Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1129 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1129 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
Oggetto: operazioni ogg. inesistenti -nota credito -art.26 commi 2 e 3 d.P.R. 633/72- IVA
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5740/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE DELLE RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL) e dall’Avv. NOME COGNOME (pecEMAIL, elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 4027/8/2019 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio depositata il 3.7.2019, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 21 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva gli appelli riuniti proposti da RAGIONE_SOCIALE oggi RAGIONE_SOCIALE nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 5685/10/2018 con la quale erano stati riuniti e rigettati i ricorsi della società avverso due avvisi di accertamento per II.DD. e IVA relativi agli anni di imposta 2013 e 2014.
Dalla lettura degli atti si evince che gli atti impositivi erano fondati su elementi, raccolti in sede di verifica e confluiti in un p.v.c. del 24.9.2016 in relazione ai periodi 2011-15, da cui era emersa, secondo la prospettazione erariale, la messa in atto di un sistema fraudolento di operazioni oggettivamente inesistenti tra la società RAGIONE_SOCIALE, successivamente denominata RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE Le riprese contestavano l’i ndebita detrazione dell’IVA assolta relativa a fatture emesse dalla prima società per operazioni di vendita di materiale inerte ritenute oggettivamente inesistenti, nonché l’ indebita deduzione di costi ai fini IRES e IRAP.
Il giudice d’appello riformava la sentenza emessa dal giudice di prime cure ritenendo che le operazioni contestate effettivamente fossero esistite. La sentenza riteneva che i materiali inerti provenissero anche dalla cava Pascolaro e non solo dalla cava Calderaro. Inoltre, era intervenuto il subentro della RAGIONE_SOCIALE nella gestione della cava Calderaro, in base alle convenzioni intercorse il 28 agosto 2013 con il Comune di Graffignano ove era ubicata tale cava. Aveva rilievo anche la cessione di ramo d’azienda del 27 dicembre 2010
dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, sempre riguardante la cava Calderaro, nonché il contratto di affitto di azienda stipulato l’11 febbraio 2000 tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE per lo sfruttamento della cava Pascolaro e il fatto che quest’ultima società cedeva alla ICI la prosecuzione dell’attività estrattiva nella cava, con elevata capacità produttiva di materiale argilloso. Tale provvista era alla base della stipula in data 5 marzo 2012 del contratto tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE per la fornitura di materiale argilloso di cui alle operazioni contestate. L’esondazione del fiume Tevere del 6 novembre 2014 allagando la cava Pascolaro aveva determinato la compromissione delle qualità di gran parte del materiale argilloso raccolto da RAGIONE_SOCIALE nel corso degli anni 2013 e 2014 e aveva imposto la rettifica delle fatture emesse con la nota di credito n.19 del 31.12.2014. In conclusione, le operazioni non erano inesistenti e la nota di credito a rettifica delle fatture emesse era giustificata.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a tre motivi, cui replica la contribuente con controricorso. Entrambe le parti depositano memorie illustrative ex art.380-bis.1 cod. proc. civ..
Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso l ‘Agenzia , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 39 del d.P.R. n . 600/1973, dell’articolo 54 del d.P.R. n. 633/1972, degli articoli 2727, 2729 e 2697 cod. civ., nonché dell’articolo 115 cod. proc. civ.. La sentenza impugnata avrebbe argomentato sulla base di una serie di elementi del tutto secondari rispetto alla questione dell’effettività delle prestazioni fatturate dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE non avendo preso in considerazione
i presupposti fattuali ed amministrativi per lo svolgimento, da parte di ambedue le società delle attività imprenditoriali.
La controricorrente, in primo luogo, eccepisce che il ricorso è inammissibile in ragione del fatto che la ricorrente, pur denunciando – apparentemente – la violazione di legge, chiede in realtà a codesta Suprema Corte di pronunciarsi su questioni di mero fatto non censurabili in sede di legittimità.
2.1. In secondo luogo, il motivo di ricorso sarebbe inammissibile per l’inosservanza del canone della chiarezza e specificità.
2.2. In terzo luogo, il motivo sarebbe inammissibile poiché contesterebbe di fatto, sotto il profilo della violazione di legge, la valutazione delle prove operata dal giudice di seconde cure.
Con il secondo motivo la ricorrente, in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., prospetta l’o messo esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla completa genericità delle fatture in questione, prive di qualsiasi riferimento circa la qualità e le quantità del materiale inerte; alla completa assenza di documenti di trasporto, relativi al materiale; all’antieconomicità del riacquisto, da parte della RAGIONE_SOCIALE, di materiale che essa stessa aveva estratto da entrambe le cave Calderaro e Pascolaro a beneficio della RAGIONE_SOCIALE, e ciò anche in contrasto con le pattuizioni asseritamente intervenute tra le due società con l’accordo del 5 marzo 2012; alla circostanza che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe avuto la disponibilità della cava Calderaro sin dal 2011, e del contrasto di tale situazione di fatto con le pattuizioni intercorse con l’accordo del 5 marzo 2012, che ponevano l’attività estrattiva a carico della RAGIONE_SOCIALE; al fatto che l’appalto pubblico di fornitura di argilla riguardante la RAGIONE_SOCIALE ha previsto obblighi di fornitura significativamente inferiori alle quantità previste con il ripetuto accordo del 5 marzo 2012; alla contraddittorietà di
allegazioni difensive prospettate dalla contribuente con l’atto di appello, rispetto a quanto precedentemente dedotto in primo grado riguardo alla conservazione dell’argilla prima dell’esondazione del fiume Tevere nel novembre 2014; alla strettissima connessione soggettiva tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, entrambe infatti sarebbero riconducibili per compagine sociale alla famiglia COGNOME.
