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Operazioni elusive: ricorso inammissibile in Cassazione

Una società ha impugnato avvisi di accertamento per IRES e IRAP, sostenendo che complesse operazioni societarie, qualificate dal Fisco come operazioni elusive, fossero coperte da un precedente condono. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La motivazione principale è che il motivo di ricorso non verteva su un fatto storico omesso, ma su una valutazione giuridica. Inoltre, la Corte ha accertato che il condono invocato era stato definitivamente negato in un altro giudizio, facendo crollare la linea difensiva della società.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni elusive: la Cassazione chiude la porta al ricorso

L’ordinanza in esame offre un importante spunto di riflessione sulle cosiddette operazioni elusive e sui limiti del ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha confermato la legittimità degli accertamenti fiscali emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società che aveva posto in essere una serie di complesse operazioni societarie con l’unico scopo di ridurre il proprio carico fiscale. Il caso evidenzia la rigidità con cui i giudici valutano i motivi di ricorso e l’importanza di fondare le proprie difese su argomenti solidi e pertinenti.

I fatti del caso

L’Amministrazione Finanziaria aveva notificato a una società a responsabilità limitata due avvisi di accertamento, rettificando i redditi ai fini Irap e Ires per due anni d’imposta. Le contestazioni si basavano su due distinte manovre considerate elusive:
1. L’indebita detrazione di quote di ammortamento relative all’avviamento di una società acquisita e successivamente incorporata. Secondo il Fisco, l’operazione non aveva alcuna finalità economica se non quella di creare componenti di reddito negative per abbattere gli utili.
2. Il disconoscimento di una minusvalenza generata dalla cessione di quote di altre due società, realizzata con modalità tipiche del dividend washing.

Entrambe le operazioni erano state ricondotte a uno schema più ampio, orchestrato da un noto gruppo di consulenza specializzato nel fornire ai propri clienti “pacchetti elusivi”. La società contribuente aveva impugnato gli avvisi, ma i suoi ricorsi erano stati respinti sia in primo che in secondo grado.

La strategia difensiva e le complesse operazioni elusive

La difesa della società si fondava su un punto cruciale: la società acquisita, da cui originava l’avviamento contestato, aveva in passato aderito al cosiddetto “condono tombale”. Secondo la contribuente, tale sanatoria avrebbe dovuto coprire tutte le irregolarità fiscali passate, rendendo legittima la successiva deduzione dei costi. La società aveva quindi chiesto la sospensione del giudizio in attesa della definizione di un’altra causa pendente, relativa proprio alla validità della revoca di quel condono da parte del Fisco.

I giudici di merito, tuttavia, avevano ritenuto irrilevante la questione del condono e avevano confermato il carattere elusivo delle manovre. Le fusioni e i trasferimenti d’azienda erano stati giudicati come un mero artificio contabile per creare un avviamento fittizio e generare costi deducibili inesistenti.

La decisione della Corte di Cassazione

La società ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando un difetto di motivazione da parte della corte d’appello. In particolare, ha sostenuto che i giudici non avessero considerato due punti decisivi: la richiesta di sospensione del giudizio e la presunta nullità della revoca del condono. La Suprema Corte ha dichiarato il motivo inammissibile e ha respinto integralmente il ricorso.

Le motivazioni: perché il ricorso è stato respinto?

La Corte di Cassazione ha spiegato che il motivo di ricorso era tecnicamente errato. La contribuente non lamentava l’omesso esame di un “fatto storico” decisivo, come richiesto dalla legge per questo tipo di censura (art. 360 n. 5 c.p.c.), ma piuttosto l’omessa valutazione degli effetti giuridici di un altro giudizio pendente. Questa è una questione di diritto, non di fatto, e non può essere fatta valere con il motivo di ricorso utilizzato.

Andando oltre l’aspetto formale, la Corte ha esercitato il proprio potere di esaminare gli atti e ha verificato l’esito del giudizio sul condono. È emerso che il ricorso della società in quella sede era stato definitivamente rigettato con una precedente sentenza della Cassazione stessa. Pertanto, l’argomento principale su cui si basava l’intera difesa della contribuente era venuto meno in modo definitivo, rendendo la sua doglianza priva di fondamento.

Infine, il ricorso è stato giudicato anche carente del principio di specificità, in quanto la società non aveva indicato con precisione in quali punti del suo atto di appello avesse sollevato le questioni che lamentava essere state ignorate.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa pronuncia ribadisce due principi fondamentali nel contenzioso tributario. In primo luogo, le operazioni prive di una reale sostanza economica, realizzate al solo scopo di ottenere un risparmio d’imposta, sono considerate elusive e possono essere legittimamente disconosciute dal Fisco. In secondo luogo, il ricorso per cassazione è un giudizio di pura legittimità, con regole procedurali molto stringenti: i motivi di ricorso devono essere formulati in modo tecnicamente ineccepibile e non possono mirare a un riesame dei fatti già valutati dai giudici di merito. La decisione sottolinea come la Cassazione possa autonomamente verificare l’esito di giudizi collegati, rendendo inutile insistere su argomenti basati su cause già definite in modo sfavorevole.

Perché il ricorso della società è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la società ha contestato un presunto difetto di motivazione basato sulla mancata valutazione degli effetti di un altro giudizio pendente. Questa è una questione di valutazione giuridica, non l’omissione di un fatto storico, che è l’unico presupposto per il tipo di censura sollevata (art. 360 n. 5 c.p.c.).

Qual era l’argomento principale della società contribuente e perché non ha avuto successo?
L’argomento principale era che le operazioni contestate dovessero essere coperte da un precedente “condono tombale”. Questa tesi è fallita perché la Corte di Cassazione ha verificato che, in un altro procedimento, lo stesso condono era stato definitivamente negato con una sentenza passata in giudicato, facendo crollare la base della difesa.

Cosa sono le operazioni elusive contestate in questo caso?
Le operazioni contestate consistevano in una serie di manovre societarie, tra cui l’acquisizione e l’incorporazione di una società per creare un avviamento fittizio e dedurne i costi, e la vendita di partecipazioni con modalità di dividend washing per generare minusvalenze artificiali. Tali operazioni erano state ritenute prive di sostanza economica e finalizzate unicamente a ottenere un indebito risparmio d’imposta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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