Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14773 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14773 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/06/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
– SEZIONE TRIBUTARIA –
OGGETTO
composta dai seguenti magistrati:
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere – rel.-
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 23/01/2025
TARES
ha deliberato di pronunciare la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1410/2018 del ruolo generale, proposto
DA
COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa, in ragione di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE.
– RICORRENTE –
CONTRO
il COMUNE DI COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE, in persona del Sindaco pro tempore , con sede in INDIRIZZO
– INTIMATO – per la cassazione della sentenza n. 2196/18/2017 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 18 maggio 2017, non notificata.
UDITA la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio celebratasi in data 23 gennaio 2025. Numero sezionale 444/2025 Numero di raccolta generale 14773/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è l’avviso di accertamento in atti con cui il Comune di Sondrio liquidò il saldo della Tares per l’anno d’imposta 2013 nella misura di 267,00 €.
La suindicata Commissione respinse l’appello proposto dalla contribuente avverso la sentenza n. 166/2/2015 della Commissione tributaria provinciale di Sondrio, ritenendo che:
-nonostante i dubbi circa la destinataria dell’avviso, in qualche modo imputabili alla ricorrente (per non aver presentato la denuncia di variazione, né volturato le utenze ed aver provveduto al pagamento dell’acconto della Tares con modello F24 intestato alla defunta madre) l’avviso dovesse essere certamente riferibile alla contribuente in proprio, in quanto « l’atto non indica la contribuente quale erede di. Indica, invece, la contribuente e sotto l’indicazione ‘erede di NOME» (così nella impugnata sentenza);
-la sottoscrizione autografa dell’avviso fosse stata sostituita ai sensi dell’art. 1, comma 87, della legge n. 549/1995, dalla indicazione del funzionario responsabile e, segnatamente, del nominativo del dirigente del settore finanziario del Comune;
non fosse stata contestata la mancanza di delega in capo all’AIPA (concessionaria della riscossione del Comune di Sondrio), quanto i sui poteri di curare « anche nel merito la fondatezza della pretesa » (così nella sentenza impugnata), osservando, quindi, nella specie, che il rilievo secondo il quale il concessionario era stato indicato quale soggetto presso il quale depositare la documentazione per eventuali riesami e modifiche, dimostrava
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soltanto che l’AIPA era abilitata alla ricezione degli atti, non anche alla decisione su eventuali istanze di revisione; Numero di raccolta generale 14773/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
-la notifica dell’avviso fosse avvenuta in modo regolare presso lo studio di lavoro della contribuente e ritirata da un proprio dipendente, come tale da considerarsi certamente non inesistente e, comunque, sanata ai sensi dell’art. 156 c.p.c. per effetto dell’impugnazione dell’atto notificato;
quanto al merito della pretesa, la contribuente, in violazione dell’art. 62 e 64 d.lgs. n. 507/1993, non avesse mai dichiarato variazioni circa l’occupazione dei locali la loro inutilizzabilità.
Avverso tale pronuncia NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, notificandolo in data 19 dicembre 2017, formulando sette motivi d’impugnazione.
Il Comune di Sondrio è restato intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va premesso che l’intera impostazione del ricorso in esame si contraddistingue per la logica volta a considerare l’impugnazione in oggetto come una forma di terzo grado di giudizio di merito, mascherando, sotto il prescelto canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la riproposizione di rilievi che coinvolgono questioni di natura fattuale, come tali inammissibili nella presente sede, così disvelando un uso improprio del parametro della violazione di legge.
1.1. Ciò premesso, si procede all’esame congiunto dei primi due motivi, siccome connessi in relazione al tema dell’identificazione del soggetto destinatario dell’avviso e, poi, singolarmente, all’esame delle altre censure.
