Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 35077 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 35077 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
Rimborso ritenute IRPEF – Indennità di previdenza – Ex dipendenti ESSO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9963/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente principale –
contro
COGNOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale rilasciata in calce al ricorso incidentale , dall’ Avv. NOME COGNOME con il quale elettivamente domicilia presso il proprio studio, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 5511/17/2017, depositata in data 26 settembre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME ex dirigente Esso, proponeva ricorso avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria
alla propria istanza di rimborso delle ritenute IRPEF operate nell’anno 2005 dal sostituto d’imposta (Cassa di Previdenza Lavoratori Exxomobil). Il ricorrente sosteneva che l’ imposta sarebbe stata applicata anche sulla quota (Euro 83.162,00) dell’indennità corrispondente agli interessi netti sul rendimento maturato, quota che andrebbe tassata tuttalpiù nella minore misura del 12.50% in base alla sentenza a Sezioni Unite della Cassazione n. 13642/2011. Il contribuente sosteneva di aver provato il proprio diritto al rimborso mediante il deposito: a) della certificazione CUD del sostituto d’imposta relativa al 2005; b) di un riepilogo degli importi corrisposti; c) di un prospetto di ricostruzione dei versamenti relativi al sottoconto aperto presso la Cassa di Previdenza Dirigenti Exxomobil. Concludeva, quindi, per la condanna dell’Ufficio alla restituzione di tutte le ritenute applicate sulla quota interessi o, in subordine, della minore somma risultante dall’applicazione dell’aliquota del 12,50%.
La CTP accoglieva in parte il ricorso condannando l’Agenzia al rimborso di Euro 17.065,00 in favore del contribuente, applicando alla componente interessi la minor aliquota del 12,50%.
Interposto gravame dall’Ufficio, si costituiva il contribuente chiedendo la riforma della sentenza di prime cure con l’accoglimento integrale della pretesa iniziale.
La CTR confermava la sentenza di primo grado ritenendo condivisibili le argomentazioni svolte dalla CTP e fornita la prova, da parte del ricorrente, degli impieghi finanziari dei contributi versati.
L’Ufficio ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il contribuente ha resistito con controricorso e spiegato impugnazione incidentale, affidata ad un motivo.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 12/12/2024.
Il contribuente ha depositato, in data 2 dicembre 2024, memoria ex art. 380bis1 cod. proc. civ..
Considerato che:
Motivi di ordine logicogiuridico impongono l’esame, in via prioritaria, del ricorso principale dell’Ufficio.
Con il primo strumento di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la «violazione del combinato disposto degli artt. 111, VI comma, Cost., 61 e 36, comma 2, n. 4), del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 132, II comma, n. 4), c.p.c., e 118 disp. att. c.p.c. per assenza o mera apparenza della motivazione in punto di prova dell’esatto valore dei ‘rendimenti’ assoggettati all’aliquota del 12,50%, in relazione all’art. 360, I comma, n. 4), c.p.c. ». Lamenta, in particolare, che la motivazione sarebbe ‘apparente’ ‘in punto di dimostrazione dell’avvenuta prova, ad opera del contribuente instante, della sussistenza e della consistenza dei ‘rendimenti’ asseritamente derivati dalla capitalizzazione dei contributi versati nel fondo di previdenza complemen tare’ (pag. 5 del ricorso).
Con il secondo motivo l’Ufficio deduce la «violazione/falsa applicazione dell’art. 2697, I comma, c.c., in combinato disposto con l’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e con la complessiva disciplina discendente dagli artt. 13, comma 9, del D.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, 3 del D.lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, nel testo modificato dall’art. 9, comma 1, lett. a), del D.lgs. 12 aprile 2001, n. 168, e 6 della L. 26 settembre 1985, n. 482, in relazione all’art. 360, I comma, n. 3), c.p.c.». La CTR avrebbe, invero, violato le norme che regolano l’onere della prova gravante sul contribuente che avanzi istanza di rimborso di maggiori imposte versate sui ‘rendimenti’ prodotti dalle somme accantonate nei fondi di previdenza complementare da soggetti iscritti a tali gestioni prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 124/1993. Richiama, quindi, la sentenza a Sezioni Unite di questa Corte, n. 13642/2011, e la giurisprudenza di legittimità successiva a mente della quale incombe sul contribuente l’onere di provare la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto di investimenti sui mercati di riferimento. Nella specie la CTR avrebbe erroneamente ritenuto
provata dal contribuente la natura ed entità dei rendimenti da assoggettare all’aliquota del 12,50%, sulla base di calcoli eseguiti dal contribuente stesso.