La controricorrente eccepisce in primo luogo l’inammissibilità del suddetto motivo poiché con esso non si contesterebbe l’omesso esame di fatti costitutivi, modificativi o impeditivi ovvero precisi accadimenti aventi carattere decisivo ai fini della decisione bensì l’operato del giudice che avrebbe omesso l’esame di alcuni elementi presuntivi addotti e valutato erroneamente gli elementi di prova addotti dalla contribuente.
4.1. In secondo luogo, viene eccepita l’inammissibilità del mezzo anche perché nel caso di specie il fatto storico, rappresentato dall’esistenza/inesistenza delle prestazioni oggetto di contestazione, è stato ampiamente preso in considerazione dal giudice.
I due motivi, connessi, vanno esaminati congiuntamente, non sono inammissibili e sono fondati.
5.1. La prima censura è adeguatamente chiara e specifica nel sintetizzare la ratio decidendi e le sue criticità e non chiede al giudice di legittimità la pronuncia su questioni di mero fatto, ma lamenta la falsa applicazione di legge da parte della sentenza di appello in ragione della frammentaria e parziale valutazione non solo degli elementi indiziari, ma anche di fatto e, perciò, non si spinge a chiedere una rivalutazione del compendio probatorio già valutato dal giudice di seconde cure.
5.2. Il secondo mezzo di impugnazione non contesta il semplice omesso esame di determinati elementi presuntivi agli atti né l’erronea valutazione degli elementi di prova addotti dalla contribuente,
ma contesta l’omesso esame di fatti costitutivi, modificativi o impeditivi ovvero precisi elementi fattuali non potendo il ‘fatto’ essere riduttivamente identificato con il binomio esistenza/inesistenza delle operazioni. La conclusione a riguardo è la logica conseguenza di una complessiva valutazione dei singoli fatti potenzialmente decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti e che devono essere considerati complessivamente dal giudice.
5.3. La fondatezza delle censure deriva dal corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi ai fini della disamina della fondatezza delle riprese e che non è stato seguito nella fattispecie. La gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno desunti dal loro esame complessivo, in un giudizio non atomistico di essi, ben potendo ciascuno di essi essere insufficiente da solo . Questo processo dev’essere preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza ed ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 5374 del 2017). Ciò che rileva è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, fermo restando il diritto del contribuente a fornire la prova contraria.
Infine, quanto alla valutazione della prova contraria, il Collegio osserva come, per consolidata interpretazione giurisprudenziale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie offerte dalle parti.
Tuttavia, nella fattispecie, non sono stati valutati fatti storici potenzialmente decisivi, indicati nel secondo motivo e sopra riportati. Non
è convincente la linea difensiva della società secondo la quale la valutazione del giudice avrebbe dato rilevanza assorbente ad elementi documentali. Infatti, va reiterato che la valutazione sulla oggettiva inesistenza delle operazioni non può essere utilmente condotta dal giudice essenzialmente sulla base di elementi contabili formali, pena la falsa applicazione delle disposizioni oggetto del primo motivo di ricorso. Quando le riprese sono per operazioni oggettivamente inesistenti, questa Sezione ha più volte affermato (cfr. ad es. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 17619 del 05/07/2018) che una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.
6. Con il terzo motivo la ricorrente, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., riguardo all’avviso di accertamento per l’ anno 2014 lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 26 del d.P.R. n. 633/1972 da parte della sentenza impugnata, nella parte in cui ritiene giustificata la nota di credito del 31.12.2014. Il giudice non considererebbe che n ell’ambito dell’avviso di accertamento suddetto l’Amministrazione finanziaria ha contestato che tale rettifica, effettuata genericamente, senza alcun richiamo alla tipologia di merce non conforme né al documento originano, è in vio lazione dell’art. 26 del d.P.R 633/1972.
La controricorrente eccepisce l’inammissibilità del motivo perché la presunta violazione dell’art. 26 del d.P.R. n. 633/1972 non sarebbe mai stata posta alla base del recupero impositivo a titolo di IVA, fondato esclusivamente sulla asserita inesistenza delle prestazioni delle fatture oggetto di contestazione, trattandosi di mera argomentazione ad colorandum .
