Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18579 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18579 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14652 -20 23 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, in proprio e per la società RAGIONE_SOCIALE cancellata dal registro delle imprese il 13 agosto 2013, rappresentate e difese, per procura speciale in calce al ricorso, dall’ avv. NOME COGNOME con elezione di domicilio presso lo studio del predetto difensore, sito in Roma, INDIRIZZO e domicilio digitale all’indirizzo PEC: EMAIL
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore ;
– intimata –
Oggetto: TRIBUTI – operazioni soggettivamente inesistenti
avverso la sentenza n. 8036/05/2022 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, depositata in data 22/12/2022; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15 maggio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ed NOME COGNOME quali socie della RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal registro delle imprese il 13 agosto 2013, impugnano la sentenza della CTR della Campania pronunciata a seguito di rinvio operato da questa Corte con ordinanza n. 20661/2021, depositata in data 20/07/2021.
1.1. Si legge nelle citata ordinanza che «In seguito a verifica finalizzata al controllo del regolare assolvimento, da parte della società RAGIONE_SOCIALE, degli obblighi fiscali con riguardo ad acquisti e vendite realizzati nell’anno di imposta 2008, l’Agenzia delle Entrate notificò alla predetta avviso di accertamento, col quale le contestò la natura di cartiera, creata al solo scopo di ricevere ed emettere fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e irrogò la sanzione per la violazione di irregolare tenuta delle scritture contabili ai sensi dell’art. 39 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Impugnato il predetto atto dalla società con riguardo alla sanzione, la C.T.P. di Avellino rigettò la domanda con sentenza n. 611/05/2012, che fu riformata dalla C.T.R. per la Campania, adita dalla società, con la sentenza n. 10555/12/2014, emessa all’esito di un giudizio nel corso del quale i soci COGNOME e COGNOME allegarono l’avvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese in data 13/08/2013 e la sua estinzione, affermando di avere interesse alla prosecuzione del giudizio e chiedendo la riunione dell’appello con quello della società RAGIONE_SOCIALE e dei suoi soci NOME COGNOME e NOME COGNOME. Avverso questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha
proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi. I soci della società si sono difesi con controricorso».
1.2. Questa Corte con l’ordinanza in oggetto accoglieva i motivi di ricorso proposti dall’Agenzia delle entrate affermando che la CTR non si era attenuta ai principi giurisprudenziali elaborati da questa Corte in materia di operazioni inesistenti ««in quanto, senza mettere in discussione la valenza probatoria degli elementi indiziari offerti dall’Ufficio, ha ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sul contribuente e fondato, sulle fatture emesse e sulle schede contabili, i quali, come sopra detto, non dimostrano la veridicità delle operazioni compiute a fronte della contestazione della inesistenza oggettiva e soggettiva delle stesse. Quanto poi alla valenza probatoria del contratto di affitto regolarmente registrato, avente ad oggetto un «capannone con le relative attrezzature per lo svolgimento dell’attività di lavorazione delle pelli», la C.T.R. ha omesso di esaminare i rilievi sollevati dall’Ufficio in ordine alla esistenza, all’indirizzo indicato in contratto, di altra diversa società, e delle attrezzature presenti nella porzione immobiliare destinata all’attività della società contribuente e alla loro idoneità rispetto ad essa»».
