Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30670 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30670 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8659/2023 R.G. proposto da : COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE RISCOSSIONE, RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che li rappresenta e difende
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 4809/2022 depositata il 02/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
Il prof. Avv. NOME COGNOME impugnava avanti la Commissione tributaria provinciale di Roma una cartella di pagamento relativa all’ ‘omesso/carente versamento’ dell’IRPEF, del contributo di solidarietà, dall’addizionale regionale all’IRPEF, riferiti all’anno d’imposta 2014 (Dichiarazione 2015), oltre a sanzioni, interessi e spese di riscossione per un importo complessivo di € 222.332,89. Oltre a muovere una serie di contestazioni formali, il contribuente fondamentalmente eccepiva di aver versato somme maggiori di quanto indicato dagli uffici finanziari, pari a € 230.730,95 in luogo dell’importo di € 51.420,61 ritenuto invece effettivamente pagato.
Il giudizio di primo grado si concludeva con l’accoglimento del ricorso, come disposto dalla sentenza n. 8516/2019, dep. il 14/06/2019.
L’appello dell’Agenzia delle Entrate è stato invece accolto dalla Commissione tributaria regionale del Lazio che, con la sentenza n. 4809/2022, ha ritenuto indimostrati i pagamenti dedotti dal contribuente.
Ha proposto ricorso per cassazione il prof. Avv. COGNOME sulla scorta di tre motivi.
Resistono con controricorso l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate riscossione.
Il contribuente ha richiesto la decisione dopo il deposito di una proposta di definizione accelerata del giudizio ed ha, altresì, depositato memoria scritta.
E’ stata, quindi, fissata udienza in camera di consiglio per il successivo 18 settembre 2024.
CONSIDERATO CHE
1. I motivi di ricorso possono di seguito compendiarsi, seguendo per comodità espositiva la stessa terminologia usata dal ricorrente:
I motivo) Violazione e comunque falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost.; violazione e comunque falsa applicazione degli artt. 13 e 6 della CEDU; violazione e comunque falsa applicazione degli artt. 49 e 53 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, I comma, n. 3 c.p.c.,
Secondo il ricorrente, la decisione della CGT di II grado del Lazio risulterebbe inconciliabile con diritti fondamentali, avendo leso i canoni del giusto processo e dell’effettività della tutela giurisdizionale; la pronuncia manifesterebbe un pregiudizio nei confronti del contribuente in quanto, come si evince dalla motivazione, il Fisco avrebbe sempre e comunque ragione (anche quando il suo agire è viziato da illegittimità manifesta), e nessuna argomentazione difensiva potrebbe scalfire tale assunto; la sentenza impugnata sarebbe inoltre carente dell’indicazione delle ragioni sulle quali la CTR/CGT abbia inteso fondare la decisione, giacché non vi sarebbe stata alcuna idonea valutazione delle deduzioni difensive del contribuente, ma bensì una acritica adesione alle argomentazioni dell’Ufficio;
II motivo) Violazione e comunque falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost.; violazione e comunque falsa applicazione degli artt. 6 e 13 della CEDU; violazione e comunque falsa applicazione degli artt. 99, 112 e 115 del c.p.c. in relazione all’art. 360, I comma, n. 3 c.p.c.; secondo il ricorrente la sentenza sarebbe viziata da ultrapetizione, oltre ad essere stata emessa in violazione dei principi di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e di non contestazione;
III motivo) Violazione e comunque falsa applicazione degli artt. 53 e 97 della Costituzione; violazione e comunque falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c.; violazione e comunque falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 212/2000; violazione e comunque falsa applicazione dell’art. 1 del Protocollo Aggiuntivo alla CEDU; violazione e comunque falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.; violazione e comunque falsa applicazione dell’art. 7, comma 5° bis, del d.lgs. n. 546/1992; violazione e comunque falsa applicazione dell’art. 36 bis del DPR n. 600/1973; violazione e comunque falsa applicazione dell’art. 6 dello Statuto del contribuente. In relazione all’art. 360, I comma, n. 3 c.p.c.; secondo il ricorrente la sentenza avrebbe completamente trascurato le prescrizioni di cui allo Statuto del contribuente in materia di conoscibilità dell’azione amministrativa, contraddittorio e motivazione degli atti, obliterando
altresì una circostanza dirimente, e cioè che l’onere della prova in materia fiscale spetta all’Erario e non al contribuente.
