Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8294 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8294 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/03/2025
Avviso di accertamento -Redditometro e sintetico -IPEF ed altro 2009
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2967/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresento e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME, sito in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
AGENZIA DELLE ENTRATE -Direzione centrale e Direzione Provinciale, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege .
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA SEZ. DISTACCATA BRESCIA, n. 2755/2017, depositata in data 19 giugno 2017.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate, nei confronti di NOME COGNOME cittadino serbo e titolare di un’attività in Serbia, emetteva l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE in relazione all’anno di imposta 2009, con il quale sinteticamente determinava, ai fini IRPEF e addizionale comunale, un reddito di euro 362.399,00 a fronte di un reddito dichiarato pari a zero, ai sensi dell’art. 38, quarto comma e ss. del d.P.R. n. 600/73, in virtù del possesso di beni indice e segnatamente: compravendita di due fabbricati ed operazioni export di capitale (finanziamento infruttifero soci).
Avverso l’avviso di accertamento, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Brescia; si costituiva l’Agenzia delle Entrate che chiedeva la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Brescia, con sentenza n. 35/2016, accoglieva il ricorso annullando l’atto impositivo, ritenendo provata la restituzione del finanziamento soci per € 358.500,00.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla C.t.r. della Lombardia; il contribuente si costituiva in giudizio chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 2755/2017, depositata il 19 giugno 2017, la C.t.r. accoglieva l’appello, ritenendo che il contribuente non avesse dato la prova dell’esistenza del credito socio per finanziamento infruttifero.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025.
Considerato che:
Con il primo motivo, così rubricato «violazione e/o errata applicazione degli artt. 38, quarto comma, d.P.r. 29 settembre 1973, n. 600 e art. 2697 cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.)», il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella
parte in cui, nella sentenza impugnata la C.t.r., in violazione dei principi relativi al riparto dell’onere della prova tra contribuente e Fisco, ha posto a carico del contribuente la dimostrazione che le documentate disponibilità finanziarie siano state utilizzate per sostenere le spese oggetto dell’ accertamento sintetico
1.2. Con il secondo motivo, così rubricato «art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.», il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata la C.t.r., non ha tenuto conto che il ricorrente, nel corso del procedimento di primo grado, aveva prodotto ulteriore documentazione atta a superare la presunzione di cui all’accertamento sintetico.
1.3. Con il terzo motivo, così rubricato «art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.» il contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata la C.t.r. ha omesso di pronunciarsi sul motivo, contenuto, sia nel ricorso introduttivo, sia in quello di costituzione in giudizio di appello, deducente l’illegittimità dell’irrogazione delle sanzioni, ex art. 5 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
2.1. All’esame delle censure risulta funzionale un excursus sullo strumento del «redditometro». Quest’ultimo collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione.
L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. 30 dicembre 1991, n. 413 e il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una
serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
2.2. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. n. 1980/2020, Cass. n. 10266/2019, Cass. n. 5544/2019, Cass. n. 8933/2018, Cass. n. 8539/2017, Cass. n. 17487/2016, Cass. n. 930/2016 e Cass. n. 21335/2015).
Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente,
è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 21142/2016, Cass. n. 18604/2012 e Cass. n. 20588/2005).
2.3. Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente «sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere»; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi.
Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con
l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. n. 37985/2022, Cass. n. 19082/2022, Cass. n. 12600/2022, Cass. n. 12889/2018, Cass. n. 12207/2017, Cass. n. 1332/2016 e Cass. n. 8995/2014).
2.4. Ebbene, alla stregua di quanto detto, non può che evidenziarsi la correttezza della decisione qui impugnata: essa, infatti, in maniera dettagliata, sottolinea come il contribuente non abbia dato prova, innanzitutto, dell’esistenza della disponibilità idonea a vincere la presunzione di maggior reddito, né, tantomeno, della non imponibilità della stessa e del suo impiego con riferimento alle spese attenzionate dall’Ufficio; in particolare, corretta è la statuizione in ordine alla prova della liceità fiscale o meno della disponibilità finanziaria, dal momento che la dimostrazione che il contribuente deve offrire attiene proprio alla provenienza non reddituale e, quindi, alla non imponibilità delle somme necessarie al mantenimento dei beni (attenzionati dall’Ufficio) perché già sottoposte ad imposta o perché esenti.
2.5. Piuttosto, le censure proposte dall’odierno ricorrente non fanno che risolversi nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal Giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al Giudice di legittimità (Cass., SS.UU., sent. n. 34476/2019).
Il secondo motivo di ricorso proposto è inammissibile.
3.1. In base all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata; ciò comporta l’esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza non riguardante il decisum della sentenza gravata. (Cass. 21/07/2020, n. 15517). Infatti, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità (Cass. 20/10/2016, n. 21296).
Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa, condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ. (Cass. 14/05/2018, n. 11603).
3.2. Nella fattispecie in esame, il contribuente, in ricorso, oblitera del tutto l’individuazione e l’allegazione dei fatti decisivi a superare l’argomentazione relativa al fatto, valorizzato in sentenza, che la mancata dimostrazione che tali fondi, a prescindere dalla loro effettività e liceità fiscale, siano stati utilizzati per le spese determinate dal redditometro avrebbe dovuto imporre la prova di un diverso utilizzo.
Vieppiù che la censura riveste una natura meritale profilandosi evidentemente preordinata ad un nuovo esame delle risultanze istruttorie in quanto la ricorrente propone elementi già addotti nei gradi di merito; la prospettazione è evidentemente finalizzata ad ottenere una valutazione delle prove e quindi un accertamento fattuale di segno opposto a quello espresso nella sentenza impugnata.
4. Il terzo motivo è fondato.
Con esso il contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata la C.t.r. ha omesso di pronunciarsi sul motivo, contenuto, sia nel ricorso introduttivo, sia in quello di costituzione in giudizio di appello, deducente l’illegittimità dell’irrogazione delle sanzioni, ex art. 5 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.
In particolare, il contribuente, in ossequio al principio di autosufficienza, allegando il ricorso introduttivo e le controdeduzioni in appello, ha dimostrato di aver contestato ab origine l’irrogazione della sanzione effettuata dall’Ufficio per omessa presentazione della dichiarazione ex art. 1 d.lgs. n. 471/1997 per evidente insussistenza del requisito della colpa a suo carico in considerazione del fatto che, in presenza di un asserito maggior imponibile, non derivante da redditi effettivamente conseguiti ma da una ricostruzione presuntiva.
4.1. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. non ha proprio esaminato la questione in violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ.
In conclusione, va accolto il terzo motivo di ricorso, con rigetto del primo e del secondo motivo; la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato innanzi al giudice a quo, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e, rigettati i restanti, cassa la sentenza impugnata con rinvio del giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 7 febbraio 2025.