I motivi, da trattare congiuntamente, sono fondati.
4. Giova premettere che «in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124/1993, ad un fondo di previdenza complementare, aziendale, a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione, separata, di cui agli artt. 16, comma primo, lettera a) e 17 del D.P.R. n. 917/1986, solo per quanto riguarda la ‘sorte capitale’, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento, si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6 della L. n. 482/1985; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lettera a) e 17 del D.P.R. n. 917» (Cass. Sez. U. n. 13642/2011).
In sostanza, il rendimento cui applicare la ritenuta del 12,50% è quello netto ‘imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato’, la cui quantificazione deve essere compiuta dal giudice di merito sulla base di una congruente analisi giuridica della fattispecie concreta, che operi l’accertamento della natura e quantità del rendimento che sarebbe stato erogato a favore del contribuente, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) da parte del Fondo l’impiego sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego ( ex multis , Cass. 28 febbraio 2020, n. 5487).
In fattispecie analoghe a quella per cui è l’odierno giudizio questa Corte ha affermato che l’onere del contribuente di provare
quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati di riferimento, non può ritenersi assolto mediante il mero rinvio al conteggio proveniente dal datore di lavoro o dal fondo di previdenza, quando non contengano alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce ‘rendimento’, così da chiarire se si tratti effettivamente di incremento della quota individuale del fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (Cass. 20/03/2019, n. 7728).
Orbene, nella specie la CTR non ha fatto corretta applicazione dei principi appena enunciati.
Invero, il prospetto di calcolo eseguito dal contribuente non evidenzia affatto il rendimento conseguito in relazione al concreto impiego sul mercato, da parte del fondo, del capitale accantonato. Manca, invero, qualsiasi dimostrazione dell’effettivo inves timento dei capitali sul mercato finanziario e dei risultati ottenuti, dimostrazione che è a carico del contribuente che voglia avvalersi della ritenuta, più favorevole, pari al 12,50%.
La motivazione, infine, è meramente apparente nella parte in cui il giudice del gravame ha affermato che il contribuente aveva adempiuto il proprio onere probatorio, per tabulas , ma senza minimamente indicare i documenti dai quali desumere la sussistenza e la consistenza dei ‘rendimenti’ (in questi termini v. Cass. 24/05/2023, n. 14487).
L’accoglimento dei primi due motivi comporta l’assorbimento del terzo motivo di ricorso principale con il quale l’Ufficio lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, comma primo, c.p.c., e 2702 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3) e 4), per avere la CTR fondato il proprio convincimento esclusivamente sul prospetto redatto dal contribuente.
Con l’unico strumento di impugnazione il contribuente lamenta la «violazione dell’art. 111, VI comma, Cost. in relazione
agli artt. 3, 53 e 38 della Costituzione nonché violazione dell’art. 163 del dPR 917/1996 (‘Statuto del contribuente’) per erronea applicazione della doppia tassazione, oltre che violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in combinato con la compl essiva disciplina in materia di trattamento tributario delle forme pensionistiche complementari e dei capitali corrisposti in dipendenza di rendimenti liquidati da enti non commerciali quali la Cassa PrevidenzaFondo Pensioni in questione, di cui all’art. 13, comma 9, Dlgs n. 124/1993, all’art. 3 Dlgs n. 47/2000, come mod. dall’art. 9, comma 1, lett. a) Dlgs n. 168/2001 e all’art. 6 L. n. 482/1985, in relazione all’art. 360 I comma, n. 3 c.p.c. ». Eccepisce, in sostanza, l’erroneità della decisione dei giudici del merito, avendo in tal modo legittimato la doppia imposizione dei rendimenti, in violazione del divieto esistente in materia. Precisamente, solo i rendimenti riconosciuti ai sottoscrittori di prodotti assicurativi-finanziari (quali gli iscritti a Fondi Pensioni) possono essere tassati al 12,50% (secondo il decisum della Suprema Corte a Sezioni Unite del 2011), mentre, nella specie, la Cassa di Previdenza Esso è un ente non commerciale ‘nettista’ che liquida rendimenti netti. La componente interessi avrebbe, infatti, già scontato la tassazione del 12,50% a titolo definitivo ad opera degli emittenti i titoli sottoscritti. Il contribuente lamenta, infine, la temerarietà dell’azione e del comportamento dell’Ufficio, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ..
