Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18601 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18601 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
Oggetto: operazione soggettivamente inesistente -avviso di accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12117/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO (PEC: EMAIL), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, n.2421/23/2020 depositata in data 19/10/2020, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 12 aprile 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, veniva rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo n. 233/2/14, che aveva rigettato il ricorso introduttivo della contribuente volto ad ottenere l’annullamento dell ‘avviso di accertamento IVA per l’anno di imposta 2010 notificatole dall’RAGIONE_SOCIALE Entrate.
Alla base della ripresa vi era la contestazione dell’acquisto di un’autovettura usata di importazione infra-comunitaria, previo accertamento del fatto che la ditta RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME era una cartiera interposta nel rapporto economico. La prima aveva emesso in favore della RAGIONE_SOCIALE una fattura, in relazione all’anno d’imposta, per la compravendita di una autovettura con IVA indebita per l’importo di euro 11.420,00 nel quadro di un’operazione qualificata soggettivamente inesistente, con conseguenziale ripresa ad imposizione del tributo armonizzato ed applicazione di sanzioni.
L’avviso di accertamento veniva integralmente confermato dal giudice di prime cure e, a seguito di cassazione con rinvio di una prima sentenza ad opera dell’ordinanza della Corte di Cassazione n.12615/2018, anche da parte della CTR.
Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione la contribuente, affidato a quattro motivi sintetizzati a pag.14 del ricorso, cui l’RAGIONE_SOCIALE replica con controricorso.
Considerato che:
Il primo motivo di ricorso prospetta, senza individuazione del pertinente profilo di censura in relazione all’art. 360 comma 1 cod. proc. civ., la violazione dell’ art. 7 del d.lgs. n. 546/1992 in quanto il giudice adito non avrebbe utilizzato i poteri istruttori attribuitigli dall’art. 7 del d.lgs. n. 546/1992, in considerazione del fatto che l’elemento fondante la rettifica sarebbe la trascrizione di una conversazione telefonica mai ascoltata.
Il motivo è inammissibile sia per la irrituale tecnica di formulazione della censura che neppure individua il pertinente paradigma processuale, sia per manifesta infondatezza. Infatti, l’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, attribuisce al giudice tributario il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova non per sopperire alle carenze istruttorie RAGIONE_SOCIALE parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma soltanto in funzione integrativa degli elementi di giudizio. L’ esercizio di tale potere è dunque consentito ove sussista una situazione obiettiva di incertezza e laddove la parte non possa provvedere per essere i documenti nella disponibilit à̀ della controparte o di terzi (Cass. n. 955 del 2016; conf. Cass. n. 14244 del 2015).
L’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto norma eccezionale attributiva di ampi poteri istruttori officiosi alle Commissioni Tributarie, tra i quali la facolt à̀ di ordinare il deposito di documenti necessari ai fini della decisione, trova applicazione solo quando l’assolvimento dell’onere della prova a carico del contribuente sia impossibile o sommamente difficile. Siffatta condizione è integrata qualora la parte alleghi e dimostri la specifica situazione di fatto che, nel caso concreto, abbia reso inarrivabile o estremamente complesso l’assolvimento dell’onere della prova, ed è insufficiente la mera affermazione dell’esistenza del presupposto, priva dell’allegazione relativa all’avvenuta sollecitazione del giudice del merito all’esercizio del predetto potere (Cass. n. 27827 del 2018; in termini, Cass. n. 7078 del
2010, n. 4589 del 2009, n. 10970 del 2007), come avvenuto con la censura in disamina.
Il secondo motivo di ricorso deduce, senza individuazione del pertinente paradigma di censura in relazione all’art. 360 comma 1 cod. proc. civ., un ‘asserita omessa motivazione da parte della CTR in ordine alla natura di cartiera della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME.
La censura è inammissibile, oltre che per la tecnica di formulazione, perché revoca in dubbio un tema oggetto di accertamento giudiziale, avendo il giudice di prime cure, prima ancora che la Corte di Cassazione nell’ordinanza di cassazione con rinvio, stabilito la sostanzialmente incontestata natura di “cartiera” della società emittente la fattura e, da ultimo, la TARGA_VEICOLO. Il punto non è l’esistenza di un giudicato a riguardo, come si afferma in ricorso, bensì l’esistenza di un accertamento giudiziale sulla natura di cartiera dell’emittente , non superato nel ricorso per cassazione attraverso la dimostrazione del fatto decisivo contrario e deduzione di apposito vizio motivazionale, profilo non colto con la doglianza sotto scrutinio.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, sempre senza individuazione del pertinente paradigma di censura in relazione all’art. 360 comma 1 cod. proc. civ., l’asserita mancata indicazione del motivo per cui le prove offerte dalla ricorrente non sono state considerate dal giudice esaustive e una presunta apparenza della motivazione.
La doglianza sembra far riferimento all ”apparente motivazione’ della sentenza in una apodittica affermazione a pag. 14 del ricorso, ma omette completamente il riferimento al pertinente quadro normativo, e anche ciò è inammissibile oltre che per l’incongrua tecnica di formulazione che non coglie il paradigma processuale rilevante.
Inoltre, la censura è inammissibile anche perché è scopertamente diretta ad ottenere un nuovo esame del fatto, nella parte in cui la-
menta la mancata indicazione RAGIONE_SOCIALE ragioni per le quali dalla documentazione prodotta dalla ricorrente, piuttosto che dalla pubblica discussione, non emergerebbero «le prove richieste dalla Cassazione per provare della propria buona fede» e il giudice a suo dire non «indica, quantomeno per contraddirle o confutarle, le prove che RAGIONE_SOCIALE ha versato in atti a sostegno della propria buona fede. Così come, nemmeno indica quali prove avrebbe dovuto fornire RAGIONE_SOCIALE». Il Collegio ribadisce che, per consolidata interpretazione giurisprudenziale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie offerte dalle parti e, nella fattispecie, il fatto storico è indubbiamente stato considerato dal giudice.
Con il quarto motivo la ricorrente prospetta, ancora senza individuazione del pertinente paradigma di censura in relazione all’art. 360 comma 1 cod. proc. civ., l’asserita violazione di legge, in relazione alla errata liquidazione a favore dell’A.F. RAGIONE_SOCIALE spese di giudizio.
Il motivo è infondato. Secondo la società, l’Amministra zione che ha emesso il provvedimento sanzionatorio, quando sta in giudizio personalmente ovvero avvalendosi di un funzionano appositamente delegato, pur vincitrice in giudizio, non potrebbe ottenere la condanna del soccombente al pagamento di spese diverse da quelle rendicontate che abbia effettivamente sostenuto nel giudizio. La ricorrente non tiene conto del fatto che nel processo tributario trova applicazione l’art. 15 del d.lgs. n. 546/1992 comma 2-sexies, a norma del quale «Nella liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di
cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto».
10. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna parte ricorrente alla rifusione alla resistente RAGIONE_SOCIALE spese di lite, liquidate in Euro 2.400,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma il 12.4.2024