Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1466 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1466 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 21/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17364/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma in INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
CEDAC
RAGIONE_SOCIALE
-intimato-
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise n. 1269/2017 depositata il 29/11/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, riferito all’anno 2007, la Direzione provinciale di Isernia accertò l’indebita deduzione di costi da parte della società contribuente per un imponibile
complessivo di Euro 19.988,00, oltre alla relativa IVA pari ad euro 3.998,00, maggiori imposte per Euro 26.244,00 e sanzioni per Euro 14.602,00, oltre interessi.
I costi recuperati erano relativi alle prestazioni rese alla ditta COGNOME Mario in quanto privi del requisito della cd. inerenza anche in conseguenza della circostanza che le somme corrisposte al COGNOME in gran parte venivano versate per contanti.
L’avviso venne impugnato dalla società contribuente e la C.T.P. accolse il ricorso riconoscendo l’integrale deduzione dei costi in contestazione.
Avverso la prefata decisione venne interposto appello dall’Agenzia delle Entrate, con il quale si evidenziò la mancata considerazione da parte del giudice di prime cure di specifiche, puntuali e circostanziate deduzioni dell’Ufficio, che venne respinto.
Nel dettaglio si affermò che ‘la decisione del giudice di primo grado merita conferma integrale poiché motivata in maniera articolata e, quindi, esente da vizi di sorta, per cui le doglianze dell’Ufficio non sono assolutamente idonee a confutare la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Isernia’.
Si ripercorsero, in particolare, le ragioni poste a fondamento della decisione di prime cure ed all’esito si statuì che ‘esaminando l’intera sentenza si rileva che i giudici di primo grado hanno sviluppato un ragionamento logico per la loro decisione e lo stesso non è stato adeguatamente contestato dall’appellante Agenzia delle Entrate che si limita a ribadire tutto quanto esposto nelle deduzioni di primo grado, ritenendo i costi indeducibili in assenza di una prova che, in alcun modo indica, quale potrebbe essere, così richiedendo alla società appellata degli oneri probatori non previsti da nessuna norma. Sul punto il Collegio condivide le eccezioni formulate dai difensori della società appellata in relazione alla presunzione da parte dell’appellante
di un’attività illecita svolta dall’appellata basandosi unicamente sulla posizione fiscale non regolare della ditta COGNOME ma non contestando l’effettiva esistenza delle prestazioni di servizi effettuate, ritenute non inerenti senza alcuna specificazione di tale assunto’.
La sentenza è impugnata dall’Agenzia con tre motivi.
La società è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 per essere la sentenza nulla in quanto ‘apparentemente’ motivata.
La C.RAGIONE_SOCIALE avrebbe operato un acritico rinvio alla sentenza di primo grado senza dar conto in alcun modo delle ragioni che hanno indotto alla conferma di tale decisione di rigetto dei motivi di impugnazione.
2.Con il secondo motivo di denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c. Con la predetta doglianza, in particolare, si censura la decisione per non aver considerato gli specifici elementi indiziari, indicati nell’atto di appello, ‘da ritenersi gravi precisi e concordanti’, relativi alla controllo della posizione fiscale della società contribuente e della ditta COGNOME Mario evidenziando tra le altre cose come la società, nonostante fosse in continua perdita, fosse stata in grado di pagare alla sola ditta COGNOME una fattura di Euro 19.988,00 oltre IVA per Euro 3.998,00.
Nell’ottica dell’attore, l’Agenzia avrebbe ben chiarito quale fosse la prova che la società avrebbe dovuto fornire al fine di dimostrare l’inerenza nonché la certezza e la determinabilità dei costi sostenuti. In mancanza di tale dimostrazione non avrebbe potuto riconoscersi la deducibilità dei costi, così come hanno statuito i giudici dell’appello,
ritenendo che la prova richiesta dall’Ufficio non fosse prevista da nessuna norma di legge.
3.Con l’ultimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del TUIR nonché dell’art. 2697, 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
Il giudice di seconde cure avrebbe accolto il ricorso del contribuente nonostante il mancato assolvimento dell’onere della prova circa l’inerenza la certezza e la determinabilità del costo ai fini della sua deducibilità ai fini fiscali.
Si evidenzia come la prova dell’inerenza dei costi, ai fini della deducibilità delle componenti negative del reddito, ‘non può risolversi nella mera contestazione del comportamento dell’Ufficio laddove sia carente la conferma documentale dell’effettività e certezza degli oneri in questione’.
