Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12830 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12830 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 1784/2018, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso il suo indirizzo di posta elettronica certificata
-controricorrente – nonché contro
AGENZIA DELLE ENTRATE RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza n. 3068/11/2017 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 30 maggio 2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 aprile 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
A seguito di specifica istanza, NOME COGNOME dipendente della società RAGIONE_SOCIALE ottenne dall’amministrazione finanziaria il rimborso dell’importo di € 9.587,07, oggetto di ritenuta ex art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 da parte della Cassa Previdenza della società datrice sulla sua quota di liquidazione costituita da rendimenti finanziari ricavati dall’investimento sul mercato dei capitali accantonati nell’apposito Fondo .
Su tale quota, infatti, egli sostenne di aver diritto a che venisse operata una ritenuta in base all’aliquota del 12,50% applicabile ai redditi di capitale, come affermato da questa Corte con la sentenza n. 13642/2011 resa a Sezioni Unite, che aveva escluso, in parte qua , l’applicazione del regime di tassazione separata .
Successivamente, ritenendo sussistenti i presupposti per il recupero della somma, l’amministrazione notificò al contribuente, tramite il concessionario per la riscossione, una cartella di pagamento per un importo pari a quello oggetto di rimborso.
Il contribuente impugnò vittoriosamente la cartella innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma.
La sentenza fu oggetto di appello principale dell’Ufficio e di appello incidentale del Messina, che si dolse del fatto che la C.T.P. non aveva rilevato la nullità della cartella per un vizio della notificazione.
La sentenza indicata in epigrafe respinse entrambi i gravami, ritenendo, per quanto in questa sede ancora di interesse, che il contribuente avesse diritto al beneficio della minor tassazione, avendo dimostrato, mediante la produzione di un’attestazione proveniente dalla Cassa Previdenza e non contestata dall’Amministrazione, che i capitali accantonati dal Fondo erano stati investiti sul mercato.
La sentenza d’appello è stata impugnata dall’Agenzia delle entrate con ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
Il contribuente ha depositato controricorso, illustrato da successiva memoria, mentre il concessionario per la riscossione è rimasto intimato.
Considerato che:
1. L’unico motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 602/1973.
L’Amministrazione osserva che la richiamata pronunzia delle Sezioni Unite, nell’affermare il diritto del contribuente al rimborso delle trattenute Irpef indebitamente effettuate in base al regime di tassazione separata, aveva purtuttavia affermato che quest’ultimo è sempre tenuto a dimostrare la reale natura ed entità dei rendimenti da assoggettare alla minor ritenuta del 12,50%.
In tal senso, assume che nel caso di specie sarebbe stato necessario verificare la misura concreta del rendimento ottenuto a seguito della gestione sul mercato del capitale accantonato da parte del Fondo e che, al riguardo, non era sufficiente la certificazione prodotta dal Messina, con la quale lo stesso Fondo si limitava ad attestare genericamente gli investimenti effettuati, senza specificare quale rendimento ne fosse derivato in seno alla liquidazione.
Preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente sotto due profili.
Per un verso, infatti, quest’ultimo sostiene che il ricorso principale si fonda su «eccezioni, difese, domande e conclusioni giammai avanzate nel giudizio di primo grado e quindi assolutamente inammissibili ai sensi dell’art. 57, co. 1 e 2, d.lgs. 546/1992 e 345 c.p.c.»; innanzi alla C.T .P., infatti, l’Ufficio si era opposto al rimborso richiamando la propria risoluzione n. 275/E del 2009, con la quale veniva negato ai contribuenti nelle sue stesse condizioni di accedere al beneficio della tassazione agevolata.
Per altro verso, assume poi che l’unico motivo sarebbe in realtà volto a contestare un accertamento nel merito e, quindi, una valutazione di fatto non più sindacabile in questa sede.
2.1. L’eccezione è infondata sotto entrambi i profili.
Quanto al primo, è appena il caso di richiamare il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui, in una controversia su una domanda di rimborso fiscale avanzata dal contribuente, quest’ultimo riveste la qualità di attore non soltanto in senso formale, ma anche in senso sostanziale; dal che consegue, in primo luogo, che l’onere di allegare e provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato grava sul contribuente, e, secondariamente, che le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o contesta che i medesimi siano qualificabili giuridicamente nei termini proposti dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale (cfr., fra le altre, Cass. n. 14998/2023; Cass. n. 15026/2014; Cass. n. 6550/2012).
Da tanto deriva, con riferimento al secondo profilo di eccezione, che nessun rilievo assume l’eventualità che l’Ufficio non abbia specificamente contestato i conteggi indicati nell’attestazione prodotta dal contribuente, proprio perché quest’ultimo era ten uto a dar
compiuta prova, sia sull’ an che sul quantum debeatur , dell’importo rivendicato.
Ciò posto, l’unico motivo di ricorso è fondato.
3.1. Fermo restando il principio espresso dalle Sezioni Unite con la pronunzia più volte richiamata in premessa, è poi vero che -come questa Corte non ha mancato di sottolineare nelle numerose decisioni che ne sono seguite -la natura di «reddito di capitale» che giustifica il beneficio fiscale non può essere riconosciuta all’intera somma liquidata dal fondo al contribuente; la tassazione in misura agevolata si riferisce, infatti, soltanto al rendimento prodotto dalle somme accantonate (in tal senso, fra le molte altre, Cass. n. 25512/2024; Cass. n. 3453/2021; Cass. n. 5487/2020; Cass. n. 15852/2018; Cass. n. 24525/2017; Cass. n. 11941/2016; Cass. n. 17365/2014).
Si è dunque osservato che, al riguardo, occorre procedere ad uno specifico accertamento volto a verificare l’esistenza del rendimento medesimo e la sua consistenza, che va compiuto tenendo presente il già richiamato onere probatorio del contribuente che agisce per il rimborso (Cass. n. 7223/2020; Cass. n. 7728/2019).
2.2. In questo senso, va ribadito che il rendimento al quale applicare la ritenuta del 12,50% è quello netto «imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato», la cui quantificazione deve essere compiuta dal giudice di merito sulla base di una congruente analisi giuridica della fattispecie concreta, volta a verificare se vi sia stato (e quale sia stato) da parte del Fondo l’impiego sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego (così, in motivazione, la già citata Cass. n. 25512/2024).
Al contribuente spetta, pertanto, dimostrare quale sia la parte dell’indennità ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati
di riferimento; e a tal fine non basta un mero rinvio al conteggio proveniente dal datore di lavoro o dal fondo di previdenza, quando esso non contenga alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce ‘ rendimento ‘ , così da chiarire se si tratti effettivamente di incremento della quota individuale del fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato ( così, ancora, l’ultima decisione menzionata ).
2.3. Da tali principii si è discostata la sentenza impugnata, che ha ritenuto adempiuto l’onere probatorio del contribuente per effetto dell ‘attestazione rilasciata dalla cassa di previdenza dei dirigenti Exxon.
Quest’ultima, infatti, indicava l’ ammontare delle somme accantonate ed attestava che esse erano state impiegate esclusivamente nell’investimento in mercati finanziari , ma non evidenziava il rendimento conseguito in relazione al concreto impiego sul mercato, da parte del fondo, del capitale accantonato.
In altri termini, la certificazione prodotta dal Messina consente di comprendere quale sia l’ammontare dei contributi versati dal datore di lavoro, ma non quanta parte degli stessi sia rinveniente dagli investimenti effettuati sul mercato finanziario (né, per vero, quali fossero gli importi originariamente destinati a tale forma di rendimento e poi accumulati).
Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza d’appello va cassata con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, affinché, in diversa composizione, proceda all’accertamento sotteso alla domanda di rimborso in conformità agli indicati principii.
Il giudice del rinvio provvederà anche a liquidare le spese del presente giudizio.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2025.