Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1912 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1912 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
Irpef
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24948/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, come da procura allegata al ricorso, elettivamente domiciliato presso lo studio degli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO NOME COGNOME in Roma alla INDIRIZZO;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2900/2016 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata in data 23/03/2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/11/2023 dal consigliere dott. NOME COGNOME.
Rilevato che:
La CTR della Campania rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME contro la sentenza della CTP di Napoli che aveva rigettato il suo ricorso proposto contro un avviso di accertamento, per maggior Irpef ed addizionali, relativamente all’anno di imposta 2007, avente ad oggetto in particolare il reddito da locazione di un immobile sito in Pozzuoli alla INDIRIZZO.
Contro tale decisione propone ricorso il contribuente, affidandosi a quattro motivi.
L ‘RAGIONE_SOCIALE
La causa è stata fissata per l’adunanza camerale del
resiste con controricorso. 29/11/2023.
Considerato che:
Con il primo motivo, proposto in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3) cod. proc. civ., il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, degli artt. 7-12 della l. n. 212 del 2000, dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 e dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE; lamenta, infatti, la mancata notifica e conoscenza del p.v.c. presupposto dall’avviso di accertamento che ad esso aveva fatto espresso richiamo, senza riprodurlo; la CTR avrebbe infatti errato nel ritenere tale p.v.c. consegnato validamente ad NOME COGNOME, figlia del ricorrente, assumendo che ella fosse delegata dal padre, malamente interpretando la delega prodotta dall’amministrazione finanziaria che espressamente era da questa riferita come proveniente dalla moglie COGNOME NOME e che del resto era accompagnata dai documenti di identità della figlia, delegata, e della moglie, delegante, ma non dal suo; deduce, inoltre, che l’atto impositivo doveva essere emanato nel rispetto dei sessanta giorni dalla notifica del p.v. c., ai sensi dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del
2000, secondo un necessario contraddittorio imposto anche dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE.
1.1. In tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, della legge 27/07/2000, n. 212, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione (Cass. n. 407/2015).
Giurisprudenza della Corte, in relazione alla previsione dell’art. 52, sesto comma, del d.P.R. 26/10/1972, n. 633 (richiamato, per le imposte sui redditi, dall’art. 33 del d.P.R. n. 600/1973), prescrive che il verbale di ispezione deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta , e che deve intendersi indicare semplicemente la persona addetta all’azienda o alla casa, non implicando un potere di rappresentanza in senso tecnico-giuridico in capo alla stessa (con la conseguenza, con riguardo alla fattispecie allora esaminata, che deve ritenersi rituale la sottoscrizione del processo verbale da parte della figlia convivente dei titolari della società oggetto dell’accertamento fiscale (Cass. n. 6351/2008; e Cass. n. 19505/2011).
1.2. Ciò premesso, il motivo è inammissibile, laddove, deducendo una violazione di legge, censura l’interpretazione del contenuto della delega in atti e induce in definitiva ad un controllo sulla logicità della motivazione adottata dalla CTR e laddove comunque non precisa la rilevanza del richiamo del p.v.c. nel contesto motivazionale dell’avviso, essendo previsto, come è noto, che l’allegazione sia alternativa alla riproduzione del suo contenuto essenziale (contenuto essenziale presente nell’avviso di acce rtamento depositato in atti, dal quale emergono gli elementi essenziali della contestazione, relativi alla
omessa dichiarazione dei redditi di locazione dell’immobile, individuato, con indicazione del locatario).
1.3. Sono altresì da respingere le due ulteriori doglianze contenute nel motivo.
In primo luogo, il ricorrente deduce la violazione del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, senza però indicare ove abbia proposto tale eccezione, la cui proposizione non emerge dal testo della sentenza.
La censura è quindi inammissibile.
In secondo luogo, si duole della non rilevata inosservanza del rilievo, pure proposto, dell’obbligo di attivazione del contraddittorio in forza dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
La censura non è fondata.
Occorre evidenziare che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, esclusivamente per i tributi armonizzati l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, mentre, per quelli non armonizzati , non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass., Sez . U., n. 24823/2015).