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 14, comma 5, d.l. n. 201/2011, convertito dalla legge n. 214/2011, e 5 del Regolamento Tares n. 48/2014 del Comune di Sondrio. Numero sezionale 444/2025 Numero di raccolta generale 14773/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
In sintesi, la contribuente ha sostenuto che l’avviso impugnato, concernente la Tares per l’anno di imposta 2013, fosse stato emesso nei confronti di NOME COGNOME, madre defunta (il 20 settembre 2008) della ricorrente (come comunicato alla concessionaria AIPA con raccomandata del 24 luglio 2014), la quale non occupava il bene (disabitato ed in stato di totale abbandono) sin dal lontano anno 1997, come desumibile anche da una serie di elementi (atto emesso senza applicazione di sanzioni, inviti al pagamento della tassa inoltrati alla de cuius , successiva iscrizione a ruolo delle somme a nome della ricorrente quale obbligata in solido della de cuius ), con ciò, quindi, lamentando l’erronea individuazione del soggetto passivo dell’imposta.
2.1. Con la seconda censura la contribuente ha dedotto, con riferimento al canone di all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 14, comma 5, d.l. n. 201/2011, convertito dalla legge n. 214/2011, e 25, 27, 29 e 33, comma 2, del Regolamento Tares del Comune di Sondrio, assumendo che l’ente territoriale aveva tenuto un comportamento contrario allo spirito di leale collaborazione tra fisco e cittadini, formulando una serie di eccezioni non pertinenti con l’oggetto del contendere circa l’omessa presentazione della dichiarazione di occupazione dei locali da parte della ricorrente.
2.2. Detti motivi si palesano inammissibili.
La Commissione regionale -giova ripeterlo -ha affermato che « l’atto non indica la contribuente quale erede di. Indica, invece,
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la contribuente in proprio e sotto l’indicazione ‘erede di della NOME», aggiungendo che «In ogni caso il riferimento agli immobili in proprietà e la mancata indicazione della qualità (avviso a NOME quale erede di NOME), inducono a ritenere certa la riferibilità in proprio all’attuale contribuente» (così nella sentenza impugnata). Numero di raccolta generale 14773/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
Con detta valutazione il Giudice d’appello ha indubbiamente espresso un apprezzamento di merito sul soggetto destinatario dell’avviso impugnato giudizio, con giudizio fattuale ritenuto idoneo a superare gli altri elementi dedotti dalla contribuente, reputando che l’indicazione contenuta nell’atto non lasciasse dubbi sulla riferibilità dell’avviso alla ricorrente in proprio, vale a dire per un debito proprio e non della de cuius .
Il primo motivo si oppone frontalmente a tale accertamento fattuale, senza contrastarlo con un appropriato canone censorio, ma utilizzando irritualmente il parametro della violazione di legge, ove si consideri che la censura si sviluppa lungo l’inammissibile prospettiva di una diversa interpretazione degli elementi probatori acquisiti agli atti.
Nonostante la sua predetta, apparente, formulazione, dunque, la censura, nella sua concretezza, mira a conseguire una rivalutazione dei fatti storici, che risulta preclusa in sede di legittimità (cfr., su tale principio, tra le tante, Cass., n. 7253/2023; Cass. n. 5987/2021; Cass. n. 34476/2019 Cass. n. 8758/2017).
Sulla scorta della predetta valutazione di merito operata dalla Commissione, la doglianza si dimostra, quindi, infondata sotto il profilo della dedotta violazione di legge, avendo la Commissione ritenuto soggetto passivo della tassa la ricorrente, quale proprietaria ed occupante il bene, in termini coerenti con la previsione dell’art. 14, comma 5, d.l. n. 201/2011, erroneamente invocata dalla difesa della contribuente, avendo il Giudice regionale
escluso -come detto che l’atto (relativo all’anno di imposta 2013) fosse stato diretto alla madre della ricorrente deceduta nell’anno 2008. Numero sezionale 444/2025 Numero di raccolta generale 14773/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
2.3. Nella valutazione che precede resta assorbito l’esame del secondo motivo nella parte in cui è stata dedotta la violazione dell’art. 14 d.l. n. 201/2011, con riguardo all’individuazione del soggetto passivo d’imposta.