4.Il primo motivo del ricorso è infondato.
Ricorre, invero, il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. n. 6758 del 2022; Cass. n. 13977 del 2019).
E’ quindi denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”,
nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
La motivazione è peraltro apparente, in quanto carente del giudizio di fatto, quando è basata su una affermazione generale e astratta, con totale obliterazione delle circostanze del caso concreto e dunque inidoneità ai fini della comprensione della ratio decidendi (Cass. n. 4166 del 2024).
Al compito assegnato alla Corte di Cassazione dalla Costituzione resta estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
Nella specie, non si versa in alcuna delle ipotesi sopra indicate, la motivazione della sentenza impugnata, per quanto succinta, è chiara nel suo percorso.
5.Nel rispetto del criterio della ragione più liquida deve ora trattarsi il terzo motivo del ricorso.
Esso è fondato ed il suo accoglimento determina l’assorbimento del secondo.
La giurisprudenza di questa Corte è infatti costante nel senso che la prova del diritto alla deduzione di costi è a carico del contribuente e ciò sia con riferimento al criterio che chi afferma un fatto costitutivo di un diritto lo deve provare e sia con riferimento al criterio di vicinanza della prova (Cass. sez. trib. n. 13943 del 2011; Cass. sez. trib. n. 4554 del 2010).
L’onere della prova della esistenza del diritto alla detrazione ricade, infatti, integralmente sul contribuente che la invoca, e non
grava sull’ufficio. Deve essere il contribuente, e non l’ufficio impostore, a fornire la prova delle circostanze addotte, sull’esistenza degli acquisti di beni e sull’acquisizione di servizi cui si riferirebbero le fatture non reperite, sull’effettivo pagamento dell’IVA passiva rispetto ad esse, sulla loro detraibilità (anche nel senso della riferibilità delle operazioni all’attività di impresa). Ciò non impedisce, del resto, che, se si è effettivamente trovato privo delle fatture passive per causa di forza maggiore, il contribuente IVA possa ricostruirne il contenuto (per esempio acquisendo presso i fornitori copia delle fatture stesse oppure attestazioni di contenuto equivalente, dimostrando l’effettiva esistenza dei rapporti sostanziali relativi alle varie operazioni, ecc). È evidente, del resto, che, nel caso in cui siano possibili riscontri incrociati, è molto più facile per il contribuente interessato che per l’Ufficio procurarsi la documentazione necessaria; ne’ sussistono ragioni per addossare un simile onere all’Ufficio stesso.
E’ quindi indubitabile che grava sul contribuente l’onere della prova dell’esistenza del diritto alla detrazione (Cass. n. 13605 del 2003) ed altresì che sempre sul medesimo gravi l’onere di provare evidentemente nei gradi di merito, trattandosi di accertamento in fatto – sia l’esistenza di una forza maggiore che abbia determinato la perdita delle fatture in originale, sia la ricostruzione delle stesse a mezzo dell’opera dei fornitori dei servizi.
Nel processo tributario, inoltre, una volta che il contribuente assolva l’onere, a suo carico, di provare il fatto costitutivo del diritto alla deduzione dei costi o alla detrazione dell’IVA mediante la produzione delle fatture, l’Amministrazione finanziaria ne può dimostrarne l’inattendibilità anche mediante presunzioni, sicché il giudice di merito deve prendere in considerazione il complessivo
quadro probatorio al fine di verificare l’esistenza o meno delle operazioni fatturate, ivi compresi i fatti secondari indicati.
6.Il giudice di merito non si è conformato ai suesposti principi ritenendo sussistere il diritto alla deduzione dei costi in favore di RAGIONE_SOCIALE in forza nella mera contestazione del comportamento dell’Ufficio, senza valutare gli specifici elementi offerti dall’Agenzia né la sussistenza, carenza o sufficienza della prova da parte della contribuente, gravata, come innanzi evidenziato, dell’onere probatorio di cui si discorre.
7. In virtù di quanto fin qui esposto il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata.
Ne consegue il rigetto del primo motivo, l’accoglimento del terzo, con assorbimento del secondo motivo, la cassazione della sentenza con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria della Campania, in diversa composizione che regolerà altresì le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo, accoglie il terzo, assorbito il secondo, e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria del Molise, in diversa composizione che regolerà altresì le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2024