Infine, per questa Corte, in tema di procedimento tributario, l’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, codificato dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali della U.E., pur costituendo un diritto fondamentale del contribuente e principio fondamentale dell’ordinamento europeo, in quanto espressione del
diritto di difesa e finalizzato a consentire al contribuente di manifestare preventivamente il suo punto di vista in ordine agli elementi su cui l’Amministrazione intende fondare la propria decisione, non è assunto dalla giurisprudenza della CGUE in termini assoluti e formali, ma può soggiacere a restrizioni che rispondano, con criterio di effettività e proporzionalità, a obiettivi di interesse generale, sicché, nell’ambito tributario, non investe l’attività di indagine e di acquisizione di elementi probatori, anche testimoniali, svolta dall’Amministrazione fiscale (Cass. n. 14628/2020).
Con il secondo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione d ell’art. 6, comma 5, della l. n. 212 del 2000 , dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE, in quanto, sussistendo incertezz e su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione avrebbe dovuto invitare il contribuente a rendere i necessari chiarimenti.
2.1. Il motivo è infondato, poiché la disposizione invocata attiene all ‘ emissione della cartella ove sussistano incertezze su aspetti della dichiarazione mentre nel caso di specie si è in presenza di un avviso di accertamento emesso ai sensi dell’ar t. 41bis d.P.R. n. 600 del 1973 fondato su un p.v.c. della Guardia di Finanza.
Con il terzo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 e degli artt. 23, 34, 36, 37, 67 d.P.R. n. 131 del 1986 nonchè dell’art. 41 -bis d.P.R. n. 600 del 1973, dolendosi che l’avviso facesse riferimento a norme del t.u.i.r. nella numerazione previgente alla riforma del d.lgs. n. 344 del 2005, il che viziava l’accertamento sotto il profilo motivazionale.
3.1. Occorre premettere che, sebbene il ricorrente, nella rubrica del motivo, faccia riferimento alle disposizioni del d.P.R. n. 131 del 1986, testo unico sull’imposta di registro, non pertinenti al caso di specie, dal tenore complessivo del motivo e dalle argomentazioni successivamente esposte nel medesimo emerge che egli intenda fare riferimento alle disposizioni del d.P.R. n. 917 del 1986, testo unico RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, onde il motivo deve ritenersi comunque ammissibile.
3.2. Il motivo non è però fondato.
L’art. 42, secondo comma, del d.P.R. 29/09/1973, n. 600 richiede l’indicazione nell’avviso di accertamento non soltanto degli estremi del titolo e della pretesa impositiva, ma anche dei presupposti di fatto e RAGIONE_SOCIALE ragioni giuridiche che lo giustificano, al fine di porre il contribuente in condizione di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale e, in caso positivo, di contestare efficacemente l’a n ed il quantum debeatur . Tali elementi conoscitivi devono essere forniti non solo tempestivamente ( ab origine nel provvedimento) ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta all’interessato un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa (Cass. n. 16836/2014).
Nel caso di specie la CTR, con accertamento in fatto e motivazione logica, ha ritenuto che l’oggetto dell’accertamento fosse chiaro e tale errata indicazione non avesse determinato alcun pregiudizio alla facoltà difensiva del contribuente che infatti aveva contrastato le ragioni dell ‘ amministrazione, per nulla indotto in errore dalle norme richiamate.
Col quarto motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 41 -bis d.P.R. n. 600 del 1973, laddove la CTR ha ritenuto che, avendo l’ufficio provato l’esistenza del contratto di locazione, gravasse sul contribuente l’onere
di provare la sua risoluzione e che ciò non era avvenuto, avendo questi prodotto solo un atto privo di data certa; lamenta la ricorrente che non era stata prodotta una semplice lettera di disdetta ma un’attestazione dell’ufficio alloggi della NATO, soggett o equiparato ad una pubblica amministrazione.
4.1. Il motivo non è fondato.
Questa Corte ha reiteratamente ribadito che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura se il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, ossia attribuendo l’ onus probandi ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni, ma non quando abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. n. 19064/2006; Cass. n. 15107/2013; Cass. n. 4241/2018; Cass. n. 26769/2018; Cass. n. 33915/2019), con motivazione sindacabile, in sede di legittimità, entro i limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ., ratione temporis applicabile.
Nel caso di specie, i giudici di appello hanno correttamente applicato il riparto degli oneri probatori ritenendo che, avendo l’ufficio provato l’esistenza del contratto , gravasse sulla parte l’onere di provarne la risoluzione mentre attiene evidentemente al merito la valutazione del documento prodotto a tale ultimo fine, non sindacabile sub specie di violazione dell’art. 2697 cod. civ. ed ostando la sua espressa considerazione da parte della CTR anche ad una riqualificazione del motivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ.
Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese liquidate come in dispositivo.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, spese che liquida in euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, 29 novembre 2023.