Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4653 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4653 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3474/2016 R.G. proposto da
3 RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO (pec:
)
e
NOME
Di
Punzio (pec:
), con domicilio eletto presso l’AVV_NOTAIO (pec:
), in
INDIRIZZO, giusta procura speciale in calce al ricorso;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura
AVV_NOTAIO dello Stato, pec:
, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 4408/1/2015, depositata il 28 luglio 2015.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 dicembre 2023 dal AVV_NOTAIO.
Oggetto: Operazioni soggettivamente inesistenti
Udite le conclusioni formulate dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, società operante nel commercio degli autoveicoli, impugna per cassazione, con sei motivi, la sentenza della CTR in epigrafe che, confermando la decisione della CTP di Viterbo, aveva rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento emesso dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con cui erano stati recuperati a tassazione costi indeducibili e Iva indebitamente detratta per l’anno 2010 per operazioni soggettivamente inesistenti in relazione a cessioni intraunionali di autovetture.
L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 e 1, comma 9, d.l. n. 262 del 2006.
La contribuente deduce che la CTR è pervenuta a conclusioni apodittiche in quanto fondate su indizi non supportati da idonea documentazione probatoria; in particolare, non avrebbe tenuto conto che le compravendite erano state effettuate nella vigenza dell’art. 1, comma 9, d.l. n. 262 del 2006, per cui l’immatricolazione è stata condizionata al preventivo versamento dell’Iva, sicché la buona fede a favore del cessionario doveva ritenersi implicita.
Il motivo è inammissibile.
La doglianza neppure attinge la ratio della decisione, ancorata ad un articolato accertamento in fatto sulla carenza di buona fede della società contribuente, correlato ai concreti rapporti intercorsi tra essa e RAGIONE_SOCIALE (la società cartiera) (« diversamente da quanto assume parte appellante circa la sua buona fede, questa avesse invece perfetta
consapevolezza del ruolo di società interposta (società cartiera, ossia fabbrica di fatture) della RAGIONE_SOCIALE, non fosse altro perché le versava, con fatturazione anticipata rispetto alla consegna, il denaro occorrente per l’acquisto del venditore comunitario; a tacere poi sul fatto che la RAGIONE_SOCIALE non disponeva di affidamenti bancari, né di una struttura operativa e che rivendeva le autovetture acquistate senza margini di guadagno se non addirittura a prezzi più bassi di quelli praticati dal fornitore comunitario. Orbene, quelle descritte sono evidenti anomalie, le quali malamente si conciliano, in mancanza di ben più serrate prove contrarie invero non fornite, con l’asserita buona fede nel convincimento della corretta e normale gestione del rapporto commerciale da parte della società fornitrice »), sì da portarla a concludere « si ritiene che tra la società RAGIONE_SOCIALE e gli autosaloni acquirenti intercorresse un vero consilium fraudis diretto alla creazione di un artificioso flusso di fatturazione dal fornitore comunitario in favore della società interposta a RAGIONE_SOCIALE e da questa in favore dei vari operatori effettivi, tra cui la società in oggetto .»
Di nessun rilievo è l’asserita applicazione dell’art. 1, comma 9, d.l. n. 262 del 2006, che non fonda una presunzione di buona fede ma costituisce solo un meccanismo adottato dal legislatore e teso proprio ad ostacolare il compimento di frodi comunitarie, nella specie risultato, alla stregua dell’accertamento in fatto su esposto, in evidenza inefficace.
Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per motivazione apparente in quanto resa ‘senza avere a disposizione il materiale probatorio’, non avendo l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE prodotto in giudizio gli atti istruttori citati nell’avviso di accertamento.
Il motivo è infondato e al limite dell’inammissibile.
La motivazione, come emerge da quanto sopra riprodotto, è tutt’altro che assente od apparente.
La doglianza, del resto, mira, in realtà, a contestare la formazione della prova in giudizio e la valutazione degli elementi probatori operata dalla CTR, elementi tutti riprodotti nell’avviso di accertamento , sicché attinge inammissibilmente lo stesso convincimento del giudice e non la compiutezza o meno della motivazione.
5 . Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 56, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972 e 7 l. n. 212 del 2000 per esser l’avviso di accertamento nullo per difetto di motivazione richiamando atti relativi a soggetti terzi non conosciuti dalla contribuente.
6. Il motivo è inammissibile.
La doglianza è rivolta esclusivamente avverso l’avviso e non verso la sentenza impugnata, in alcun modo oggetto di puntuale e specifica censura , tanto più a fronte dell’esplicita statuizione sul punto della CTR.
Il motivo è inammissibile anche per difetto di specificità posto che l’omessa allegazione di altri atti istruttori non determina la nullità dell’avviso ove in esso siano riprodotti gli elementi essenziali di tali atti (v. Cass. n. 24417 del 05/10/2018, che ha precisato « in tema di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare al relativo avviso gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalità “integrativa” RAGIONE_SOCIALE ragioni che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo ai sensi dell’art. 3, comma 3, della l. n. 241 del 1990, sicché detto obbligo riguarda i soli atti che non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso, con esclusione, peraltro, di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva »), risultando la doglianza del tutto carente sul punto.
Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. per esser le circostanze poste a fondamento della ripresa presuntivamente incongrue, neppure essendo intervenuta una sentenza definitiva che ne acclarasse la consistenza.
Il motivo è inammissibile per la genericità della contestazione, neppure essendo precisato quali siano gli elementi asseritamente privi di rilievo presuntivo; la censura, anche in questo caso, dunque, si risolve in una mera contestazione della valutazione del giudice di merito sugli elementi indiziari -oggetto di ampia disamina da parte della CTR che ne ha apprezzato l’autonoma consistenza – in vista di un riesame di merito non consentito in sede di legittimità.
Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la CTR omesso di pronunciare sulla denunciata nullità della sentenza di primo grado per motivazione apparente.
Il motivo , in disparte la carenza di interesse atteso l’avvenuto compiuto esame di merito della causa da parte della CTR, è infondato.
La CTR ha esplicitamente esaminato la doglianza escludendone la fondatezza (« la censura di motivazione meramente apparente dell’impugnata sentenza non può essere accolta poiché i primi giudici, seppure con esposizione sintetica, hanno tuttavia chiarito come la società RAGIONE_SOCIALE fosse una mera interposta in quanto priva di struttura operativa e di disponibilità finanziaria (informativa Anagrafe tributaria) ed hanno altresì evidenziato come sussistessero elementi comprovanti la consapevolezza della ricorrente … »).
11 . Il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., omesso esame di fatto decisivo, nonché violazione degli artt. 2727, 2729 c.c. e 54 d.P.R. n. 633 del 1972, attesa l’insussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti, posto che gli elementi esaminati
dal giudice si riferiscono ad altra società, omettendo di considerare le contestazioni della contribuente a sostegno della propria buona fede.
12. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, la censura di omesso esame ex art. 360 n. 5 c.p.c. non è proponibile ostandovi l’art. 348 ter c.p.c. avendo la CTR deciso in base alle medesime ragioni di fatto del giudice di primo grado.
Per il resto, la doglianza -che ripropone quanto già dedotto con il primo e il quarto motivo -è parimenti inammissibile, risolvendosi, anche in carenza di specificità per l’omessa riproduzione degli atti pertinenti, in una contestazione della rilevanza e sufficienza degli atti prodotti in giudizio e della valutazione probatoria operata dalla CTR.
Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, sono regolate per soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese a favore dell’RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessive € 5.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Deciso in Roma, il 19 dicembre 2023