale a carico degli amministratori di RAGIONE_SOCIALE si è concluso
con «un decreto di archiviazione (nel quale il gip afferma comunque la sua opinione circa la ‘effettività’ delle operazioni reciprocamente fatturate, di cui esclude dunque positivamente la contestata ‘inesistenza’) e questo è avvenuto senza che l’Amminis trazione finanziaria -a fronte della rassegnata richiesta conclusiva del Pubblico Ministero -abbia anche solo provato ad abbozzare una qualche forma di opposizione»; ad eccezione della sentenza n. 4211/2019, relativa ad RAGIONE_SOCIALE, emessa dalla Commissione tributaria regionale, a favore dell’Ufficio, i contenziosi tributari relativi a RAGIONE_SOCIALE e alle altre società coinvolte, per i medesimi fatti, si sono conclusi con una omogeneità di pronunce favorevoli alle contribuenti, sul presupposto della «impossibilità di definire le operazioni intercorse tra RAGIONE_SOCIALE e le varie società corrispondenti come operazioni inesistenti»; da qui la considerazione che, sebbene «il giudizio formatosi su RAGIONE_SOCIALE non obbliga – in senso formale – alla medesima soluzione nei confronti delle società interlocutrici, è tuttavia giocoforza concludere che non è nemmeno accettabile pervenire a statuizioni diverse a fronte della identica (ed anzi ‘medesima’) situazione»; iv) al riguardo, ad avviso della Commissione tributaria regionale, si è formata e consolidata una communis opinio giurisprudenziale in ordine alla ‘non inesistenza’ delle operazioni reciprocamente fatturate tra RAGIONE_SOCIALE e le società interlocutrici, come rilevate dalla polizia tributaria, il che fa venire meno il presupposto della pretesa tributaria costituito dalla assunta ‘inesistenza’ delle operazioni reciprocamente fatturate.
Non è dato ravvisare neppure una ‘insanabile contraddittorietà’ tra le diverse statuizioni della motivazione della sentenza impugnata atteso che il riferimento all’aggettivo ‘evanescenti’ relativamente alle operazioni in questione è effettuato dal giudice di appello come inciso finale argomentativo, oltretutto in forma dubitativa («forse l’aggettivo ‘evanescenti’ potrebbe rendere meglio l’idea raggiunta da chi scrive ma è chiaro che si tratta di altra cosa rispetto a quella
fiscalmente sanzionata»), senza intaccare la considerazione circa l’avvenuto consolidamento di una communis opinio giurisprudenziale in ordine alla ‘non inesistenza’ delle operazioni reciprocamente fatturate tra RAGIONE_SOCIALE e le società interlocutrici e, dunque, in ordine al venire meno del presupposto impositivo costituito dalla ‘inesistenza’ delle operazioni reciprocamente fatturate.
-Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 654 c.p.p., 2909 c.c., 337, comma 2, c.p.c., richiamato dall’art. 1 , comma 2, d.lgs. 546/1992, 11 e 117 Cost., n. 4 par. 3 TUE, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 4) c.p.c. per aver la Commissione tributaria regionale esteso automaticamente le sentenze n. 4211/2019 e 4688/2019 non passate in giudicato peraltro relative a controversie con diverse parti in causa e a diversi anni d’imposta.
Con il terzo motivo si prospetta la nullità della sentenza per violazione per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729 c.c., 19, comma 1, d.P.R. n. 633/1972, 63, 168, 203, 273 Direttiva 2006/112/CE, 8, comma 2, d.l. 16/2012 conv. in l. n. 44/2012, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale ritenuto che le operazioni di cessione e di acquisto di energia fossero da considerarsi reali, in quanto nel mercato dell’energia elettrica non vi è obbligo di registrare le operazioni e non è possibile la consegna fisica dell’energia elettrica, nonché perché gli elementi forniti dall’Ufficio non risultano integrare indizi gravi, precisi e concordanti.
3.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono fondati.
La sentenza impugnata ha ritenuto illegittima la pretesa impositiva sostanzialmente in quanto 1) l’indagine penale nei confronti degli amministratori della fatturante RAGIONE_SOCIALE si è «arenata su un decreto di archiviazione»; 2) si è formata e consolidata una communis opinio giurisprudenziale in ordine alla
‘non inesistenza’ delle operazioni reciprocamente fatturate tra RAGIONE_SOCIALE e le società interlocutrici.
Peraltro, il provvedimento di archiviazione pronunciato in sede penale ex art. 408 c.p.c. non rientra tra i provvedimenti dotati di autorità di cosa giudicata nel processo tributario, giusta il disposto dell’art. 654 c.p.c., dell’art. 12 del d.l. 10 luglio 1982, n. 429, conv. nella l. 10 agosto 1982, n. 516 e, in ultimo, dell’art. 21 bis del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, introdotto dall’art. 1 del d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87. Detto provvedimento, pertanto, non impedisce che lo stesso fatto venga diversamente definito, valutato e qualificato dal giudice tributario, poiché, a differenza della sentenza pronunciata all’esito del dibattimento, detto decreto ha per presupposto la mancanza di un processo e non dà luogo ad alcuna preclusione (Cass. n. 7202 del 2023; Cass. n. 16649 del 2020; Cass. n. 8999 del 2014; da ultimo, con riferimento all’art. 21 bis del d.lgs. n. 74 del 2000, si veda anche Cass. n. 3800 del 2025). Il precedente reso in sede penale, quindi, non è in grado né di condizionare, né di limitare il ragionamento presuntivo che il giudice tributario avrebbe dovuto svolgere, ai sensi dell’art. 2729 c.c.