Il motivo , in disparte ogni considerazione sull’asserita violazione di una norma (art. 163) di un d.P.R. (n. 917/1996) inesistente ed addirittura indicato come Statuto del contribuente, è inammissibile per plurime ragioni, ciascuna sufficiente ex se a fondarne la relativa declaratoria.
7.1. Premesso che effettivamente il contribuente aveva interposto appello incidentale, non occorrendo all’uopo formule sacramentali né che lo stesso sia notificato (cfr. Cass. 24/06/2021, n. 18119, secondo cui è sufficiente che la volontà della parte di contestare il decisum di primo grado sia manifestata -nella forma e
nella sostanza -in modo non equivoco e che la richiesta di riforma della sentenza di prime cure sia contenuta, come avvenuto nella specie, nelle controdeduzioni da depositare nel termine ordinario di costituzione dell’appellato), in difetto di una pronunc ia da parte della CTR il contribuente avrebbe dovuto contestare il vizio di ‘omessa pronuncia’ essendo logicamente, prima che giuridicamente, non configurabile il vizio di violazione di legge (dedotto nella specie) in relazione ad una pronuncia non esistente.
7.2. Il motivo è, altresì, inammissibile per difetto di censura della sentenza di appello, che il ricorrente incidentale non indica nemmeno nell’esposizione della doglianza .
7.3. Il motivo è, infine, inammissibile sotto il profilo della asserita violazione dell’art. 2697 cod. civ., norma indicata solo nel titolo del motivo, ma completamente assente nella esposizione dello stesso.
7.3.1. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata non avesse assolto tale onere (Cass., 21/3/2022, n. 9055).
7.3.2. Peraltro, anche la selezione, tra gli indizi offerti dall’Amministrazione a dimostrazione delle pretese fiscali, di quelli reputati rilevanti rientra a pieno titolo nel meccanismo di operatività dell’art. 2729 cod. civ., il quale, nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza del giudice” (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell’art. 116 cod. proc. civ. a proposito della valutazione delle prove dirette), si articola nei due momenti valutativi della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, volta a scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e a conservare viceversa quelli che, presi singolarmente,
rivestono i caratteri della precisione e gravità, e della successiva valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, oltreché dell’accertamento della loro idoneità alla prova presuntiva se considerati in combinazione tra loro (c.d. convergenza del molteplice), essendo erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (da ultimo Cass., 21/03/2022, n. 9054; Cass. 05/04/2023, n. 9336; v. anche Cass., 09/03/2012 n. 3703).
7.3.3. Pertanto, come affermato da questa Corte, intanto può denunciarsi la violazione o falsa applicazione del ridetto art. 2729 cod. civ., in quanto il giudice di merito ne abbia contraddetto il disposto, affermando che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni ( rectius : fatti), che non siano gravi, precisi e concordanti, ovvero abbia fondato la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e abbia dunque sussunto erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non siano, invece, rispondenti a quei caratteri, competendo soltanto in tal caso alla Corte di cassazione controllare se la norma in esame sia stata applicata a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta o il giudice non sia incorso in errore nel considerare grave una presunzione che non lo sia sotto il profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi, al pari di quanto può accadere con riguardo al controllo della precisione e della concordanza (in questi termini, v. ex multis Cass., 21/03/2022, n. 9054).
7.3.4. Se questo è il presupposto della violazione o errata applicazione dell’art. 2729 cod. civ., la deduzione del vizio, come già sostenuto da questa Corte, non può che estrinsecarsi nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione dei motivi per i quali il ragionamento del giudice di merito sia irrispettoso dei paradigmi
della gravità, precisione e concordanza, risolvendosi altrimenti la critica al ragionamento presuntivo svolto, che si sostanzi nell’enunciazione di una diversa modalità della sua ricostruzione, nel suggerimento di un diverso apprezzamento della questio facti che si pone al di là della fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., atteso che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., 02/08/2016, n. 16056), e che la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/11/2013, n. 24679; Cass., 16/12/2011, n. 27197; Cass., 07/02/2004 n. 2357).
7.3.5. Nella specie, in assenza di qualsiasi argomentazione da parte del ricorrente incidentale, non è possibile sussumere il motivo in esame in una delle ipotesi sopra riportate.
In definitiva i primi due motivi del ricorso principale vanno accolti, assorbito il terzo; il ricorso incidentale va, invece, dichiarato inammissibile. S’impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado del Lazio, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo esame in relazione alle
censure accolte, nonché provveda alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio del giudizio innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo e motivato esame e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024.