7.1. L’eccezione è infondata dal momento che il ricorso riproduce la pertinente parte dell’avviso di accertamento n. TK7030105001/2016, relativo all’anno d’imposta 2014 che, a pag. 7, ha contestato: «La società RAGIONE_SOCIALE in data 31 /12/2014 ha emesso una nota di credito di euro 1.659.766,94 per merce non conforme, senza tuttavia rettificare l’IVA addebitata con la merce venduta. Tale rettifica, effettuata genericamente, senza alcun richiamo alla tipologia di merce non conforme né al documento originano, in violatone dell’art. 26 del D.P.R 633/1972, ha evidente finalità evasiva e fraudolenta, tenuto conto che lascia invariati gli effetti fiscali relativi alla detrazione dell’IVA da parte della M.C.I. » (cfr. p.21 ricorso).
Il mezzo sarebbe inoltre secondo la società inammissibile in quanto , una volta accertata l’esistenza effettiva delle prestazioni contestate, la prospettata violazione di legge non sarebbe neppure astrattamente idonea ad incidere sul dispositivo della sentenza impugnata.
8.1. L’eccezione non trova ingresso poiché sono stati accolti i precedenti motivi che colpiscono la ratio decidendi sull’inesistenza oggettiva delle operazioni.
La censura sarebbe inammissibile anche perché la prospettata violazione dell’art. 26 del d.P.R. n. 633/1972 comunque dovrebbe intendersi rinunziata ai sensi dell’art. 56 del d.lgs. n. 546/1992 in quanto non riproposta dall’Ufficio appellato nell’atto di controdeduzioni.
9.1. L’eccezione è infondata, posto che è la sentenza impugnata stessa che, distintamente dall’accertamento della oggettiva esistenza delle operazioni, ragiona sulla fondatezza della nota di credito del 31.12.2014, segno che la considera autonomamente.
10 . L’inammissibilità del terzo motivo deriverebbe inoltre dal fatto che l’Ufficio anche in questo caso dedurrebbe la violazione di legge , ma di fatto chiederebbe alla Suprema Corte di interpretare gli accordi contrattuali tra le parti in modo diverso da quanto fatto dalla CTR, attività che – per pacifica e costante giurisprudenza di legittimità costituisce un tipico accertamento di fatto riservato esclusivamente al giudice di merito.
10.1. L’eccezione è infondata, poich é nessuna interpretazione dell’accordo contrattuale è richiesta alla Corte, ma solo circa l’art.26 cit., mentre il riferimento all’accordo delle parti della scrittura privata è utile solo alla specifica ricostruzione della questione in diritto.
Il motivo sarebbe infine inammissibile anche per difetto di autosufficienza in quanto il ricorso non trascriverebbe e neppure individuerebbe specificamente quale sarebbe la clausola contrattuale che determina l’emissione della nota di credito con conseguente esclusione dell’applicazione della disposizione di cui al comma 3 dell’art. 26 del d.P.R. 633/1972.
11.1 L ‘ eccezione è infondata. La doglianza è specifica dal momento che al paragrafo 3.2 a pag.23 del ricorso si legge: «la scrittura privata del 5 marzo 2012, richiamata da controparte e dalla stessa allegata sub n. 23 ai propri ricorsi in appello, ha previsto espressamente (articolo 6) che ‘ RAGIONE_SOCIALE si riserva la facoltà, senza che RAGIONE_SOCIALE possa sollevare eccezioni di sorta, di ritirare, esclusivamente il materiale inerte conforme alla qualità prevista anche se in misura nettamente inferiore a quanto stabilito dandosi atto le parti che dette qualità rappresentano condizione essenziale del
contratto essendo il materiale destinato ad una specifica forniture ‘. » .
12. Il motivo è fondato.
12.1. L’a rt.26 secondo e terzo comma del d.P.R. 633/1972 nel testo applicabile ratione temporis prevede: «Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25. Il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi di quest’ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa.
Le disposizioni del comma precedente non possono essere applicate dopo il decorso di un anno dalla effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti e possono essere applicate, entro lo stesso termine, anche in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione del settimo comma dell’art. 21.».
12.2. Il giudice non menziona né si confronta con il contenuto di tali previsioni di legge, mancando anche di far riferimento, quanto alle rettifiche in diminuzione dell’imponibile o dell’imposta qualora per
un’operazione sia stata emessa fattura registrata e, successivamente, venga meno, alla specifica clausola contrattuale di cui alla scrittura del 5.3.2012, riportata a pag. 23 del ricorso.
Il giudice del rinvio valuterà se la rettificazione è intervenuta in attuazione spontanea della clausola negoziale, con conseguente obbligo di emissione della nota di credito con rettifica anche dell’IVA precedentemente esposta nelle fatture, senza che intervenga il limite annuale di cui all’art.26, comma 3, cit. e dunque in modo tale da escludere la relativa imposta dalla quota IVA detraibile da parte della contribuente.
13. La sentenza impugnata è perciò cassata e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di Giustizia di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21.11.2024