Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22116 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22116 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26128/2018 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 1271/2018 depositata il 07/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La CTR della Campania, con la sentenza 1271/27/2018, rigettava l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE confermando la sentenza di primo grado che aveva disatteso l’impugnazione proposta dalla predetta società contribuente avver so il silenzio-rifiuto formatosi in relazione alla richiesta di rimborso di euro 10.828,24 ossia di quanto pagato a titolo di TARSU anno 2012 a fronte dell’avviso di pagamento notificatole dalla società RAGIONE_SOCIALE società concessionaria TARSU per il comune di Caserta.
I giudici di secondo grado ritenevano che correttamente la CTP aveva ritenuto che non sussisteva alcun diritto al rimborso in quanto la società ricorrente non aveva provato, per l’anno 2012, di avere provveduto al recupero e/o allo smaltimento dei rifiuti industriali attraverso ditte specializzate, risultando insufficiente la documentazione prodotta e rilevavano che le lacune probatorie non risultavano colmate nemmeno con la produzione allegata al ricorso in appello, difettando la prova dello smaltimento in proprio mediante la produzione dei relativi contratti stipulati con ditte specializzate. Osservavano che parte ricorrente non aveva comprovato, in alcun modo, il diritto all’esenzione, in particolare precisando che non aveva provato l’utilizzazione di parte delle aree come deposito in materie prime e di merci. Precisavano, altresì, che la società contribuente non aveva comprovato il diritto alla riduzione per essere il confine dell’ opificio ubicato oltre mille metri da più vicino punto di raccolta.
Contro detta sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione articolato su sette motivi.
La RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
Il P.G. ha depositato conclusioni scritte, chiedendo rigettarsi il ricorso.
La contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 53 del d.lgs. 546/1992 per avere la CTR erroneamente ritenuto generico il motivo di appello che non si sarebbe confrontato con l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata quanto all’affermazione che la parte non avrebbe provato l’effettivo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali mediante la produzione relativi contratti stipulati con ditte specializzate.
Con il secondo motivo deduce ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione degli artt. 36, comma 2 del d.lgs. 546/1992, 132, primo comma n.4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., per avere i giudici di appello adottato motivazione illogica e meramente apparente.
Con il terzo motivo lamenta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 116 c.p.c. per omessa considerazione della natura di prova legale in merito alla tracciabilità dei rifiuti quanto alla produzione e all’affidamento degli stessi per lo smaltimento e il riciclo del deposito del registro di carico e scarico 2012 e del MUD 2013.
Con il quarto motivo lamenta ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 115 c.p.c. per omessa considerazione della valenza probatoria del deposito del registro di carico e scarico 2012 e del MUD 2013, documentazione non specificamente contestata.
Con il quinto motivo lamenta, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione alla mancata utilizzazione delle prove costituite dal deposito dell’avviso di liquidazione Tari 2014 e della sentenza della CTP di Caserta 674/10/2017 che aveva stabilito l’esenzione Tarsu 2013 per le medesime aree, documentazione non specificamente contestata.
Con il sesto motivo deduce ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n.3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e 24 Cost. con riferimento ai principi che regolano l’onere della prova ed il principio di vicinanza della prova e dell’ art.115 c.p.c. in ragione mancata specifica contestazione di elementi alla base della richiesta di riduzione della tariffa, lamentando la erroneità della decisione impugnata nella parte in cui aveva affermato che la società contribuente non aveva comprovato il diritto alla riduzione per essere il confine dell’ opificio ubicato oltre mille metri da più vicino punto di raccolta.
7 . Con il settimo motivo lamenta, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n.4 c.p.c., violazione dell’art. 4 del DM 55/2014 per avere i giudici di appello nel liquidare le spese di lite violato i parametri fissati al DM citato.
Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni appresso specificate. 9. Il primo motivo è inammissibile atteso che la valutazione di inammissibilità del ricorso per genericità non costituisce una autonoma ratio decidendi ma la CTR ha rilevato in sostanza, che a fronte di quanto evidenziato dalla CTP, parte ricorrente non avevano comprovato il diritto all’esenzione non essendo sufficienti i documenti prodotti, rigettando il ricorso nel merito.
Il secondo motivo non coglie nel segno.