La dedotta violazione delle disposizioni del regolamento comunale, di cui non è stato rappresentato il relativo contenuto, risulta, invece, inammissibile per difetto di autosufficienza del motivo.
Difatti, qualora con il ricorso per cassazione si sollevino censure che comportino l’esame regolamenti comunali, integranti norme giuridiche secondarie sottratte all’operatività del principio iura novit curia” , è necessario che il testo di tali atti sia interamente trascritto o almeno riassunto e che siano, inoltre, dedotti i criteri di ermeneutica asseritamente violati, con l’indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza, in quanto l’interpretazione dell’atto amministrativo costituisce un accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito (cfr., sul principio, tra le tante, Cass. n. 1951/2022 e la giurisprudenza ivi citata).
La censura in esame è priva di tali requisiti, caratterizzandosi, invece, per la generica doglianza circa un asserito comportamento contrario dell’ente rispetto ai canoni di leale collaborazione tra il fisco ed il contribuente in ragione (ancora) del fatto che l’avviso era stato emesso «in capo alla de cuius » (v. pagina n. 19 del ricorso), circostanza questa esclusa dall’accertamento fattuale operato dal
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Giudice regionale, nonché in base ad eccezioni reputate dall’istante inammissibili, in termini però esclusi dalla Commissione. Numero di raccolta generale 14773/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
Con la terza ragione di contestazione l’istante ha denunciato, a mente dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 1, comma 87, della legge n. 549/1995, assumendo che l’indicazione del nominativo del dirigente del settore finanziario del Comune non equivale a sottoscrizione autografa dell’avviso di accertamento a mente della citata disposizione e che era stato eccepito che l’avviso di accertamento impugnato era radicalmente inesistente, in considerazione dell’omessa sottoscrizione dello stesso in firma autografa o digitale o in una delle altre forme espressamente previste dal dettato normativo da parte del funzionario responsabile del Comune di Sondrio.
3.1. Tale motivo risulta, per un verso, inammissibile ed in ogni caso infondato.
Sotto il primo profilo, la censura, anch’essa caratterizzata da elementi fattuali, non è stata accompagnata, in violazione del canone di autosufficienza, dalla trascrizione e/o riassunto nel ricorso del contenuto dell’avviso impugnato, insufficiente risultando il suo deposito in atti, occorrendo invece che tale onere sia accompagnato da un’attività assertiva al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio esclusivamente in base al ricorso medesimo, dovendosi, pertanto, assolvere al duplice onere imposto dall’art. 366, primo comma, num. 6., c.p.c. di produrre agli atti il documento contestato e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso (così, tra le tante, Cass. n. 18387/2023, Cass. n. 17840/2023 e la varia giurisprudenza ivi indicata)
3.2. Allo stesso modo, si presenta inammissibile nella parte in cui ripropone, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., questioni di mero fatto concernente la pretesa difformità dell’avviso prodotto dal Comune di Sondrio rispetto a quello notificato alla contribuente. Numero sezionale 444/2025 Numero di raccolta generale 14773/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
3.3. Sul piano dei principi, poi, la valutazione del Giudice regionale risulta conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di tributi regionali e locali, qualora l’atto di liquidazione o di accertamento sia prodotto mediante sistemi informativi automatizzati, la sottoscrizione di esso può essere legittimamente sostituita, ai sensi dell’art. 1, comma 87, della legge n. 549/1995, dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, individuato da apposita determina dirigenziale, non essendo stata abrogata la citata disposizione, considerata norma speciale che conserva la sua efficacia (cfr., anche da ultimo, tra le tante, Cass. 11045/2024; Cass. n. 29820/2021; Cass. n. 12759/2019; Cass. n. 20628/2017).
Con il quarto motivo la ricorrente ha lamentato, si sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 14, comma 36, d.l. n. 201/2011, che demanda alla Giunta comunale di designare il funzionario responsabile del tributo, ponendo in rilievo che nella fattispecie in rassegna l’AIPA aveva emesso e notificato l’atto impugnato « in surroga del Comune di Sondrio» (v. pagina n. 22 del ricorso), laddove « non era legittimata a ricevere istanze di annullamento per autotutela, né tanto meno a deciderle nel merito, essendo tali prerogative per espressa disposizione dell’art. 14, comma 46, d.l. n. 201/2011 di esclusiva competenza del Comune di Sondrio » (v. pagina n. 23 del ricorso).