Si ricorda che la proposta di definizione del giudizio ha il seguente tenore:
‘ Primo motivo: inammissibile, in quanto le censure sollevate dal ricorrente consistono in una mescolanza e sovrapposizione di motivi eterogenei di ricorso, facendo riferimento sia ad ipotesi di vizio di motivazione, sia al vizio dell’omessa disamina di un fatto decisivo, sia alla violazione di legge (v. Cass. 31.7.2018, n. 20288, secondo la quale non può essere richiesto alla Corte di dare essa stessa forma e contenuto giuridici al ricorso, enucleando dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure);
Secondo motivo: manifestamente infondato, non essendovi alcun ampliamento del thema decidendum da parte della CGT di II grado, essendosi questa pronunciata sulla domanda della parte appellante, valutando il rapporto sostanziale tributario e le varie questioni sottese al giudizio sottoposto alla sua attenzione;
Terzo motivo: inammissibile, in quanto anch’esso contenente una serie di censure mescolate tra loro e, in ogni caso, richiedenti una nuova valutazione di merito del materiale probatorio valutato dalla CGT regionale; il motivo peraltro appare inammissibile anche sotto il profilo della mancanza di autosufficienza e specificità, in quanto il contribuente fa riferimento a presunte argomentazioni ed eccezioni sollevate nei gradi di merito, senza indicare in quale punto e/o atto precedenti sarebbero state rappresentate ‘.
3. Il Collegio condivide tali argomentazioni.
Può inoltre aggiungersi quanto segue.
La motivazione della sentenza qui impugnata si fonda, nel suo nucleo essenziale, sul rilievo che dai numerosi documenti prodotti dal contribuente risultava che, per l’esercizio 2014, erano stati pagati tributi per euro 51.420,61, a fronte di quelli dichiarati come dovuti per euro 175.463,00 dallo stesso contribuente. L’ufficio, dunque, avva emesso la cartella ex art.36 bis d.P.R. n.600/1973 sulla base dei dati desumibili dalle stesse dichiarazioni del contribuente.
La decisione non contiene alcun passaggio che, oggettivamente, manifesti un’impostazione aprioristicamente favorevole all’amministrazione finanziaria, limitandosi – in buona sostanza – a scrutinare il valore probatorio dei documenti versati in atti dal contribuente (gli F24 prodotti).
Neppure può parlarsi di inversione dell’onere probatorio in ordine alla fondatezza del tributo preteso, posto che nella peculiare vicenda in esame i dati di quanto dovuto sono dedotti dalla stessa dichiarazione dei redditi del contribuente, che non è mai stata dallo stesso messa in discussione (ad esempio sostenendosene per qualsivoglia motivo, anche dovuto all’intervento di un eventuale terzo intermediario o consulente fiscale, una qualche erroneità).
A tal punto, l’agire amministrativo dell’Ufficio si è posto di conseguenza rispetto a quanto dichiarato come dovuto dallo stesso contribuente.
Si ricorda, infatti, che come recentemente statuito da Sez. 5, ord. n. 10824 del 22/04/2024 -Rv. 671059 – 01, nel giudizio d’impugnazione della cartella di pagamento emessa dall’amministrazione finanziaria ex art. 36 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973 per omesso versamento dell’imposta nella misura indicata nella dichiarazione dei redditi, spetta al contribuente, il quale conserva la disponibilità della copia delle dichiarazioni presentate, anche tramite l’accesso ad appositi spazi di archiviazione riservati nei sistemi informatici dell’amministrazione, eccepire e dimostrare il fatto impeditivo o modificativo della pretesa sul fondamento o della riferibilità ad altri della dichiarazione o delle vicende per le quali essa debba considerarsi tamquam non esset ovvero, non contestata la presentazione, di una divergenza delle basi di calcolo utilizzate in cartella rispetto a quelle risultanti dalle dichiarazioni o dalle ricevute degli eventuali versamenti effettuati.
Nel caso di specie il contribuente ha semplicemente dedotto di aver pagato l’imposta dovuta, che non ha messo in discussione. Spetta pertanto al contribuente dimostrare il fatto estintivo della pretesa tributaria che egli stesso, con la propria dichiarazione, ha inizialmente confermato, ossia l’effettività dei pagamenti dedotti.
Tale prova – fornita attraverso la produzione di plurimi modelli F24 -è stata ritenuta insufficiente dal giudice d’appello, il quale ha espressamente ritenuto che per l’anno di imposta 2014 gli F24 recanti il codice tributo IRPEF dimostrino pagamenti per Euro 51.420,61 in luogo dell’importo dovuto, così come dichiarato dallo stesso contribuente, di Euro 175.463.
