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Onere della prova redditometro: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1854/2025, ha rigettato il ricorso di un contribuente contro un avviso di accertamento basato sul redditometro per l’acquisto di quote societarie. La Corte ha ribadito che l’onere della prova redditometro, una volta che l’Amministrazione Finanziaria dimostra la disponibilità di un bene indicativo di capacità contributiva, si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve fornire prove documentali concrete sulla provenienza non imponibile dei fondi utilizzati per l’acquisto, non essendo sufficienti mere affermazioni o scritture private prive dei requisiti di forma e sostanza.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Redditometro e Prova Contraria: la Cassazione Chiarisce l’Onere del Contribuente

L’ordinanza n. 1854/2025 della Corte di Cassazione ritorna su un tema cruciale del contenzioso tributario: l’onere della prova redditometro. Con una decisione che consolida un orientamento ormai granitico, i Giudici Supremi hanno chiarito che, una volta che il Fisco dimostra la disponibilità di un bene indicativo di una maggiore capacità contributiva, la palla passa al contribuente. Spetta a quest’ultimo, e non più all’Amministrazione, fornire la prova documentale che i fondi utilizzati per l’acquisto provengono da fonti non tassabili.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento ai fini IRPEF per l’anno d’imposta 2009. L’Agenzia delle Entrate, utilizzando lo strumento dell’accertamento sintetico (il cosiddetto redditometro), contestava a un contribuente un maggior reddito, desunto dall’acquisto di quote societarie. L’importo dell’investimento, secondo il Fisco, era sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati.

Il contribuente si opponeva all’accertamento, sostenendo che l’esborso finanziario per l’acquisto delle quote fosse avvenuto nell’anno precedente (2008) e non in quello oggetto di verifica. Tuttavia, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale respingevano le sue tesi, confermando la legittimità dell’operato dell’Agenzia. Di qui, il ricorso per Cassazione, fondato essenzialmente sulla violazione delle norme che regolano l’onere della prova redditometro.

La Questione Giuridica: Chi Deve Provare Cosa?

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, che disciplina l’accertamento sintetico. Secondo il ricorrente, l’Ufficio avrebbe dovuto provare non solo l’acquisto delle quote, ma anche l’effettivo esborso finanziario nell’anno contestato, considerandolo il “fatto noto” da cui far scaturire la presunzione di maggior reddito. In assenza di tale prova, l’onere non poteva ricadere su di lui.

La Corte di Cassazione, però, adotta una prospettiva differente, in linea con la sua giurisprudenza costante.

Le Motivazioni della Corte sull’Onere della Prova Redditometro

I Giudici hanno ribadito che il redditometro introduce una presunzione legale relativa. Questo significa che la legge stessa presume un maggior reddito dalla semplice disponibilità di determinati beni o da spese per incrementi patrimoniali (come l’acquisto di quote). Il “fatto noto” che l’Amministrazione Finanziaria deve provare è solo l’esistenza di questi elementi indicatori di capacità contributiva.

Una volta che il Fisco ha assolto a questo compito, l’onere della prova redditometro si inverte e passa interamente al contribuente. A questo punto, per superare la presunzione, il cittadino deve dimostrare, con prove documentali e circostanziate, che:
1. Il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
2. I fondi utilizzati per sostenere la spesa contestata derivano da redditi esenti, redditi già sottoposti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o da altre disponibilità non reddituali (es. donazioni, risparmi di anni precedenti).

Nel caso specifico, la Corte ha osservato che il contribuente non era riuscito a fornire una prova adeguata. Le scritture private prodotte, redatte dopo l’atto di acquisto e prive dei necessari requisiti di forma e sostanza, sono state giudicate insufficienti a dimostrare che il pagamento fosse avvenuto in un anno diverso. La Corte ha qualificato il ricorso come un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità.

Le Conclusioni

La decisione in commento rafforza un principio fondamentale: di fronte a un accertamento sintetico, il contribuente non può limitarsi a contestare genericamente la ricostruzione del Fisco. È necessario un ruolo attivo, supportato da documentazione idonea (come estratti di conti correnti, atti di donazione, etc.) a dimostrare in modo inequivocabile la provenienza delle somme utilizzate per la spesa che ha innescato l’accertamento. In assenza di una prova contraria solida e convincente, la presunzione legale del redditometro prevale, e l’accertamento viene confermato. Questa ordinanza serve da monito per i contribuenti sull’importanza di conservare una documentazione puntuale delle proprie movimentazioni finanziarie, specialmente quando si effettuano investimenti significativi.

In un accertamento basato sul redditometro, chi deve provare il maggior reddito?
L’Agenzia delle Entrate deve provare solo l’esistenza di un elemento indicativo di capacità di spesa (es. l’acquisto di quote societarie). Una volta provato questo, l’onere della prova si sposta sul contribuente, che deve dimostrare che il reddito presunto non esiste o che i fondi usati hanno un’origine non imponibile.

Come può un contribuente difendersi da un accertamento con redditometro?
Il contribuente deve fornire una prova documentale contraria. Deve dimostrare, ad esempio tramite estratti conto o altri documenti certi, che le somme utilizzate per la spesa derivano da redditi esenti, già tassati alla fonte, o da risparmi accumulati in anni precedenti e la cui disponibilità sia provata.

È sufficiente affermare che un pagamento è avvenuto in un anno diverso da quello contestato?
No. Secondo la Corte, non è sufficiente una mera affermazione. Il contribuente deve dimostrare adeguatamente tale circostanza. Nel caso di specie, le scritture private prodotte a tal fine sono state ritenute inidonee perché redatte dopo l’atto di acquisto e prive dei requisiti di forma e sostanza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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