Occorre rilevare che per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla, allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 19/06/2018, n. 16159 , che menziona Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; conf.: Cass. Sez. U. nn. 22229, 22230, 22231, del 2016. I medesimi concetti giuridici
sono espressi da Cass. Sez. U. 24/03/2017, n. 766; Cass. Sez. U. 09/06/2017, n. 14430 ; Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9557 ). In seguito la Corte di Cassazione (vedi Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, 18/04/2018, n. 9558; Cass. Sez. U. 31/12/2018, n. 33679) ha avuto modo di ribadire che «nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle prel eggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspet to materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione». Deve, ancora, rilevarsi che il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati, ma sub valenti rispetto alle ragioni della decisione (cfr., ex multis , Cass., Sez. VI/T, 2 febbraio 2022, n. 3108, che richiama Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937).
Nel caso di specie la CTR nel rigettare l’appello, valutate le complessive risultanze istruttorie e la documentazione prodotta da parte contribuente, ha ritenuto, con argomentazioni che raggiungono certamente il c.d. minimo costituzionale, che la società RAGIONE_SOCIALE aveva comprovato il proprio diritto all’esenzione (v. ff. 3 -4), sicchè la censura in esame appare priva di pregio
Il terzo ed il quarto motivo -da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi -sono da ritenere infondati.
11.1. Va premesso che in materia di TARSU vale la regola per cui tanto le deroghe alla tassazione quanto le riduzioni delle superfici e tariffarie non operano in via automatica, in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo, invece, i relativi presupposti essere di volta in volta dedotti nella denuncia originaria o in quella di variazione (Cass., 13 agosto 2004, n. 15867 cui adde Cass., 17 settembre 2019, n. 23059; Cass., 3 marzo 2010, n. 5036; Cass., 15 aprile 2005, n. 7915; v., altresì, Cass., 23 febbraio 2018, n. 4602; Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 31 luglio 2015, n. 16235; nonchè Cass., 12 dicembre 2019, n. 32741, cit.).
Vale, poi, il principio secondo il quale l’esclusione dalla tassa riguarda la sola «parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti speciali» (Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 4 aprile 2012, n. 5377; v., altresì, Cass., 24 luglio 2014, n. 16858).
In relazione alla presunzione ( iuris tantum ) di produzione di rifiuti urbani posta dal d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, c. 1, cit. (v. Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459) questa Corte ha, poi, rilevato, da un lato, che il mero autosmaltimento dei rifiuti non può integrare la causale di esonero dal pagamento del tributo (d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, c. 3), -indipendentemente, quindi, dalla considerazione della tipologia oggettiva dei rifiuti prodotti (urbani o speciali) e, per di più, del potere di assimilazione spettante all’Ente locale, – e, per il restante, che, ai fini della tassazione, «non rileva il collegamento funzionale con l’area produttiva, destinata alla lavorazione industriale, delle aree destinate all’immagazzinamento dei prodotti finiti, come di tutte le altre aree di uno stabilimento
industriale, tra cui quelle adibite a parcheggio, a mensa e ad uffici, non essendo stato previsto tale collegamento funzionale fra aree come causa di esclusione dalla tassazione» (così Cass., 5 maggio 2010, n. 10813; Cass., 4 dicembre 2009, n. 25573; Cass., 30 luglio 2009, n. 17724; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19461);
Questa Corte ha, ancora, precisato che lo stabilire se determinati locali di uno stesso edificio, benché destinati ad uffici, depositi, mostre ecc. e non propriamente all’attività produttiva, siano parimenti idonei a produrre rifiuti speciali, costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito (Cass., 22 dicembre 2016, n. 26725; Cass., 11 agosto 2004, n. 15517; Cass., 17 febbraio 1996, n. 1242); ed ha rimarcato che il d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, c. 3, con riferimento alla nozione di superficie «ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi», va interpretato nel senso che l’esclusione dalla tassa riguarda la sola «parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti speciali» (Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 4 aprile 2012, n. 5377; v., altresì, Cass., 24 luglio 2014, n. 16858).
11.2. Orbene in disparte la considerazione che non risulta che la società contribuente abbia adempiuto agli oneri dichiarativi ‘a monte’, non va sottaciuto che il ragionamento dei giudici di merito -i quali hanno ritenuto non decisiva ai chiesti fini la documentazione prodotta – si appalesa corretta in diritto posto che il registro di carico e scarico ed i prodotti Modelli unici di dichiarazione, cd. MUD non hanno valore di ‘prova legale’ e , peraltro, i giudici di appello hanno posto l’accento sulla mancata produzione dei ‘contratti’ (questione, quest’ultima, sulla quale parte ricorrente nulla ha osservato).
Invero i MUD ed i registri di carico-scarico non sono sufficienti, ai fini dell’esclusione dalla assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi agli urbani, ‘dovendo la società fornire la prova di avere provveduto al loro effettivo smaltimento mediante ditte specializzate,
producendo copia dei relativi contratti e/o delle relative fatture, in quanto ratio dell’esclusione della imposta, in tale caso, è di evitare una indebita duplicazione di costi in capo ai soggetti che producono tali rifiuti e che sono tenute a pagare imprese specializzate per il loro smaltimento in quantità maggiori di quelle previste dalla deliberazione comunale (cfr. Cass. n. 10812/2016; sull’insufficienza della sola produzione documentale dei MUD cfr. anche Cass. n. 15481/2019; vedi anche Cass. 19888/2024).
11.3. Evidente appare che, in ogni caso, non è ravvisabile nel caso in esame la lamentata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ve si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione. (Cass. Sez. U., 30/09/2020, n. 20867, Rv. 659037 – 02).
Alla luce di tali principi nessuna violazione dell’art. 116 c.p.c. appare configurabile nella fattispecie in esame, avendo i giudici deciso nell’ambito dei propri poteri discrezionali in punto di valutazione della prova.
Né è ravvisabile alcuna violazione del 115 c.p.c., ma la parte pone mere questioni che attengono alla valutazione delle prove.
Peraltro come è stato già precisato da questa Corte, la ‘non contestazione’, assurta dopo la novellazione dell’art. 115 cod. proc. civ. (da parte dell’art. 45, comma 14, della Legge 18 giugno 2009 n. 69), a principio generale del processo, e come tale suscettibile di essere applicato anche nel giudizio tributario, seppure al netto della specificità dettata dalla non disponibilità dei diritti controversi nel processo de quo, concerne esclusivamente il piano (probatorio) dell’acquisizione del fatto non contestato, ove il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo; inoltre, va altresì considerato che il principio di non contestazione, applicabile anche al processo tributario, trova qui, comunque, un limite strutturale insito nel fatto che l’avviso di accertamento (o di rettifica) non è l’atto introduttivo del processo, quanto piuttosto l’oggetto (immediato), per lo meno nei casi in cui venga in questione la pretesa fiscale in esso riportata, sicché la cognizione del giudice è limitata dai profili che siano stati contestati col ricorso, e anche laddove, in base all’art. 23 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, l’attenzione sia rivolta alle difese dell’amministrazione pubblica resistente, e si intenda sottolineare che la parte resistente deve all’atto della costituzione in giudizio esporre «le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente», indicando «le prove di cui intende valersi» e proponendo «altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio», non per questo può trascurarsi che l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quale i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da quanto ritenuto dal contribuente; ne consegue che l’onere di completezza della linea di difesa, che in concreto si desume dal suddetto art. 23, per quanto interpretato in coerenza col principio di non contestazione oggi desumibile dall’art. 115 cod. proc. civ., non può essere considerato come base per affermare esistente, in capo all’amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a
quanto già dedotto nell’atto impositivo (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 6 febbraio 2015, n. 2196; Cass., Sez. 5^, 18 maggio 2018, n. 12287; Cass., Sez. 5^, 23 luglio 2019, n. 19806; Cass., Sez. 5^, 13 ottobre 2020, n. 22015; Cass., Sez. 5^, 22 giugno 2021, n. 17698; Cass., Sez. 5^, 7 dicembre 2022, n. 36028; Cass., Sez. 5^, 27 dicembre 2022, n. 37844).
Peraltro, la censura si appalesa non autosufficiente atteso che la ricorrente non allega, in modo pertinente ed adeguato, da quali dati processuali emergeva che il contenuto dei suddetti documenti fosse non contestato.
