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Operazioni inesistenti: Cassazione chiarisce oneri

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società contro un accertamento fiscale per operazioni inesistenti. L’ordinanza chiarisce i criteri di competenza territoriale dell’ufficio accertatore, basati sul domicilio fiscale al momento della dichiarazione, e ribadisce che la richiesta di riesaminare i fatti è inammissibile in sede di legittimità. La Corte ha confermato la validità dell’accertamento basato su una presunta filiera fraudolenta per l’evasione di IRES, IRAP e IVA.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni inesistenti: la Cassazione conferma l’accertamento e chiarisce le regole procedurali

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sulla gestione degli accertamenti fiscali basati su presunte operazioni inesistenti. La Suprema Corte ha esaminato il caso di una società sanzionata per l’utilizzo di fatture fittizie, rigettando il suo ricorso e consolidando principi fondamentali in materia di competenza territoriale e contraddittorio preventivo. Questa decisione sottolinea l’importanza per le imprese di mantenere una documentazione impeccabile e di comprendere i limiti del giudizio di legittimità.

I fatti di causa

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società a responsabilità limitata, con cui l’Amministrazione Finanziaria contestava, per l’anno d’imposta 2011, la deduzione di costi e la detrazione dell’IVA relative a fatture ritenute false. Secondo l’Ufficio, la società era parte di una filiera fraudolenta, caratterizzata da società cartiere e operazioni fittizie, finalizzata all’evasione di IRES, IRAP e IVA.

I giudici di primo e secondo grado avevano già respinto le doglianze della società, confermando la legittimità dell’atto impositivo. La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, aveva ritenuto provato che la contribuente fosse priva di personale dipendente e di una struttura adeguata a realizzare le complesse operazioni commerciali fatturate, considerandole quindi soggettivamente inesistenti.

I motivi del ricorso e le contestazioni sulle operazioni inesistenti

La società ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Incompetenza territoriale: L’avviso era stato emesso da un ufficio provinciale diverso da quello competente per la sede della società al momento dell’accertamento.
2. Violazione del contraddittorio preventivo: Si lamentava la mancata convocazione prima dell’emissione dell’atto, in violazione dei principi nazionali ed europei.
3. Errata valutazione delle prove: La società contestava la conclusione dei giudici circa l’inesistenza delle operazioni, sostenendo che il pagamento parziale delle fatture e la presenza di collaboratori ne dimostrassero l’effettività.
4. Presunta duplicazione dell’IVA: Si contestava la richiesta di versamento dell’IVA su fatture attive, sostenendo che l’imposta fosse già stata assolta.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e infondato, respingendo tutte le argomentazioni della contribuente con motivazioni precise.

Sulla competenza territoriale, i giudici hanno chiarito che, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 600/1973, la competenza si determina in base al domicilio fiscale del soggetto obbligato alla data in cui la dichiarazione dei redditi è stata o avrebbe dovuto essere presentata. Nel caso di specie, al momento della presentazione della dichiarazione per il 2011 (avvenuta nel 2012), la società aveva il domicilio nella circoscrizione dell’ufficio che ha emesso l’atto. Pertanto, l’eccezione è stata respinta.

In merito alla violazione del contraddittorio preventivo, la Corte ha ribadito che, quando l’accertamento segue a un’ispezione o verifica, la garanzia del contraddittorio è assicurata dal termine di sessanta giorni concesso al contribuente, dopo la consegna del processo verbale di chiusura, per presentare osservazioni (art. 12, comma 7, L. 212/2000). Essendo stato rispettato tale termine, non vi è stata alcuna violazione.

Infine, riguardo alle censure sulla valutazione delle operazioni inesistenti, la Cassazione ha dichiarato i motivi inammissibili. La Corte ha ricordato che il giudizio di legittimità non consente un riesame dei fatti già valutati dai giudici di merito. La ricorrente, tentando di offrire una ricostruzione alternativa della vicenda, chiedeva di fatto una nuova valutazione delle prove, attività preclusa in sede di Cassazione. Le conclusioni della Commissione Tributaria Regionale, che aveva ritenuto provata la natura fraudolenta della filiera sulla base di plurimi indizi (mancanza di dipendenti, pagamenti fittizi, etc.), non potevano essere rimesse in discussione.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma la linea rigorosa della giurisprudenza in materia di accertamenti fiscali per frodi carosello e fatture false. Le conclusioni pratiche per le imprese sono chiare: la corretta indicazione del domicilio fiscale in dichiarazione è cruciale per radicare la competenza dell’ufficio. Inoltre, le garanzie procedurali, come il termine per le osservazioni post-verifica, sono considerate sufficienti a tutelare il diritto di difesa del contribuente. Soprattutto, emerge che, di fronte a un quadro indiziario grave, preciso e concordante che suggerisce l’esistenza di operazioni inesistenti, l’onere per il contribuente di dimostrare l’effettività delle transazioni diventa estremamente gravoso, e le argomentazioni di merito non possono essere riproposte in sede di Cassazione.

Come si determina la competenza territoriale dell’ufficio fiscale per un accertamento?
La competenza dell’ufficio accertatore si determina in base al domicilio fiscale del contribuente alla data in cui la dichiarazione dei redditi è stata, o avrebbe dovuto essere, presentata, come stabilito dall’art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973.

Il contraddittorio preventivo è sempre obbligatorio prima dell’emissione di un avviso di accertamento?
No. Nel caso di accertamenti che seguono accessi, ispezioni o verifiche, la legge (art. 12, comma 7, L. 212/2000) prevede un termine di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni per consentire al contribuente di presentare osservazioni. Il rispetto di questo termine è considerato sufficiente a garantire il diritto al contraddittorio, senza la necessità di un’ulteriore convocazione.

Può un contribuente chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove relative a operazioni inesistenti?
No, il ricorso per cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. La Corte non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici dei gradi precedenti. Può solo verificare se la legge è stata applicata correttamente. I motivi che richiedono una nuova analisi dei fatti sono considerati inammissibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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