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Onere della prova: spetta al contribuente dimostrarlo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1912/2024, ha respinto il ricorso di un contribuente contro un avviso di accertamento per redditi da locazione non dichiarati. Il punto centrale della decisione riguarda l’onere della prova: una volta che l’Agenzia delle Entrate dimostra l’esistenza di un contratto di locazione, spetta al contribuente provare l’avvenuta risoluzione dello stesso. La Corte ha ritenuto irrilevanti le prove fornite dal ricorrente e ha confermato la correttezza della ripartizione dell’onere probatorio operata dai giudici di merito.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della prova: chi deve dimostrare la fine di un affitto?

Nel contenzioso tributario, la questione dell’onere della prova è spesso decisiva per l’esito della controversia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale in materia di accertamenti su redditi da locazione: una volta che il Fisco dimostra l’esistenza di un contratto, spetta al contribuente provare che tale contratto si è concluso. Vediamo nel dettaglio i fatti e le ragioni di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: L’Accertamento per Redditi da Locazione

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un contribuente per maggiori imposte (IRPEF e addizionali) relative all’anno 2007. L’amministrazione finanziaria contestava l’omessa dichiarazione dei redditi derivanti dalla locazione di un immobile. Il contribuente aveva impugnato l’atto, ma i suoi ricorsi erano stati respinti sia in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale sia in appello dalla Commissione Tributaria Regionale. Giunto dinanzi alla Corte di Cassazione, il contribuente ha articolato la sua difesa su quattro motivi principali, tra cui la violazione delle norme sulla notifica degli atti presupposti, l’omissione del contraddittorio preventivo e, soprattutto, l’errata applicazione delle regole sull’onere della prova.

I Motivi del Ricorso e le Obiezioni del Contribuente

Il ricorrente lamentava diverse presunte irregolarità procedurali:

1. Mancata conoscenza del verbale presupposto: Sosteneva di non aver mai ricevuto il processo verbale di constatazione (p.v.c.) richiamato nell’avviso e che la consegna a sua figlia fosse invalida.
2. Violazione del contraddittorio: Denunciava la mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale, un diritto fondamentale secondo la normativa europea.
3. Vizio di motivazione: Contestava che l’avviso facesse riferimento a norme non più in vigore, viziando così la motivazione dell’atto.
4. Errata ripartizione dell’onere della prova: Affermava che la Commissione Tributaria Regionale avesse sbagliato nel porre a suo carico la prova della risoluzione del contratto di locazione, nonostante avesse prodotto un’attestazione dell’ufficio alloggi della NATO che, a suo dire, dimostrava la cessazione del rapporto.

Onere della prova e decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo chiarimenti su tutti i punti sollevati. Sulle questioni procedurali, ha ritenuto le censure inammissibili o infondate. Ad esempio, ha specificato che l’obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo non si applica ai tributi “non armonizzati” come l’IRPEF, salvo casi specifici non ricorrenti nella fattispecie. Allo stesso modo, l’errore nella citazione delle norme è stato giudicato irrilevante, poiché non aveva impedito al contribuente di comprendere la pretesa e difendersi adeguatamente.

Il fulcro della decisione, tuttavia, risiede nell’analisi del quarto motivo, quello relativo all’onere della prova.

Le motivazioni

La Corte ha ribadito un principio consolidato, basato sull’articolo 2697 del Codice Civile. Secondo tale principio, chi afferma l’esistenza di un fatto (in questo caso, l’Agenzia delle Entrate che provava l’esistenza di un contratto di locazione) deve darne la prova. Chi, invece, eccepisce che quel fatto si è modificato o estinto (il contribuente che sosteneva la risoluzione del contratto) ha l’onere di provare tale circostanza.

Nel caso specifico, i giudici di appello avevano correttamente applicato questa regola. Avendo l’ufficio finanziario dimostrato l’esistenza del rapporto contrattuale, l’onere di provare la sua successiva risoluzione gravava interamente sul contribuente. La Corte di Cassazione ha sottolineato che la valutazione del documento prodotto dal contribuente (l’attestazione della NATO) rientra nel merito del giudizio e non è sindacabile in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione qui non riscontrati. I giudici di merito avevano evidentemente ritenuto tale documento non sufficiente a fornire una prova certa della risoluzione del contratto.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma l’importanza per il contribuente di conservare e produrre in giudizio prove documentali chiare e inequivocabili per dimostrare fatti a proprio favore, come la cessazione di un contratto di locazione. Non è sufficiente contestare genericamente la pretesa del Fisco; è necessario fornire la prova contraria. La decisione chiarisce che il riparto dell’onere della prova nel processo tributario segue le regole civilistiche generali: all’amministrazione spetta provare i fatti costitutivi della pretesa, mentre al contribuente spetta provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi che eccepisce.

A chi spetta l’onere della prova della risoluzione di un contratto di locazione in un contenzioso tributario?
Secondo la sentenza, una volta che l’amministrazione finanziaria ha provato l’esistenza del contratto di locazione, l’onere di dimostrare la sua successiva risoluzione o cessazione spetta interamente al contribuente.

È sempre obbligatorio il contraddittorio preventivo prima di emettere un avviso di accertamento per l’IRPEF?
No. La Corte chiarisce che per i tributi “non armonizzati” a livello europeo, come l’IRPEF, l’obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale non sussiste, se non nei casi in cui sia specificamente previsto dalla legge.

Un errore formale, come citare una norma con una numerazione vecchia, rende nullo un avviso di accertamento?
No, non necessariamente. Se l’errore non pregiudica la comprensibilità della pretesa tributaria e non limita concretamente il diritto di difesa del contribuente, l’atto rimane valido. Nel caso di specie, l’oggetto dell’accertamento era chiaro nonostante l’errata indicazione normativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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