4.1. Anche tale motivo non può ricevere seguito.
Va premesso che non ha costituito oggetto di impugnazione la valutazione del Giudice regionale nella parte in cui ha affermato che «La parte non sembra lamentare il difetto di delega da parte del Comune al concessionario della riscossione » (così nella sentenza impugnata). Numero di raccolta generale 14773/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
L’art. 14, comma 36 , d.l. n. 201/2011 è stato evocato dalla difesa della ricorrente in termini non conferenti, giacchè il comma 45 del medesimo articolo prevede che «Resta ferma l’applicazione dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.» e quindi, con essa, la possibilità per i comuni di affidare a terzi, l’accertamento e la riscossione dei tributi.
Non si ha, quindi, surroga di un potere amministrativo, ma affidamento di un servizio, rispetto al quale, nella fattispecie in esame, per come accertato in punto di fatto dalla Commissione regionale, le attività di interlocuzione con la contribuente dalla medesima indicati nel ricorso (richiesta di informazioni, deposito di documentazione) sono risultate funzionali all’avviso di accertamento, il che vale a smentire la dedotta attività in surroga dell’ente territoriale e l’asserita violazione di legge.
Risulta palesemente infondata la quinta doglianza con la quale la ricorrente ha eccepito, con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., assumendo la nullità insanabile della notifica dell’avviso impugnato per essere stato indirizzata presso lo studio dell’istante e ritirato da una sua dipendente legittimata a ricevere atti dell’ufficio e non anche quelli personali della contribuente.
Risulta, infatti, consolidato il principio secondo cui il luogo in cui la notificazione del ricorso viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicché i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun
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collegamento col destinatario (circostanza questa, peraltro, con tutta evidenza, non ricorrente nella specie), ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile per raggiungimento dello scopo, a seguito dell’impugnazione della parte intimata (cfr. sul principio, tra le tante, anche da ultimo, Cass. n. 26544/2024). Data pubblicazione 02/06/2025
6. Pure destituita di fondamento è la sesta censura con la quale la ricorrente ha denunciato, a mente dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 60, 62 e 64 d.lgs. n. 507/1993 e degli artt. 14 d.l. n. 201/2011 e 18 della legge n. 241/1990, sostenendo che il Comune fosse ben consapevole che la contribuente NOME COGNOME NOME fosse deceduta sin dal 2008 e che nell’anno 1997 aveva trasferito la propria residenza da INDIRIZZOc a INDIRIZZO 146/F, laddove l’ente territoriale, senza procedere ad accertamenti anagrafici e di stato civile, aveva tassato il bene, nonostante lo stesso fosse disabitato, fatiscente ed inagibile, come tale in condizioni di non utilizzabilità e non produttivo di rifiuti, come pure era risultato dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà e dal consumo delle utenze, pari a zero, poi disattivate il 13 dicembre 2013.
6.1. Anche tale motivo non può essere accolto.
Il Giudice regionale ha sul punto disatteso l’impugnazione della contribuente, rilevando che la contribuente « in violazione degli artt. 62 e 64 del decreto legislativo n. 507/1993 non ha mai dichiarato variazioni dei locali o circostanze inerenti l’obiettiva inutilizzabilità dei locali» (così nella sentenza impugnata).