1.3. A seguito di riassunzione del giudizio da parte delle contribuenti, la CTR della Lombardia con la sentenza in epigrafe indicata rigettava l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Avellino n. 611/05/2012 depositata il 03.10.2012, sostenendo che, a fronte di quanto affermato da questa Corte nell’ordinanza di rinvio, «i ricorrenti si limitano a ripercorrere il solo dato relativo al contratto di locazione (tra la RAGIONE_SOCIALE e sig. COGNOME COGNOME avente ad oggetto la locazione di ‘uno stabile indus triale su tre livelli di circa mq 1800, corredato di locale caldaia, vasche per la raccolta acque, impianti elettrici, di depurazione e macchinari) e a dedurre l’efficacia
di giudicato della sentenza di assoluzione pronunciata dal giudice penale», ma «Rispetto a tale dato l’Ufficio rileva, nuovamente, come il contratto al quale si riferirebbero gli appellanti risultava puramente cartolare in quanto presso tale sede era stata rinvenuta dai verbalizzanti tutt’altra società. Il luogo, infatti, risultava essere la sede della RAGIONE_SOCIALE, in Solofra (AV), INDIRIZZO. – il giudice tributario, nel verificare se il contribuente fosse consapevole dell’inserimento dell’operazione in un’evasione di imposta, non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, ancorché riguardanti i medesimi fatti, ma, nell’esercizio dei suoi poteri, è tenuto a valutare tali circostanze sulla base del complessivo materiale probatorio acquisito nel giudizio tributario, non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l’autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione (Sez. 5, n. 27814 del 04/12/2020, Rv. 659817)».
Avverso tale statuizione i ricorrenti propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui non replica l’Agenzia delle entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione, sub specie di motivazione apparente, in violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, 132 cod. proc. civ. e 111, sesto comma, Cost.
1.1. Si sostiene che « La parte motiva dell’opposta pronuncia non risulta, infatti, provvista del necessario supporto argomentativo che dovrebbe sorreggere il decisum del Giudice di merito e non consente la comprensione dei motivi esatti sulla base dei quali siano state rigettate le argomentazioni delle odierne Ricorrenti. In particolare, dalla parte motiva della Sentenza non è dato comprendere il percorso
logico argomentativo seguito dal Giudice del merito, non essendo tra l’altro – esplicitate le ragioni sulla base delle lo stesso abbia ritenuto di attribuire carattere prevalente agli argomenti allegati dall’Ufficio rispetto a quelli, di pari contenuto, prodotti dalla Società».
Il motivo è infondato e va rigettato.
3. Per costante orientamento di questa Corte, il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre quando il giudice, in violazione di un obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), ossia degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, omette di illustrare l’ iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ossia di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata . La sanzione di nullità colpisce, pertanto, non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione da punto di vista grafico o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e presentano “una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, n. 8053 del 7/4/2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione non consente di “comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato”, non assolvendo in tal modo alla finalità di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi ” (Cass. Sez. U., n. 22232 del 3/11/2016). Come questa Corte ha più volte affermato, la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non
renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, n. 22232 del 2016, cit.; Cass. sez. 6- 5, ord. n. 14927 del 15/6/2017 conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019; Cass. n. 29124/2021). Invero, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021).
3.1. In tale grave vizio non incorre la sentenza impugnata il cui apparato argomentativo si pone ben al di sopra del ‘minimo costituzionale’ di cui al citato art. 111, sesto comma, Cost., avendo la CTR reso una chiara ed esaustiva esposizione delle ragioni che l’avevano indotta a rigettare le censure mosse dalla contribuente alla statuizione di primo grado in relazione alla questione della natura di cartiera della RAGIONE_SOCIALE, esprimendo argomentazioni pienamente intellegibili e logicamente correlate all’oggetto del gravame devoluto. La CTR, condividendo le considerazioni svolte dall’Ufficio, ha infatti ritenuto, adeguandosi, peraltro, al principio affermato da questa Corte nell’ordinanza cassatoria, inidoneo a provare l’effettivo svolgimento di attivit à da parte della società contribuente la mera produzione in giudizio di un contratto di
locazione di ‘ uno stabile industriale su tre livelli di circa mq 1800, corredato di locale caldaia, vasche per la raccolta acque, impianti elettrici, di depurazione e macchinari’, «in quanto presso tale sede era stata rinvenuta dai verbalizzanti tutt’altra società. Il l uogo, infatti, risultava essere la sede della RAGIONE_SOCIALE, in Solofra (AV), INDIRIZZO.
