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Onere della prova per errori in dichiarazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30417/2025, chiarisce l’onere della prova a carico del contribuente che contesta un avviso di accertamento basato su una sua precedente dichiarazione errata. Sebbene il contribuente possa sempre far valere in giudizio errori di fatto o di diritto, non è sufficiente la semplice allegazione dell’errore. Spetta al contribuente fornire la prova concreta della sua esistenza. La Corte ha quindi respinto le doglianze del ricorrente su questo punto, accogliendo solo il motivo relativo all’omessa pronuncia sulla richiesta di disapplicazione delle sanzioni.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della prova per errori in dichiarazione: non basta allegare, bisogna dimostrare

Un contribuente che si accorge di aver commesso un errore nella propria dichiarazione dei redditi può sempre contestare la pretesa del Fisco in sede contenziosa. Tuttavia, la semplice affermazione di aver sbagliato non è sufficiente. La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale: l’onere della prova ricade interamente sul contribuente, che deve dimostrare concretamente i fatti a sostegno della propria tesi.

I Fatti di Causa

Una società in liquidazione riceveva un avviso di accertamento dall’Amministrazione Finanziaria. L’atto contestava l’utilizzo di perdite pregresse, indicate in una dichiarazione integrativa presentata oltre i termini di legge. La società impugnava l’avviso, sostenendo che la pretesa fiscale si basava su una dichiarazione originaria viziata da un errore materiale.

Il percorso giudiziario è stato complesso:
1. In primo grado, i giudici davano ragione alla società, annullando l’atto.
2. In appello, la decisione veniva ribaltata a favore dell’Amministrazione Finanziaria.
3. La società ricorreva in Cassazione, che annullava la sentenza d’appello e rinviava la causa alla Commissione Tributaria Regionale. La Corte stabiliva il principio secondo cui il contribuente può sempre opporsi alla pretesa fiscale allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione.
4. Nel giudizio di rinvio, i giudici d’appello davano nuovamente torto alla società, affermando che quest’ultima si era limitata ad “allegare” l’errore senza fornire alcuna prova della reale esistenza delle maggiori perdite.

Contro quest’ultima decisione, la società proponeva un nuovo ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte

La Suprema Corte ha esaminato i quattro motivi di ricorso presentati dalla società, respingendone tre e accogliendone uno.

L’onere della prova per il contribuente

Il punto centrale della controversia riguardava l’interpretazione del principio di diritto enunciato dalla stessa Cassazione nella precedente pronuncia. La società sosteneva che i giudici di rinvio avessero errato nel richiederle la prova delle perdite, quando la Cassazione aveva parlato di semplice “allegazione” dell’errore.

La Corte ha respinto questa interpretazione. Ha chiarito che “allegare” significa semplicemente prospettare l’esistenza di un errore. Questo non elimina l’onere della prova. Riconoscere la possibilità di far valere un errore in giudizio non significa che sia sufficiente dichiararlo per vederlo riconosciuto. Il contribuente deve sempre fornire la prova dei fatti su cui si fonda la sua eccezione.

Inapplicabilità del principio di non contestazione

La società lamentava anche che l’Amministrazione Finanziaria non avesse mai contestato nel merito l’esistenza delle perdite, ma solo la tardività della dichiarazione integrativa. Secondo la Corte, il disconoscimento dell’utilizzabilità delle perdite per un vizio formale (la tardività) costituisce una contestazione radicale e sufficiente, che non fa scattare il principio di non contestazione.

L’omessa pronuncia sulle sanzioni

L’unico motivo accolto dalla Corte riguarda la richiesta della società di disapplicare le sanzioni per obiettiva incertezza normativa. Questa domanda, riproposta nel giudizio di rinvio, era stata completamente ignorata dai giudici d’appello. Tale omissione costituisce un vizio procedurale (violazione dell’art. 112 c.p.c.), che ha portato alla cassazione della sentenza su questo specifico punto.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una distinzione cruciale tra la facoltà di allegare un fatto e l’obbligo di provarlo. La giurisprudenza, incluse le Sezioni Unite, ha consolidato il principio per cui il contribuente può difendersi in giudizio emendando la propria dichiarazione. Questo, però, non lo solleva dal normale onere probatorio previsto dal processo. La Corte ha sottolineato che, durante l’intero iter processuale, inclusa la fase di rinvio, la società non aveva fornito alcun elemento istruttorio a sostegno della sua tesi. I giudici di merito hanno quindi correttamente concluso che la sussistenza delle maggiori perdite non poteva ritenersi provata. Per quanto riguarda l’omessa pronuncia, la Corte ha rilevato che il motivo relativo alle sanzioni era stato dichiarato assorbito nella prima sentenza di Cassazione e ritualmente riproposto dalla contribuente. I giudici di rinvio avevano quindi il dovere di esaminarlo, cosa che non hanno fatto, incorrendo in un vizio che ha imposto l’annullamento parziale della loro decisione.

Le Conclusioni

La sentenza offre due importanti indicazioni pratiche. In primo luogo, conferma che la porta del contenzioso è sempre aperta per il contribuente che intende correggere i propri errori, anche dopo la scadenza dei termini per la dichiarazione integrativa. Tuttavia, questa apertura non è una scorciatoia: il contribuente deve prepararsi a sostenere l’intero onere della prova, fornendo al giudice tutti gli elementi necessari a dimostrare la fondatezza delle proprie affermazioni. La semplice parola non basta. In secondo luogo, la decisione ribadisce l’obbligo per il giudice di pronunciarsi su tutte le domande ritualmente proposte dalle parti. L’omissione di pronuncia è un errore grave che può portare all’annullamento della sentenza, garantendo che ogni aspetto della controversia riceva la dovuta attenzione.

È sufficiente per un contribuente affermare di aver commesso un errore nella dichiarazione per ottenere una correzione in giudizio?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che riconoscere la possibilità di far valere errori commessi nella dichiarazione non esonera il contribuente dall’onere della prova. È necessario fornire la prova concreta dei fatti su cui si fonda la richiesta di correzione.

Se l’Agenzia delle Entrate contesta un atto solo per un motivo formale (es. tardività), si considera che non abbia contestato il merito della questione?
No. Secondo la sentenza, disconoscere l’utilizzabilità di perdite a causa della tardività della dichiarazione integrativa rappresenta un disconoscimento esplicito e radicale, che non implica un’assenza di contestazione nel merito.

Cosa succede se un giudice omette di pronunciarsi su una domanda specifica avanzata da una parte?
Si verifica una “omissione di pronuncia”, che costituisce un vizio della sentenza (violazione dell’art. 112 c.p.c.). La sentenza può essere cassata su questo punto e la causa rinviata a un altro giudice per decidere sulla domanda omessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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