Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10203 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10203 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 5433/2016, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , in persona del liquidatore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in calce alla comparsa di costituzione di nuovo procuratore del 20 marzo 2022 , dall’Avv. NOME COGNOME presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata ha eletto domicilio
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 5123/2015 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 26 novembre 2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 marzo 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Amministrazione finanziaria notificò a RAGIONE_SOCIALE due avvisi di accertamento, con i quali rettificava i suoi redditi ai rispettivi fini Irap e Ires per gli anni di imposta 2005 e 2006, oltre interessi e sanzioni.
Il primo avviso traeva origine dal rilievo dell’indebita detrazione della quota di ammortamento dell’avviamento di tale RAGIONE_SOCIALE, acquistata e dalla società ricorrente e successivamente in essa incorporata ; secondo l’Amministrazione, tale operazione non aveva altra finalità se non quella di consentire a RAGIONE_SOCIALE un consistente apporto di componenti negative per ridurre il proprio reddito e ottenere un risparmio di imposta non dovuto.
La società contribuente, infatti, rientrava tra i soggetti che avevano fruito degli artifizi fiscali messi a disposizione da un insieme di società, note come «gruppo RAGIONE_SOCIALE», alle quali, in corso di indagini penali, era stato imputato lo svolgimento di attività di consulenza finalizzata a fornire ai propri clienti pacchetti elusivi.
Nella specie, attraverso una serie di operazioni straordinarie consist ite, per l’appunto, in fusioni societarie e trasferimenti di azienda, era stato creato un avviamento fittizio con lo scopo di generare in capo ad RAGIONE_SOCIALE poste negative di reddito con le quali abbattere l’utile di esercizio.
RAGIONE_SOCIALE peraltro, aveva proposto domanda di accesso al c.d. «condono tombale» di cui alla l. n. 289/2002, a copertura di tutte le
irregolarità fiscali commesse, ma l’Ufficio ave va notificato la revoca del detto condono.
Il secondo avviso traeva origine dal disconoscimento dell’utilizzabilità a fini fiscali della minusvalenza da partecipazione generata dalla cessione delle quote di tali società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con modalità tipiche del dividend washing , anch’esse riconducibili alla complessa articolazione di operazioni all’interno del gruppo RAGIONE_SOCIALE
La società impugnò gli avvisi innanzi alla C.T.P. di Milano, che, dopo averli riuniti, respinse i ricorsi.
Il successivo appello della contribuente è stato respinto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali, nuovamente ricondotte in premessa le operazioni alle attività del gruppo RAGIONE_SOCIALE, hanno ritenuto sussistente il contestato carattere elusivo dell’operazione di acquisizione RAGIONE_SOCIALE , in quanto tesa a consentire alla ricorrente l’indebita deduzione di componenti di reddito da partecipazione aventi natura fittizia, sancendo altresì l’irrilevanza dell’accesso di quest’ultima alla procedura di condono; allo stesso modo, hanno ricostruito le operazioni di dividend washing intervenute con le altre società del gruppo, anch’esse finalizzate unicamente ad un risparmio d’imposta.
La sentenza d’appello è stata impugnata dalla società contribuente con ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che:
L’unico motivo di ricorso è rubricato « in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.: difetto di motivazione su punti decisivi della controversia, oggetto di trattazione tra le parti».
La ricorrente assume che la C.T.R. avrebbe trascurato di considerare «due punti assolutamente decisivi della controversia», vale a dire: (a) la sua richiesta di sospensione del giudizio in attesa della definizione del giudizio sulla validità della revoca del condono tombale di RAGIONE_SOCIALE, dal quale sarebbe potuta conseguire «la piena utilizzabilità fiscale, anche negli anni 2005 e 2006, dell’avviamento acquisito»; (b) l’eccepita nullità del provvedimento di revoca di detto condono, per la tardività della relativa notifica.
2. Il motivo è inammissibile
2.1. In sostanza, la ricorrente individua, quale fatto storico del quale denunzia l’omesso esame, l’adesione al «condono tombale» della società incorporata responsabile della contestata condotta elusiva.
A ciò aggiunge la circostanza dell’intervenuta revoca del relativo provvedimento, poi fatta oggetto di impugnazione, con giudizio ancora pendente.
2.2. Al riguardo, deve anzitutto osservarsi che la censura non è riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n um. 5, cod. proc. civ., perchè non riflette la pretermissione di fatti storici ma, piuttosto, l’omessa valutazione degli effetti sul processo della pendenza del giudizio ritenuto pregiudiziale.
Ciò trova conferma nel fatto che la stessa ricorrente sollecita su punto la sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello avente ad oggetto la validità del condono.
2.3. In ogni caso, risulta che il ricorso avverso il diniego di condono (e non avverso la revoca del medesimo, come impropriamente riferito dalla contribuente) è stato definitivamente rigettato da questa Corte con sentenza n. 29375/2022 -la cui cognizione può legittimamente avvenire anche mediante attività di ricerca che comprendono la consultazione del CED e costituiscono corredo del collegio giudicante
nell’adempimento della funzione nomofilattica, cfr. Cass. n. 24740/2015 -e che, pertanto, il paventato rilievo della circostanza è definitivamente venuto meno.
2.4. Peraltro, la censura è articolata in violazione del principio di necessaria specificità del mezzo, perché la ricorrente non ha né riportato né indicato i punti del proprio atto di appello nei quali avrebbe svolto le allegazioni delle quali lamenta l’omesso esame da parte dei giudici regionali.
Il ricorso va dunque respinto.
A tale statuizione consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in dispositivo.
Sussistono inoltre i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento di un importo pari al doppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 10.200,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2025.