3.2. Ciò posto, è ben evidente che le questioni poste dalla parte ricorrente nel motivo di ricorso in esame, con riferimento all’omessa considerazione da parte dei giudici di appello degli elementi probatori addotti dalla società contribuente per contrastare la tesi sostenuta dall’Ufficio, poi condivisa dalla CTR, attiene al merito della vicenda processuale e non incide sul contenuto motivazionale della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per travisamento della prova.
4.1. Si sostiene che l ‘informazione probatoria riportata ed utilizzata dai giudici di appello per fondare la decisione, ovvero il rinvenimento di un’altra azienda presso la sede della Aries, è diversa ed inconciliabile rispetto alle informazioni contenute negli atti processuali.
4.2. Invero, la società contribuente aveva stipulato due contratti di locazione, quello stipulato con la RAGIONE_SOCIALE ed avente ad oggetto un ‘ locale sito in Solofra alla INDIRIZZO e precisamente, n. 1 ufficio mq 15 circa completo di arredi e macchine da ufficio ‘, che la RAGIONE_SOCIALE aveva adibito a propria sede amministrativa, e quello stipulato con COGNOME COGNOME, avente ad oggetto la locazione di ‘ uno stabile industriale su tre livelli di circa mq 1800 , corredato di locale caldaia, vasche per la raccolta acque, impianti elettrici, di depurazione e macchinari come da elenco allegato ‘ . Il sopralluogo effettuato dagli organi verificatori aveva riguardato solo il primo locale, sede
amministrativa della società contribuente, e non anche il capannone industriale oggetto del secondo contratto di locazione, con la conseguenza che i giudici di appello erano incorsi in evidente travisamento della prova, avendo erroneamente ricollegato le risultanze del sopralluogo, effettuato presso il locale oggetto del primo contratto di locazione, al capannone oggetto del secondo contratto.
4.3. Il motivo è infondato e comunque inammissibile perché privo di decisività.
4.4. Quanto al primo profilo osserva il Collegio che parte ricorrente si limita a far riferimento solo ed esclusivamente al contenuto motivazionale della sentenza impugnata omettendo del tutto di considerare la circostanza che nella parte relativa allo svolgimento del processo i giudici di appello hanno espressamente dato atto che i ricorrenti avevano riassunto il giudizio deducendo di aver esibito due contratti e che soltanto il primo contratto, quello stipulato con la RAGIONE_SOCIALE era « l’unico ad essere menzionato nel ricorso per cassazione elevato dall’Ufficio e, dunque, l’unico su cui si è espressa la Corte di Cassazione» e che «Pertanto, è solo con riferimento al Primo Contratto che possono venire in rilievo le risultanze della verifica fiscale effettuata a suo tempo dalla Guardia di finanza».
4.5. Orbene, ritiene il Collegio che, seppur con motivazione che non brilla per chiarezza espositiva, i giudici di appello, nell’affermare che «l’Ufficio rileva, nuovamente, come il contratto al quale si riferirebbero gli appellanti risultava puramente cartolare in quanto presso tale sede era stata rinvenuta dai verbalizzanti tutt ‘altra società. Il luogo, infatti, risultava essere la sede della RAGIONE_SOCIALE, in Solofra (AV), INDIRIZZO, intendevano riferirsi al primo contratto e non a quello relativo al capannone industriale, situato ad
un indirizzo completamente diverso da quello indicato dai giudici di appello.
4.6. Il motivo è, inoltre, privo di decisività in quanto l’ Amministrazione finanziaria, per come risultante dal contenuto degli atti prodotti in allegato al ricorso, ha accertato, sulla base di plurimi elementi indiziari, la natura di cartiera creata al solo scopo di ricevere ed emettere fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, sicché la circostanza che la società contribuente avesse nella disponibilità un capannone con le attrezzature necessarie per lo svolgimento dell’attività non è circostanza idonea ad escludere, se valutata unitamente a tutte le altre addotte dall’Ufficio (alcune delle quali esposte nel ricorso proposto a ques ta Corte e definito con l’ordinanza di rinvio di cui sopra si è detto) e tenuto conto che, come sostenuto dall’ A mministrazione finanziaria, l’attività veniva in concreto svolta dalla RAGIONE_SOCIALE s.n.c. e non dalla RAGIONE_SOCIALE, mera intestataria del contratto.
Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., nonché degli artt. 39 del d.p.r. n. 600 del 1973, 19, 21 e 54 del d.p.r. n. 633 del 1972».
5.1. Le ricorrenti, richiamati i principi giurisprudenziali di legittimità in materia di onere della prova in ipotesi di operazioni inesistenti, sostiene che «La pronuncia dei Giudici di seconde cure risulta, infatti, censurabile nella parte in cui ha valutato integrato l’onere probatorio posto a carico dell’Ufficio, disconoscendo, all’opposto, qualsivoglia inferenza alle numerose prove e agli argomenti dedotti in giudizio delle odierne Ricorrenti». Ribadiscono, al riguardo, quanto sostenuto nel precedente motivo di ricorso in ordine alla disponibilità di un capannone industriale presso il quale non era stato effettuato alcun sopralluogo; precisano che il
sopralluogo effettuato presso la sede amministrativa della società era stato effettuato nel 2011 mentre le contestazioni riguardavano l’anno d’imposta 2008; sostengono, inoltre, che, «Come risultante dalla documentazione esibita nell’ambito del giudizio di merito, la Società ha fornito dimostrazione (anche tramite la produzione di copiosa documentazione del tutto travisata o estromessa dal Giudice di seconde cure) della assoluta inconsistenza del disegno di frode ipotizzato, nonché evidenza della piena effettività delle fatture contestate» e della «effettiva disponibilità da parte della Aries, della struttura fisica e del personale necessario alla lavorazione del pellame»; sostengono, infine, che la CTR aveva «totalmente e illegittimamente omesso l’esame» della sentenza penale di assoluzione del rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE dal reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti, di cui all’art. 2 della legge n. 74 del 2000.
5.2. Il motivo è inammissibile ed infondato e va rigettato.
5.3. Quanto alla questione posta con riferimento alla disponibilità da parte della società contribuente di un capannone industriale presso il quale non era stato effettuato alcun sopralluogo, deve ribadirsi l’infondatezza della censura richiamando al riguardo le considerazioni svolte con riferimento al precedente motivo di ricorso.
5.4. Inammissibile per evidente difetto di specificità (Cass. S.U. n. 8950 del 18/03/2022; Cass. n. 12481 del 19/04/2022), è, invece, la censura nella parte in cui le ricorrenti richiamano, senza alcun tipo di indicazione, la «copiosa documentazione» che avrebbe prodotto nel giudizio, non esaminata dai giudici di appello e che, a dire delle stesse, dimostrerebbe l’« inconsistenza del disegno di frode ipotizzato», la «piena effettività delle fatture contestate» e l’« effettiva disponibilità da parte della NOME, della struttura fisica e del personale necessario alla lavorazione del pellame».
5.5. Peraltro, la censura è anche mal formulata posto che l’omesso esame di fatti decisivi, che i giudici di appello avrebbero dovuto trarre dalla documentazione prodotta in giudizio a prova contraria, non integra alcuna violazione di legge ma il diverso vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., nella specie non dedotto.
5.6. Infine, la censura con cui le ricorrenti lamentano che i giudici di appello avevano « totalmente e illegittimamente omesso l’esame» della sentenza penale di assoluzione del rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE s.n.c. dal reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti, di cui all’art. 2 della legge n. 74 del 2000, è manifestamente infondata avendo la CTR espressamente affermato in sentenza che «il giudice tributario, nel verificare se il contribuente fosse consapevole dell’inserimento dell’operazione in un’evasione di imposta, non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, ancorché riguardanti i medesimi fatti, ma, nell’esercizio dei suoi poteri, è tenuto a valutare tali circostanze sulla base del complessivo materiale probatorio acquisito nel giudizio tributario, non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l’autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione (Sez. 5, n. 27814 del 04/12/2020, Rv. 659817)».
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese in mancanza di costituzione in giudizio dell’intimata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 15 maggio 2025