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Onere prova costi deducibili: la Cassazione decide

Un contribuente ha impugnato un avviso di accertamento per maggiore IRPEF dovuta su una plusvalenza immobiliare, contestando il mancato riconoscimento di costi di ristrutturazione. Dopo due sentenze sfavorevoli, la Corte di Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso. La Suprema Corte ha chiarito che, sebbene l’onere della prova costi deducibili spetti al contribuente, il giudice non può esigere una prova “certa e inconfutabile”, né può ignorare elementi indiziari come una perizia di parte. La sentenza è stata cassata con rinvio per una nuova valutazione delle prove.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova per Costi Deducibili: la Cassazione fa Chiarezza

In materia fiscale, la questione dell’onere della prova costi deducibili è un tema centrale e spesso fonte di contenzioso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene proprio su questo punto, delineando i confini del dovere probatorio del contribuente e i limiti del potere valutativo del giudice. Il caso riguarda la plusvalenza derivante dalla vendita di un immobile e la contestata deducibilità delle spese di ristrutturazione.

I Fatti del Caso

Un contribuente vendeva un immobile a meno di cinque anni dall’acquisto, realizzando una plusvalenza. In sede di dichiarazione, ometteva di indicare tale reddito. L’Agenzia delle Entrate notificava quindi un avviso di accertamento per recuperare la maggiore IRPEF dovuta. Il contribuente si opponeva, sostenendo di aver sostenuto ingenti spese di ristrutturazione che, se riconosciute, avrebbero ridotto o azzerato la plusvalenza tassabile.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale respingevano le ragioni del contribuente. I giudici di merito ritenevano che le prove fornite (fatture generiche, assegni non chiaramente riconducibili ai lavori) non fossero sufficienti a dimostrare l’inerenza dei costi sostenuti con la ristrutturazione dell’immobile specifico. Il contribuente decideva quindi di presentare ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato i diversi motivi di ricorso. Ha respinto quelli relativi a presunte omissioni di pronuncia, ritenendo che il giudice d’appello avesse, seppur sinteticamente, esposto la sua valutazione. Tuttavia, ha accolto il motivo centrale, relativo alla violazione delle norme sull’onere della prova costi deducibili e sulla valutazione delle prove.

I giudici di legittimità hanno cassato la sentenza d’appello, rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame. La Corte dovrà attenersi ai principi di diritto stabiliti, in particolare riguardo al corretto riparto dell’onere probatorio e alla valutazione di tutti gli elementi, inclusi quelli presuntivi.

Le Motivazioni: il Principio sull’Onere della Prova

Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni relative al terzo motivo di ricorso. La Cassazione ha stabilito che la Commissione Tributaria Regionale ha commesso un duplice errore.

In primo luogo, ha erroneamente presupposto l’esistenza di una presunzione a favore dell’Ufficio, gravando il contribuente di una prova contraria particolarmente onerosa. La Corte chiarisce che, sebbene spetti al contribuente dimostrare i costi di cui chiede la deduzione, non deve per questo ‘vincere’ una presunzione di indeducibilità. Il suo è un onere probatorio standard, non aggravato.

In secondo luogo, il giudice d’appello ha sbagliato nel richiedere una prova “certa ed inconfutabile” sull’inerenza dei costi. Questo standard probatorio è eccessivamente rigoroso e non previsto dalla legge. Inoltre, la CTR ha escluso a priori la rilevanza della perizia di parte prodotta dal contribuente, solo perché proveniente da un consulente di fiducia. La Cassazione ribadisce che anche una perizia di parte, pur non avendo valore di prova legale, costituisce un elemento indiziario che il giudice ha il dovere di valutare nel suo complesso, insieme agli altri elementi probatori.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Contribuenti

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. Anzitutto, conferma che la corretta e meticolosa documentazione delle spese (fatture dettagliate, pagamenti tracciabili, contratti d’appalto) resta fondamentale per il contribuente che voglia dedurre dei costi. Tuttavia, la decisione stabilisce un principio di equità e ragionevolezza nella valutazione delle prove. I giudici tributari non possono imporre standard probatori irraggiungibili né possono ignorare aprioristicamente elementi come le perizie di parte. Devono invece procedere a una valutazione complessiva e logica di tutto il materiale probatorio a disposizione, riconoscendo il giusto valore anche alle prove critiche e presuntive. Per i contribuenti, ciò significa che anche in assenza di una prova ‘perfetta’, una difesa ben argomentata e supportata da elementi indiziari può e deve essere presa in seria considerazione dal giudice.

A chi spetta l’onere di provare i costi deducibili da una plusvalenza?
Secondo la Corte, l’onere della prova dei costi di cui si invoca la deducibilità spetta al contribuente.

Può un giudice esigere una prova ‘certa e inconfutabile’ per riconoscere dei costi?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che richiedere una prova ‘certa ed inconfutabile’ sull’inerenza dei costi è un errore, in quanto impone uno standard probatorio eccessivamente rigoroso e non previsto dalla legge.

Che valore ha una perizia tecnica redatta da un consulente di parte nel processo tributario?
La perizia di parte non può essere scartata a priori solo perché proviene da un consulente di fiducia del contribuente. Sebbene non sia una prova decisiva, rappresenta un elemento indiziario e presuntivo semplice che il giudice ha l’obbligo di valutare nel contesto di tutte le altre prove disponibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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