A dire dell’istante la denuncia di variazione, non presentata -per forza di cose – dalla madre defunta della ricorrente, non era esigibile e necessaria ai sensi dell’art. 33, comma 2, del
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Regolamento, stante il suo oggettivo impedimento (decesso avvenuto nell’anno 2008). Senonché, tale argomento, anche al netto di ogni valutazione sul requisito di autosufficienza del motivo (non essendo stato trascritto o riassunto nel ricorso il contenuto della citata disposizione regolamentare), non coglie nel segno, essendo il relativo onere esigibile, per l’anno di imposta che interessa (2013), dalla ricorrente e (certamente) non dalla madre defunta. Numero di raccolta generale 14773/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
E dunque, tralasciando le inammissibili digressioni di natura fattuale che caratterizzano (anche) il motivo rassegna, comunque non pertinenti in relazione al canone censorio prescelto, va dato conto che la valutazione della Commissione regionale risulta corretta in diritto, sol considerando che l’art. 62, comma 2, d.lgs. n. 507/1993 prevede che «Non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione».
In tale direzione, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, in materia di imposta sui rifiuti, pur operando il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, gravi sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare del diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile o, addirittura, l’esenzione costituendo questa un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale. È infatti posto a carico dell’interessato (oltre l’obbligo della denuncia, D. Lgs. n. 507del 1993, ex art. 70) un onere di informazione, al fine di
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ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (cfr., tra le tante, Cass. n. 12445/2021, che richiama Cass. nn. 4766 e 17703 del 2004, n. 13086/2006, 17599/2009, n. 775/2011; n. 1635/2015; n. 10787/ 2016; n. 21250/2017; Cass. n. 10009/2019). Numero di raccolta generale 14773/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
Pertanto, nella specie, la pacifica assenza di una dichiarazione volta a rappresentare le oggettive condizioni di non produttività dei rifiuti del bene, per non essere stato lo stesso utilizzato, ha giustificato la tassazione.
7. Con l’ultima doglianza la ricorrente si è doluta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., della violazione dell’art. 91 c.p.c. e della tariffa forense approvata con d.m. 55/2014, reputando esorbitante l’importo liquidato di 800,00 €, a fronte di un valore di causa pari a 297,00 €, senza fase cautelare e senza svolgimento di attività istruttoria, peraltro senza applicare la riduzione del 20% di cui all’art. 15, comma 2 -sexies , d.lgs. n. 546/1992.
7.1. La censura non è fondata.
Va in primo osservato che nel vigore del d.m. n. 55/2014 la quantificazione del compenso e delle spese processuali è espressione di un potere discrezionale riservato al giudice, e la liquidazione, se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, non è sottoposta al controllo di legittimità, fatto salvo l’obbligo di non attribuire somme simboliche, lesive del decorso professionale (cfr. Cass. Cass. n. 34842/2023, che richiama Cass. n. 28325/2022; Cass. n. 14198/2022; Cass. n. 19989/2021; Cass. n. 89/2021; Cass. n. 10343/2020).
Va poi evidenziato che in materia di spese processuali, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore, il D.M. n. 55/2014 non prevede alcun compenso specifico per la fase istruttoria, ma prevede un compenso unitario per la fase di trattazione che comprende anche quella istruttoria, con la conseguenza che nel computo dell’onorario deve essere compreso anche il compenso spettante per la fase istruttoria, a prescindere dal suo concreto svolgimento (cfr. Cass. n. 18723/2024, che richiama Cass. n. 8561/2023). Numero di raccolta generale 14773/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
Ora, senza considerare la fase cautelare, l’importo massimo liquidabile secondo la tariffa di cui al d.m. 55/2014, ratione temporis applicabile (precedente alla modifica di cui al d.m. 37/2018) era di 992,00 €, per cui, applicando la decurtazione prevista dall’art. 15, comma 2 -sexies d.lgs. n. 546/1992, per essere stato il Comune difeso da un proprio funzionario (cfr. Cass. n. 1019/2024), la somma massima liquidabile era pari a 811,12 €, superiore a quella liquidata dalla Commissione.
Alla stregua delle complessive ragioni che precedono il ricorso va complessivamente respinto.
Non vi è ragione di liquidare le spese del presente grado di giudizio, non avendo il Comune di Sondrio svolto difese.
Nondimeno, va dato atto che sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte della ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
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Dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte della ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso. Numero di raccolta generale 14773/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 gennaio 2025.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME