Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8236 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8236 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
Oggetto: Avvisi di accertamento IRPEF ed IRAP – Indagini bancarie – Art. 32 d.P.R. n. 600/1973 – Onere della prova
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11122/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso d all’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato ed allegato al ricorso, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, n. 5944/09/2021, depositata in data 27 dicembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Il ricorrente, esercente l’attività di medico odontoiatra, impugnava innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Viterbo gli avvisi di accertamento nn. NUMERO_DOCUMENTO e RCT010401742,
relativi ad IRPEF ed IRAP per gli anni 2003 e 2004, emessi a seguito di indagini sui conti correnti bancari del contribuente, e la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA Assumeva che tutti i movimenti bancari contestati erano da ritenersi giustificati ed eccepiva l’illegittimità delle indagini svolte, asseritamente compiute in violazione della normativa vigente in materia.
La CTP, riuniti i ricorsi, li rigettava.
Interposto gravame, la Commissione tributaria regionale del Lazio confermava la sentenza impugnata.
Avverso la decisione della CTR del Lazio proponeva ricorso per cassazione il contribuente, affidandosi a quattro motivi; precisamente deduceva:
la carenza di motivazione in ordine ad un punto fondamentale per la controversia (ex art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.) nella parte in cui la CTR ha rinvenuto il legittimo presupposto dell’Agenzia ai fini delle condotte indagini finanziarie nella verificata sproporzione tra reddito dichiarato e capacità patrimoniale-contributiva, manifestata dal contribuente e desunta dall’acquisto di beni mobili registrati e immobili (autoveicoli, residenze principali e secondarie);
b) la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 7, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., in quanto l’autorizzazione a procedere alle indagini, rilasciata dalla competente direzione regionale dell’Agenzia, non sarebbe stata indicata negli avvisi di accertamento né allegata agli stessi, né depositata nel corso del processo di primo grado, e la CTR non avrebbe tenuto conto di tali carenze;
la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della L. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 1, commi 402 e 403, della L. n.311 del 2004, per aver la CTR retroattivamente applicato le previsioni di legge richiamate anche agli anni di imposta per cui è causa, nonostante il fatto che la novella, la quale ha aggiunto alla parola
“ricavi” il termine “compensi”, fosse entrata in vigore il 1° gennaio 2005;
d) l a falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 32 comma 1 n. 2, 38 e 39, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., per aver la CTR errato nell’ applicare, nella fattispecie, il canone dell’onere della prova individuato dalla giurisprudenza di legittimità e ricorrente nella fattispecie tanto per i versamenti quanto per i prelevamenti, anche in quanto l’applicazione dell’art. 32 cit. non pare attagliarsi agli esercenti di arti e professioni, quale è il contribuente, per i quali è difficile equiparare un prelievo ad una spesa in nero che determinerebbe, a sua volta, compensi non dichiarati.
Con l’ordinanza n. 9066/2021 questa Corte, dichiarati inammissibili i primi tre motivi, accolse il quarto per effetto della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 6 ottobre 2014, che, con riguardo ai professionisti, aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 32 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui consentiva il recupero a tassazione anche dei prelevamenti e non dei soli versamenti bancari ingiustificati; cassò, quindi, la sentenza appellata.
In particolare, dopo aver premesso di aver già fatto applicazione, anche d’ufficio, della sentenza della Corte Cost. n. 228 del 2014, avendo affermato che «in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti» (Cass. 09/08/2016, n. 16697; conforme, Cass. 26/09/2018, n. 22931), precisava che nei confronti degli esercenti arti e professioni, quale è il contribuente, opera la
presunzione legale di cui all’art. 32 cit. con riguardo ai soli “versamenti” non giustificati anche per i due anni di imposta per cui è causa. Quindi, precisava che nel fare applicazione del richiamato principio di diritto, la CTR avrebbe dovuto tenere anche conto del fatto che, quanto alle II.DD., «al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività» (Cass. 11/03/2015, n. 4829); quanto all’imposizione indiretta, del fatto che «in tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi accrediti che addebiti, si presumono, ai sensi dell’art.32, comma 1, n.2 del d.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art.51, comma 2, n.2, del d.P.R. n.633 del 1972, riferiti all’attività economica del contribuente, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si riferiscono ad operazioni imponibili» (Cass. 30/12/2015, n. 26111; conforme Cass. 29/07/2016, n. 15857).
Circa il contenuto dell’onere della prova in capo al contribuente ribadiva, infine, che per superare la detta presunzione questi deve in particolare «dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili» (Cass. 29/07/2016, n. 15857).
Riassunto il giudizio innanzi alla CTR del Lazio, il contribuente ribadiva i propri assunti, facendo riferimento alla documentazione già presentata, idonea -secondo le sue
prospettazioni -a provare l’illegittimità dell’accertamento bancario anche nella parte relativa ai versamenti, giustificati da fatture regolarmente emesse.
L’Agenzia delle entrate si costituiva in sede di rinvio, chiedendo la conferma del recupero erariale limitatamente ai versamenti ritenuti ingiustificati all’esito delle indagini bancarie.
La CTR accoglieva in parte l’appello del contribuente annullando, per effetto della sentenza n. 228/2014 della Corte costituzionale, i l recupero operato dall’Ufficio limitatamente ai prelevamenti effettuati dal contribuente, rideterminando il reddito imponibile per l’anno 2003 in Euro 93.914,24 e per l’anno 2004 in Euro 84.615,82.
Quanti ai versamenti, i giudici del rinvio ritenevano che il contribuente non avesse dimostrato in modo puntuale e specifico che i singoli movimenti bancari oggetto di contestazione non fossero riferibili ad operazioni imponibili.
Avverso tale sentenza il contribuente ha presentato ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
L’Ufficio ha resistito con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 18/03/2025.
Considerato che:
Con il primo (ed unico) strumento di impugnazione il ricorrente deduce la «falsa applicazione del combinato disposto di cui agli art. 32, c. 1, n. 2, D.P.R. 29.09.1973, n. 600, art. 38 D.P.R. 29.09.1973, n. 600, art. 39, c. 1, lett. c), D.P.R. 29.09.1973, n. 600, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.»; la CTR avrebbe errato nel ritenere, con riguardo ai versamenti effettuati, inadempiuto l’onere della prova gravante sul contribuente e consistente nella necessità di dimostrare, in modo analitico, l’estraneità dei movimenti bancari a fatti imponibili.
Il ricorrente sostiene, di contro, di aver fornito adeguata prova in ordine alla riferibilità delle somme versate ai ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività professionale : in particolare, ribadisce di
avere, nell’anno di imposta 2003, emesso 99 fatture di importo superiore a quello dei versamenti, e nell’anno 2004 89 fatture. Lamenta, poi, il mancato accertamento, da parte dell’Ufficio, di versamenti superiori rispetto alle somme dichiarate. L’Agen zia riprendeva a tassazione gli importi dei versamenti unicamente in virtù di un disallineamento tra le date di essi e quelle delle fatture emesse.
Il motivo, subito superando l’eccezione di inammissibilità formulata dalla controricorrente, atteso che con la doglianza non si richiede una nuova valutazione del materiale probatorio, è infondato.
Come opportunamente evidenziato nell’ordinanza di rinvio, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 (in tema di imposte dirette) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (Cass. 11/03/2015, n. 4829). Circa il contenuto dell’onere della prova in capo al contribuente, costantemente questa Corte afferma che per superare la detta presunzione questi deve in particolare «dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili» (Cass. 29/07/2016, n. 15857).
Nella specie la CTR ha fatto corretta applicazione dei detti principi, avendo escluso che il contribuente, nella specie, avesse assolto all’onere probatorio su di lui incombente, essendosi limitato a sostenere che il totale dei versamenti corrispondeva al totale degli
importi fatturati, e che non fosse necessario alcun collegamento tra la singola fattura ed il singolo versamento.
Invero, detta prova non integra affatto la prova analitica richiesta dalla giurisprudenza di questa Corte: «qualora l’accertamento, effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del D.P.R. 600/1973, comma primo, n. 2), attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova, a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica, ma analitica, per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili, dalla movimentazione bancaria, non sono riferibili ad operazioni imponibili» ( ex multis , Cass. 29/09/2020, n. 20606).
2. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna NOME COGNOME a pagare, in favore dell’Agenzia delle entrate, le spese d el giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali, ai sensi dell’articolo 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 marzo 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME