Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30911 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30911 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/12/2024
Op. ogg. inesistenti
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8918/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t.,
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 7782/2017 depositata il 22/09/2017, non notificata; udita la relazione della causa nell ‘ adunanza camerale del 4/10/2024 tenuta dal consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTR della Campania rigettava l’appello erariale contro la sentenza della CTP di Napoli che aveva accolto il ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE contro un avviso di accertamento che aveva ripreso a tassazione, a fini Ires, la quota, dedotta nella dichiarazione dei redditi 2007, dei costi per la consulenza della RAGIONE_SOCIALE relativi al 2006, trattandosi di operazioni oggettivamente inesistenti.
In particolare i giudici d’appello ritenevano che l’operazione, avente ad oggetto l’assistenza ai fini del reperimento di un finanziamento sotto forma di leasing immobiliare necessario per l’acquisto di un fabbricato in Roma alla INDIRIZZO del valore di 220.000.000 euro, era effettiva e reale in quanto l’ufficio non aveva fornito prova dell’inesistenza del contratto stipulato con la COGNOME mentre la parte privata aveva prodotto documentazione attestante l’esistenza del contratto, l’adempimento della prestazione da parte della società con la stipula del leasing immobiliare con la società di credito, l’emissione della relativa fattura per la commissione per il reperimento di finanziamento nella forma del leasing immobiliare, il pagamento del relativo importo a mezzo di bonifici e, in parte, a seguito di transazione conseguente ad un procedimento monitorio instaurato dalla RAGIONE_SOCIALE
Contro tale decisione l ‘Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
La società intimata, cui il ricorso è stato notificato a mezzo p.e.c. in data 15/03/2018 presso l’avvocato costituito in appello, non ha svolto attività difensiva.
La causa è stata fissata per l’adunanza camerale de l 4/10/2024, per la quale il PM in persona del sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., la difesa erariale deduce violazione degli
artt. 39, comma 1, lett. d, d.P.R. n. 600 del 1973, 2729 cod. civ., 109, comma 5, t.u.i.r., 2697 cod. civ., 115 cod. proc. civ.; deduce che da un accertamento della Guardia di finanza era emersa una complessa operazione simulatoria con cui la RAGIONE_SOCIALE facente capo al gruppo Statuto, stipulando, in qualità di utilizzatore, un contratto di leasing avente ad oggetto un compendio immobiliare grandemente sopravvalutato, aveva in realtà dissimulato una operazione di finanziamento in favore del gruppo dalle società di leasing ; la prestazione fatturata dalla RAGIONE_SOCIALE era da inserirsi in tale contesto ed era connessa al predetto leasing , in realtà simulato, e doveva considerarsi oggettivamente inesistente, poiché l’atto non era stato registrato, l’accordo non lasciava alcuno spazio di autonomia alla società prestatrice, la RAGIONE_SOCIALE non aveva struttura e personale in grado di eseguire la prestazione.
Alla luce di tali circostanze fattuali, la CTR avrebbe errato laddove ha ritenuto apodittici gli elementi di fatto contenuti nell’avviso di accertamento, violando le norme sulle presunzioni semplici e invertendo illegittimamente l’onere della prova dando rilievo poi a documenti provenienti dalla società inidonei a provare l’effettività delle operazioni, laddove contratto, contabilità, fatture e mezzi di pagamento non costituiscono idonea prova contraria.
C on il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., deduce violazione degli artt. 39, comma 1, lett. d, d.P.R. n. 600 del 1973, 2727 e 2729 cod. civ., 109, comma 5, t.u.i.r., 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ. in quanto gli elementi dedotti dall’ufficio, sopra riportati, dimostravano l’inesistenza della prestazione fatturata.
I due motivi sono da esaminare congiuntamente e sono fondati nei termini che seguono.
2.1. Va preliminarmente osservato che, tenuto conto del contenuto complessivo del primo motivo di ricorso in esame, nello stesso è stata chiaramente prospettata la violazione, in primo luogo, del principio del riparto dell’onere di prova nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, avendo, peraltro, escluso il giudice del gravame che gli elementi indiziari proposti dal l’Agenzia ricorrente potessero avere rilevanza ai fini dell’assolvimento dell’onere di prova sulla stessa gravante; nella prospettiva, dunque, della linea difensiva sulla quale si fonda la ragione di censura, correttamente parte ricorrente ha fatto riferimento anche alla violazione dell’art. 2697 cod. civ., norma sulla quale si basa la ripartizione dell’onere di prova, nonché alle previsioni normative tributarie che, più specificamente, dettano i principi in materia di prova presuntiva (dunque l’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973).
Occorre poi osservare che quel che parte ricorrente lamenta non implica una rivalutazione degli elementi meritali, bensì involge la non corretta sussunzione della fattispecie nell’ambito del paradigma astratto delle norme citate, concretantesi, in particolare, nell’avere ritenuto che l’ufficio non avesse assolto all’onere di prova su di esso gravante, nonostante la molteplicità di elementi indiziari, proposti a supporto della pretesa della natura oggettivamente inesistente delle operazioni di cui alle fatture passive, di cui, non correttamente, il giudice del gravame ha svalutato o escluso la rilevanza; il motivo, parimenti, ammissibilmente censura il valore probatorio, nella specifica fattispecie, degli elementi offerti dalla società contribuente.
2.2. Ciò premesso, la questione attiene al corretto riparto dell’onere della prova qualora sia stata contestata dall’amministrazione finanziaria l’inesistenza oggettiva delle operazioni di cui alle fatture passive nonché alla individuazione degli
elementi indiziari sui quali la pretesa può essere correttamente basata.
Sotto tale profilo, va precisato, in primo luogo, che, poichè la fattura, di regola, costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’Iva e alla deducibilità dei costi, spetta all’Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto. La dimostrazione può ben consistere in presunzioni semplici, poichè la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 17619/2018). Più in particolare, la dimostrazione a carico dell’amministrazione finanziaria è raggiunta qualora siano forniti validi elementi che, alla stregua dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, e dell’art. art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati ovvero la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione (Cass. n. 21953/2007; Cass. n. 9784/2010; Cass. n. 9108/2012; Cass. 27718/2013; Cass. n. 20059/2014; Cass. n. 9363/2015; Cass. n. 15294/2021; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C-439/04; 21 febbraio 2006, C255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C285/11; 31 novembre 2013, C-642/11).
Successivamente, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia
(Cass. n. 28628/2021; Cass. n. 28572/2017; Cass. n. 5406/2016; Cass. n. 28683/2015; Cass. n. 428/2015).
Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ., ma in tale giudizio non potrà ritenere sufficienti la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti.
2.3. Nel caso di specie il giudice del gravame ha quindi errato, in primo luogo, laddove, con motivazione astratta e generica (definendo ‹‹ apodittiche deduzioni ›› le contestazioni dell’ufficio ) ha svalutato il valore pregnante ed inferenziale dei diversi elementi presuntivi offerti dall’amministrazione, sopra sintetizzati, nonché, in secondo luogo, laddove ha dato rilevanza, ai fini della prova contraria, all’esistenza del contratto, alla emissione della relativa fattura, al pagamento dei relativi importi.
Concludendo, il ricorso deve essere accolto.
La sentenza va pertanto cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui è demandato anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i due motivi di ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2024.