Parimenti privo di pregio alcuno è il quinto motivo posto che la parte, del tutto infondatamente, si duole della mancata considerazione di circostanze (il tenore dell’avviso di liquidazione TARI in data 2014) e precedenti relativi ad altre annualità, del tutto irrilevanti ai fini che occupano. Del resto con riferimento (proprio) alla disciplina dell’imposizione correlata alla produzione di rifiuti, questa Corte ha ripetutamente rilevato che l’accertamento relativo allo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali – così come del resto la stessa produzione di detti rifiuti – integra elemento di fattispecie che non ha connotazione di durevolezza in quanto suscettibile di modifiche, e variazioni, dall’uno all’altro periodo di imposta (v., in tema di Tari, Cass., 7 luglio 2022, n. 21490; v. altresì, in tema di Tares, Cass., 15 novembre 2024, n. 29538; in tema di TARSU, Cass., 30 marzo 2023, n. n. 8990; Cass., 7 luglio 2022, n. 21555; Cass., 29 luglio 2021, n. 21680; Cass., 1 ottobre 2020, n. 20969; Cass., 12 dicembre 2019, n. 32741).
La piena autonomia dei periodi impositivi rende, infine, del tutto ininfluente la cennata questione dedotta circa l’impugnazione per errore revocatorio della sentenza.
Il sesto motivo è inammissibile.
13.1. La società contribuente contesta la ricostruzione in fatto dei giudici di merito i quali hanno ritenuto che non vi era prova di quanto
dedotto in ordine alla distanza dei punti di raccolta, precisando, in particolare, che la parte resistente aveva contestato quanto dedotto dalla contribuente la quale, a sua volta, non aveva fornito nessun riscontro probatorio a sostegno alla suddetta alle gazione ‘ non essendo state versate in atti le planimetrie, o l’aerofotogrammetria e tantomeno la documentazione concernente l’effettivo piano in raccolta a mezzo cassonetti attuato nel Comune di Caserta che certamente nelle disponibilità anche dei contribuenti (anche eventualmente mediante accesso in atti) ‘.
13.2. Invero la causa di riduzione correlata alla distanza dell’immobile dai cassonetti di raccolta doveva anch’essa essere dimostrata dalla parte contribuente che tale causa aveva eccepito.
A tacere di ulteriori considerazioni, i giudici di appello hanno affermato che via era stata una specifica contestazione sul punto da parte del concessionario, e tale argomentazione non è stata in alcun modo scalfita dalle censure della società ricorrente.
Anche il settimo motivo è privo di fondamento.
14.1. Osserva questo Collegio che i compensi sono stati liquidati in favore della parte vittoriosa in misura inferiore ai valori medi in relazione allo scaglione di riferimento -non contestato ‘fino ad € 26.000,00 – per tre fasi (di studio, introduttiva e decisionale) per complessivi euro 2.500,00.
Per le tre fasi liquidate erano previsti i seguenti valori medi: € 1.080,00 (fase studio); € 605,00 (fase introduttiva); € 1.350,00 (fase decisionale), per complessivi euro € 3.035,00, sicchè le spese di lite sono state liquidate correttamente.
Deve precisarsi, invero, che la tardività della memoria di costituzione non ha rilevanza alcuna ai fini della spettanza delle relative voci tariffarie inerenti lo studio della controversia e la redazione dell’atto di costituzione (rilevando la questione solo dal punto di vista processuale, ai fini della delimitazione del thema decidendum ) mentre la fase decisionale andava, comunque, liquidata alla stregua
del condivisibile principio di diritto per cui in tema di liquidazione delle spese di lite, qualora non siano state depositate le comparse conclusionali e le memorie di replica, spetta comunque il riconoscimento dei compensi per la fase decisionale, in quanto essa, ai sensi dell’art. 4, comma 5, lett. d) del d.m. n. 55 del 2014, ricomprende un’ampia serie di attività, tra cui la precisazione delle conclusioni e l’esame del provvedimento conclusivo del giudizio. (Cass. Sez. 6, 20/02/2023, n. 5289, Rv. 667062 – 01).
Conseguentemente il ricorso deve essere rigettato.
15.1. Nulla va disposto in ordine alle spese della presente fase processuale stante la mancata costituzione della RAGIONE_SOCIALE
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data