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Onere della prova redditometro: cosa basta dimostrare

Un contribuente, soggetto a un accertamento fiscale basato sul redditometro per una discrepanza tra reddito dichiarato e spese sostenute, ha visto il suo ricorso accolto. La Corte di Cassazione ha stabilito che, per superare la presunzione del Fisco, è sufficiente dimostrare la disponibilità di redditi esenti (nel caso specifico, derivanti da disinvestimenti azionari) idonei a coprire la spesa contestata, senza dover provare il nesso diretto tra l’incasso e l’utilizzo di tali somme. Questa sentenza chiarisce l’onere della prova redditometro a carico del cittadino.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova Redditometro: la Cassazione chiarisce cosa deve dimostrare il contribuente

L’accertamento sintetico tramite redditometro rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione dell’Agenzia delle Entrate. Ma cosa succede quando il Fisco contesta una sproporzione tra il reddito dichiarato e le spese sostenute? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sull’onere della prova redditometro, stabilendo un principio fondamentale a tutela del contribuente: non è necessaria una prova “diabolica”.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a un contribuente per l’anno d’imposta 2007. L’Agenzia delle Entrate, utilizzando il redditometro, aveva rideterminato sinteticamente il suo reddito, contestando un maggior importo di quasi 50.000 euro. La presunzione del Fisco si basava sulla disponibilità da parte del contribuente di beni indicativi di una maggiore capacità contributiva, tra cui un’abitazione principale, una secondaria, due autovetture, una moto e spese per incrementi patrimoniali.

Il contribuente aveva impugnato l’atto, e sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale gli avevano dato ragione. La difesa del cittadino si fondava sulla dimostrazione di aver percepito, nello stesso anno, una somma di quasi 100.000 euro da disinvestimenti di titoli, un importo più che sufficiente a giustificare la differenza di reddito contestata. L’Agenzia delle Entrate, non soddisfatta, ha proposto ricorso in Cassazione.

La Questione sull’Onere della Prova Redditometro

Il fulcro del ricorso dell’Amministrazione Finanziaria verteva su un punto cruciale: secondo il Fisco, non era sufficiente che il contribuente provasse la mera disponibilità di redditi esenti. Sarebbe stato necessario, a loro avviso, dimostrare anche che quelle specifiche somme fossero state effettivamente utilizzate per coprire le spese che avevano generato l’accertamento. In altre parole, si richiedeva la prova di un nesso di causalità diretto tra l’entrata e la spesa.

Questa interpretazione, se accolta, avrebbe imposto al contribuente un onere probatorio estremamente gravoso, quasi impossibile da soddisfare a distanza di anni, configurando una sorta di probatio diabolica.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritenendolo infondato. Gli Ermellini hanno chiarito in modo definitivo la portata dell’onere della prova redditometro. Il contribuente può superare la presunzione del Fisco dimostrando che il maggior reddito presunto è costituito da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte. L’entità e il possesso di tali redditi devono risultare da idonea documentazione.

La Corte ha specificato che l’onere probatorio non può essere così eccessivo da diventare sproporzionato o quasi impossibile da adempiere. Richiamando anche i principi costituzionali e comunitari di proporzionalità, i giudici hanno affermato che la prova contraria può essere fornita anche mediante presunzioni semplici.

Nel caso specifico, il contribuente aveva fornito la prova documentale, tramite un estratto conto bancario, di aver incassato circa 99.974,82 euro dalla vendita di titoli. Questa somma è stata ritenuta dalla Corte “ampiamente adeguata a coprire il maggioro reddito contestato” (di circa 17.500 euro). La disponibilità documentata di queste possidenze finanziarie, legittimamente detenute e non sottratte a imposizione, è stata considerata prova idonea e sufficiente a giustificare la capacità di spesa e a rendere congrua la situazione reddituale per l’anno in contestazione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un importante principio di diritto a favore del contribuente. Per difendersi da un accertamento basato sul redditometro, non è necessario ricostruire analiticamente ogni singolo flusso finanziario per collegare un’entrata a una specifica uscita. È invece sufficiente fornire una prova documentale, come un estratto conto, che attesti la disponibilità, nell’anno di riferimento, di somme (derivanti da redditi esenti, vendite di beni, liberalità, etc.) di entità tale da giustificare la presunta maggiore capacità di spesa. Viene così riequilibrato il rapporto tra Fisco e cittadino, evitando che l’onere della prova si trasformi in un ostacolo insormontabile all’esercizio del diritto di difesa.

Per contrastare un accertamento da redditometro, devo dimostrare come ho speso ogni singolo euro proveniente da redditi esenti?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che è sufficiente provare la disponibilità di somme idonee a coprire la differenza di reddito contestata, senza dover dimostrare il nesso causale diretto tra l’incasso e la singola spesa.

Quale tipo di prova è considerata valida per giustificare la maggiore capacità di spesa?
È valida la documentazione che attesti l’esistenza di redditi esenti, redditi soggetti a ritenuta alla fonte, o proventi da disinvestimenti patrimoniali. Nel caso esaminato, un estratto conto bancario che dimostrava l’accredito delle somme derivanti dalla vendita di titoli è stato ritenuto prova idonea.

L’accertamento basato sul redditometro crea una presunzione assoluta a sfavore del contribuente?
No, crea una presunzione legale relativa. Il contribuente ha il pieno diritto e la possibilità concreta di fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, dimostrando che la maggiore capacità di spesa è giustificata da fonti diverse dal reddito non dichiarato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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