Sotto diverso profilo, va ricordato che solo con riferimento all’interpretazione di norme processuali gli stabili approdi interpretativi della S.C., eventualmente a Sezioni Unite, assumono il valore di communis opinio tra gli operatori del diritto, se connotati dai caratteri di costanza e ripetizione (Cass. sez. un. n. 4135 del 2019). Pertanto, il giudice di appello, nel ritenere superabile il quadro indiziario emerso dal processo verbale di constatazione della Guardia di finanza in ordine ad un meccanismo di vendite fittizie di energia elettrica effettuate in modo circolare tra gli stessi operatori, in base all’assunto consolidamento di una communis opinio giurisprudenziale circa la ‘non inesistenza’ delle operazioni reciprocamente fatturate tra RAGIONE_SOCIALE ed altre società, stante la «assoluta omogeneità di risposte favorevoli alle contribuenti»
(vengono richiamate a sostegno sostanzialmente della tesi della contribuente in ordine alla qualificazione delle operazioni in questione come transazioni effettive di trading cd. back to back, la sentenza n. 4478/2019 -rectius n. 4468/2019 -della Commissione tributaria regionale della Lombardia e, genericamente, altre sentenze della Commissione tributaria regionale del Lazio pronunciate nei confronti di RAGIONE_SOCIALE) è incorso in un vizio del ragionamento presuntivo, trascurando di valutare, nel loro complesso (Cass. n. 3703 del 2012; Cass. n. 5787 del 2014; Cass. n. 16825 del 2020), alla luce dei principi affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza dell’8 maggio 2019, causa C -712/17, gli elementi fattuali addotti dall’Ufficio a sostegno della rip resa tributaria (l’Agenzia delle entrate aveva evidenziato come tutte le società che intrattenevano rapporti di compravendita di energia con ‘RAGIONE_SOCIALE‘, ivi compresa RAGIONE_SOCIALE, avevano, nel lungo periodo dal 2009 al 2013, effettato con quella co mpravendite ‘circolari’, nel senso che l’energia apparentemente venduta dal primo cedente veniva infine retrocessa a quest’ultimo, e che tali compravendite per ciascuna delle società coinvolte avvenivano sempre ‘alla pari’, nel senso che l’energia acquista ta, e i corrispettivi pagati per tali acquisti, sistematicamente corrispondevano all’energia venduta e ai corrispettivi incassati per tali vendite, con un sistematico saldo ‘zero’, che escludeva qualsiasi profitto o intento speculativo. In questo modo, escludeva, sfruttando le modalità operative del mercato telematico dell’energia elettrica, si escludeva la necessità di consegnare l’energia elettrica risultante dal saldo attivo tra energia acquistata ed energia venduta, posto che acquisti e vendite si compe nsavano integralmente. L’Ufficio rilevava l’esistenza di corrispondenza reperita dai verificatori che confermava la preoccupazione dei responsabili di RAGIONE_SOCIALE e delle sue controparti circa possibili rilievi fiscali di inesistenza delle operazioni).
Né, peraltro, la condivisione da parte della Commissione tributaria regionale delle conclusioni -in termini di «impossibilità di definire le operazioni intercorse tra RAGIONE_SOCIALE e le varie società corrispondenti come operazioni inesistenti» -contenute nei citati precedenti favorevoli alle contribuenti viene effettuata in considerazione del passaggio in giudicato di questi ultimi e di una efficacia riflessa degli stessi nei confronti di soggetti rimasti estranei a quei procedimenti (il che per giurisprudenza di questa Corte sarebbe stato, comunque, ammesso entro limiti molto ristretti: si veda, ex plurimis, Cass. 28651 del 18/10/2021), essendosi il giudice di appello limitato ad affermare che «pur nella consapevolezza che il giudizio formatosi su RAGIONE_SOCIALE non obbliga -in senso formale -alla medesima soluzione nei confronti delle società interlocutrici, (…) non è nemmeno accettabile pervenire a statuizioni diverse a fronte della identica (e anzi medesima) situazione».
-L’accoglimento del secondo e del terzo motivo determina l’assorbimento del quarto, con cui si deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, d.P.R. n. 633/1972, 63, 168, 203, 273 Direttiva 2006/112/CE, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale ritenuto che la questione inerente all’esistenza o meno delle operazioni contestate fosse irrilevante, giacché era pacifico le società coinvolte avevano dichiarato e corrisposto l’I VA relativa alle fatture e che, pertanto, negare la detrazione avrebbe significato violare i l principio neutralità dell’Iva.
-La sentenza va dunque cassata impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria territorialmente competente anche per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione
ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 13 maggio 2025.
Il Consigliere est. La Presidente NOME COGNOME NOME–NOME COGNOME