Ed allora può rilevarsi che i motivi di ricorso proposti – al di là delle censure formali già prese coerentemente in esame dalla proposta di definizione -mirano in realtà ad una diversa valutazione del materiale probatorio ed a sovvertire, in modo inammissibile, il giudizio di fatto compiuto dal giudice di merito di secondo grado.
Orbene, a tal riguardo è sufficiente ricordare, sulla scia di un costante indirizzo, la più recente Sez. 2, ord. n. 10927 del 23/04/2024 (Rv. 670888 – 01), per la quale ‘deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme’; in precedenza anche Sez. U, sent. n. 34476 del 27/12/2019 (Rv. 656492 -03) ha affermato esplicitamente che ‘È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’.
Del resto, con più specifico riferimento alla valutazione probatoria dei documenti operata dal giudice del merito, Sez. 2, ord. n. 20553 del 19/07/2021 (Rv. 661734 -01), secondo cui ‘La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito’.
Nella propria memoria ex art. 380 bis c.p.c il contribuente ritiene che i propri rilievi siano supportati da alcune decisioni del S.C., quali Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 28/09/2022, n. 28314 e Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 28/03/2022, n. 9986. Al contrario, tali statuizioni riguardano il vizio relativo all’omesso esame di un fatto storico, che risulti dagli atti ed abbia costituito oggetto di discussione, non incidendo affatto su ciò che si vorrebbe sovvertire, ossia il giudizio – tutto meritale – in ordine alla prova materiale di dedotti pagamenti tratta da documenti di cui il giudice dell’appello ha saggiato il valore probatorio, esprimendo il proprio giudizio attraverso il riferimento dei pagamenti al pertinente codice tributo;
è stato quindi utilizzato un criterio ragionevole ed esposto con sufficiente coerenza logica, come tale non ulteriormente scrutinabile in questa sede.
La contestazione che al riguardo muove il ricorrente è, inoltre, priva di autosufficienza. Infatti, lo stesso si limita a riaffermare genericamente che i documenti prodotti attestano il pagamento di maggiori imposte (addirittura in misura superiore a quanto egli stesso dichiarato), ma non prende in esame, in modo specifico ciascun documento prodotto al fine di contestare, non in modo generico, bensì specifico, la valutazione condotta dalla motivazione della sentenza impugnata.
In definitiva, alla luce di quanto precede, va dichiarata l’inammissibilità del primo e terzo motivo di ricorso, infondato il secondo. Nessuna ultrapetizione, infatti, appare contenuta nella decisione impugnata, che si muove entro il thema decidendum che le stesse parti appellante e resistente avevano delineato. Da un lato, infatti, la rilevazione e l’interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito, sicché non è deducibile la violazione dell’art. 112 c.p.c., quale errore procedurale rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., quando il predetto giudice abbia svolto una motivazione sul punto, dimostrando come la questione sia stata ricompresa tra quelle oggetto di decisione, attenendo, in tal caso, il dedotto errore al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte (Sez. 3, ord. n. 27181 del 22/09/2023 -Rv. 668673 01); dall’altro, va pure considerato che il potere del giudice di pronunciare entro i confini delle domande proposte dalle parti si rapporta ai soli elementi essenziali delle stesse, rappresentati dalla “causa petendi” e dal “petitum”, sicché non integra vizio di ultrapetizione la valutazione dei mezzi di prova dedotti dalle parti, relativamente ai fatti sui quali permanga la contestazione tra le medesime (Sez. 3, ord. n. 15734 del 17/05/2022 -Rv. 665101 01). Circostanza quest’ultima che ricorre nel caso di specie.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Poiché il giudizio viene definito in conformità alla proposta, va inoltre disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, comma 3 e 4 c.p.c. Infatti, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380 bis comma 3 c.p.c. contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e quarto comma dell’art. 96 c.p.c., codificando altresì un’ipotesi normativa di abuso del processo che la
conformità della decisione definitiva a quella inizialmente proposta e rifiutata lascia presumere (così Cass. S.U. 13.10.2023, n. 28540).
Pertanto, la parte ricorrente va condannata, nei confronti delle controparti, al pagamento della somma equitativamente determinata di Euro 2.900, oltre al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 500 in favore della Cassa delle ammende.
Occorre, infine, dare atto dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se ed in quanto dovuto per legge.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso per quanto in motivazione;
condanna parte ricorrente ed in favore delle controricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800, oltre a spese prenotate a debito;
condanna altresì parte ricorrente al pagamento della somma di Euro 2.900 in favore delle controricorrenti e dell’ulteriore somma di Euro 500 a favore della Cassa delle ammende;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura prevista per il ricorso, se ed in quanto dovuto per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 settembre