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Onere della prova operazioni inesistenti: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20744/2025, si è pronunciata sull’onere della prova operazioni inesistenti. L’Amministrazione Finanziaria aveva emesso un avviso di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA relative all’anno 2011, contestando la deducibilità di costi derivanti da fatture ritenute fittizie. Le corti di merito avevano dato ragione al contribuente. La Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando che spetta all’Ufficio fornire la prova dell’inesistenza delle operazioni, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti. Una volta fornita tale prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettività delle prestazioni, non essendo sufficiente la sola regolarità formale dei documenti contabili.

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Pubblicato il 22 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova per Operazioni Inesistenti: La Cassazione Chiarisce

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: l’onere della prova operazioni inesistenti. Questa pronuncia è di fondamentale importanza per imprese e professionisti, poiché ribadisce i principi che regolano la ripartizione di tale onere tra l’Amministrazione Finanziaria e il contribuente. La decisione analizza in dettaglio quando la prova fornita dall’Ufficio può considerarsi sufficiente e quali elementi deve produrre il contribuente per difendersi efficacemente.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato a un imprenditore, con cui l’Amministrazione Finanziaria contestava la deducibilità di alcuni costi e la detrazione dell’IVA relativa a fatture emesse da due società fornitrici. Secondo l’Ufficio, tali fatture si riferivano a operazioni oggettivamente inesistenti. L’imprenditore ha impugnato l’atto impositivo, sostenendo la propria buona fede e l’effettiva esecuzione delle prestazioni, documentate da contratti d’appalto e preventivi.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale in primo grado, sia la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado hanno accolto le ragioni del contribuente, annullando l’accertamento. L’Amministrazione Finanziaria, ritenendo errata la valutazione dei giudici di merito, ha quindi proposto ricorso per cassazione.

L’Onere della Prova nelle Operazioni Inesistenti secondo la Cassazione

Il cuore della questione giuridica risiede nella corretta applicazione delle regole sull’onere della prova operazioni inesistenti. La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso dell’Ufficio, ha colto l’occasione per riaffermare alcuni principi consolidati.

L’Amministrazione Finanziaria, quando contesta la deducibilità di costi per operazioni ritenute fittizie, ha l’onere iniziale di dimostrare l’inesistenza delle operazioni fatturate. Questa prova non deve essere necessariamente “certa e inconfutabile”, ma può consistere in presunzioni semplici, a condizione che siano gravi, precise e concordanti. Tali presunzioni possono basarsi su elementi indiziari che, nel loro complesso, facciano ragionevolmente dubitare della veridicità delle operazioni (ad esempio, l’assenza di una struttura operativa adeguata da parte del fornitore, qualificabile come “società cartiera”).

Una volta che l’Ufficio ha assolto a questo onere probatorio, la palla passa al contribuente. A quest’ultimo spetta fornire la prova contraria, ovvero dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni economiche. Su questo punto, la Corte è chiara: non è sufficiente produrre la documentazione contabile formalmente regolare (fatture, registrazioni, pagamenti). Questi elementi, infatti, sono spesso creati ad arte proprio per mascherare la frode. Il contribuente deve invece fornire prove concrete che attestino l’effettiva esecuzione della prestazione o la consegna dei beni.

I Motivi del Ricorso dell’Agenzia e il Giudizio della Corte

L’Amministrazione Finanziaria aveva basato il suo ricorso su due motivi principali. Con il primo, lamentava un error in procedendo, sostenendo che la Corte di merito avesse erroneamente ritenuto provata l’esistenza delle operazioni. Con il secondo, contestava il fatto che i giudici avessero ipotizzato d’ufficio che le società fornitrici si fossero avvalse di lavoratori irregolari, una circostanza mai dedotta dal contribuente.

La Suprema Corte ha ritenuto entrambi i motivi infondati. Il primo è stato giudicato inammissibile perché, di fatto, mirava a ottenere un nuovo esame del merito della vicenda e una diversa valutazione delle prove, attività preclusa nel giudizio di legittimità. La Corte ha stabilito che i giudici di secondo grado avevano correttamente individuato e applicato le regole sull’onere della prova.

Anche il secondo motivo è stato respinto. La Cassazione ha chiarito che non si configura un vizio di “ultrapetizione” (ovvero quando il giudice decide oltre i limiti della domanda) se il giudice desume dalla prova argomenti e considerazioni non espressamente invocati dalla parte, purché utili a sostenere la tesi di quest’ultima.

Le motivazioni

Nelle motivazioni, la Corte di Cassazione ha spiegato che il giudice tributario di merito ha il compito di valutare, singolarmente e nel loro complesso, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione Finanziaria. Solo se questi elementi presentano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, il giudice deve ammettere e valutare la prova contraria offerta dal contribuente. Il ricorso dell’Agenzia, secondo la Corte, non ha evidenziato una violazione di queste regole procedurali, ma si è limitato a contrapporre la propria valutazione dei fatti a quella, incensurabile in sede di legittimità, operata dal giudice di merito. La Corte ha ribadito che il tentativo di proporre una “ricostruzione alternativa della vicenda fattuale” non è ammissibile in Cassazione. La decisione del giudice d’appello è stata considerata ben motivata e logicamente coerente, avendo esposto in modo compiuto l’iter logico seguito per giungere alla decisione di rigettare l’appello dell’Ufficio.

Le conclusioni

L’ordinanza in commento consolida l’orientamento giurisprudenziale in materia di onere della prova operazioni inesistenti. Essa sottolinea come il processo tributario sia governato da regole precise sulla ripartizione degli oneri probatori: l’accusa (l’Amministrazione Finanziaria) deve portare indizi solidi e convergenti; la difesa (il contribuente) non può limitarsi a una difesa formale, ma deve entrare nel merito e provare la sostanza economica delle operazioni contestate. Per le imprese, la lezione è chiara: in caso di contestazioni, è cruciale essere in grado di documentare non solo il “chi” e il “quanto” di una transazione, ma anche e soprattutto il “come” e il “perché”, dimostrando la concreta e reale esecuzione delle prestazioni ricevute.

In caso di contestazione di fatture per operazioni inesistenti, su chi ricade l’onere della prova?
L’onere della prova ricade inizialmente sull’Amministrazione Finanziaria, che deve dimostrare l’inesistenza dell’operazione. Può farlo anche tramite presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Successivamente, l’onere si sposta sul contribuente, che deve fornire la prova contraria dell’effettiva esistenza dell’operazione.

La sola regolarità formale delle fatture e la prova dei pagamenti sono sufficienti per il contribuente a dimostrare l’esistenza delle operazioni?
No, secondo la Corte, la regolarità formale delle scritture contabili o le evidenze dei pagamenti non sono sufficienti. Questi elementi sono spesso utilizzati proprio per far apparire reale un’operazione fittizia, quindi il contribuente deve fornire prove più concrete che attestino la reale esecuzione della prestazione.

Cosa deve fare l’Amministrazione Finanziaria per provare che una società è una ‘cartiera’?
L’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare gli elementi di fatto della frode, come la natura di ‘cartiera’ della società emittente (ad esempio, l’inesistenza di una struttura autonoma operativa) e il mancato pagamento dell’IVA come modalità preordinata al conseguimento di un utile. Deve inoltre provare, anche tramite presunzioni, la connivenza del cessionario (il contribuente) nella frode.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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