Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20744 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20744 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12037/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo sito in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELL’EMILIA ROMAGNA n. 1086/2023 depositata in data 1 dicembre 2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE con cui l’Ufficio accertava per il periodo di imposta 2011 un maggior reddito di
Avv. Acc.
–
IRPEF
–
IVA –
IRAP – 2011
impresa ai fini IRPEF e delle relative addizionali, un maggior valore della produzione ai fini IRAP oltre ad IVA indebitamente detratta. L’avviso scaturiva da un controllo a seguito del quale l’Ufficio disconosceva la detraibilità di alcuni costi per fatture ritenute riferibili ad operazioni inesistenti, in particolare quelle effettuate con la RAGIONE_SOCIALE e con la RAGIONE_SOCIALE
Avverso l’avviso di accertamento, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Reggio Emilia, chiedendo l’annullamento dei predetti accertamenti mettendo in evidenza la sua posizione di terzietà rispetto ai rapporti intercorsi con le anzidette società e quindi l’estraneità rispetto gli addebiti mossigli, così sostenendo la propria buona fede per avere operato in affidamento incolpevole.
Con sentenza n. 48/2019 la C.t.p. accoglieva il ricorso ritenendo che il ricorrente avesse documentato – con contratti di appalto, preventivi e dettagli di lavorazione – i lavori che erano stati effettuati in grandi aziende strutturate ed organizzate.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna; il contribuente si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Con sentenza n. 1086/2023 depositata in data 1° dicembre 2023, la C.t.r. adita rigettava l’appello dell’Ufficio ritenendo infondato l’accertamento.
Avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 3 luglio 2025 per la quale entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 109, T.U.I.R., 19 d.p.r. n. 633/1972, 19, 25, d.lgs. n. 446/1997, 2697, 2729 cod. civ, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto provata, da parte del contribuente, l’esistenza delle operazioni che gli erano state contestate dall’Amministrazione Finanziaria.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 36, d.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ipotizzato d’ufficio che le subappaltatrici si fossero avvalse di lavoratori non regolari e di beni non risultanti da acquisti documentati, circostanza, questa, mai dedotta dal contribuente nei propri atti.
Il primo motivo è infondato.
Esso si articola sul fatto che la C.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. avrebbe omesso di analizzare e di valutare adeguatamente gli elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti invocati dall’Ufficio, atti a dimostrare l’inesistenza oggettiva delle suddette operazioni e la qualità di cartiere delle società appaltatrici che avevano emesso le fatture contestate, nonché che avrebbe attribuito rilievo, ai fini della prova contraria vertente sull’effettivo compimento delle operazioni de quibus ¸ ad elementi indiziari non dirimenti (contabilizzazione formale delle fatture, buona fede del contribuente, contratti di subappalto privi di data certa e della sottoscrizione dei legali rappresentanti delle società cartiere) o meramente supposti (impiego, da parte delle società subappaltatrici, di lavoratori non dichiarati e acquisti non documentati al solo fine di consentire a queste ultime di evadere a loro volta le imposte).
2.1. La questione della indeducibilità della fatturazione per operazioni inesistenti, con riferimento alle imposte dirette, viene in rilievo nel caso in cui il contribuente, mediante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, porti in deduzione costi inesistenti e, così facendo, riduca la base imponibile sulla quale calcolare le imposte sul reddito di impresa.
In caso di contestazioni sull’esistenza delle operazioni, la giurisprudenza distingue a seconda che la contestazione investa l’inesistenza oggettiva o l’inesistenza soggettiva dell’operazione fatturata. Ricorre la prima ipotesi, quando la fattura è « mera espressione cartolare di un’operazione mai venuta in essere ». Ricorre la seconda ipotesi, quando le operazioni sono effettivamente esistenti, ma le fatture sono emesse « da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente è stato realmente destinatario) » ( ex plurimis , Cass. 28 febbraio 2017, n. 5173). Nel primo caso, grava sull’amministrazione finanziaria l’onere di provare l’inesistenza oggettiva dei costi fatturati, con la conseguenza che, adempiuto questo onere, i costi non effettivamente sostenuti non possono essere dedotti.
Nel secondo caso, venendo in rilievo la disciplina dell’art. 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, come modificato dal d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, grava sull’amministrazione finanziaria l’onere di provare l’alterità soggettiva delle operazioni e che il soggetto formale non è quello reale, mentre spetta al contribuente fornire la prova contraria.
2.2. Per quanto concerne, in particolare, le questioni concernenti la deducibilità dei costi delle operazioni oggettivamente inesistenti e il riparto dell’onere della prova, la Corte ha ribadito che esse attengono al corretto riparto dell’onere della prova qualora sia stata
contestata dall’amministrazione finanziaria l’inesistenza oggettiva delle operazioni di cui alle fatture passive nonché alla individuazione degli elementi indiziari sui quali la pretesa può essere correttamente basata. Sotto tale profilo, va precisato, in primo luogo, che, poiché la fattura, di regola, costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’Iva e alla deducibilità dei costi, spetta all’Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto. La dimostrazione può ben consistere in presunzioni semplici, poiché la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 17619/2018). Più in particolare, la dimostrazione a carico dell’amministrazione finanziaria è raggiunta qualora siano forniti validi elementi che, alla stregua dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, e dell’art. art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati ovvero la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione (Cass. n. 21953/2007; Cass. n. 9784/2010; Cass. n. 9108/2012; Cass. 27718/2013; Cass. n. 20059/2014; Cass. n. 9363/2015; Cass. n. 15294/2021). Successivamente, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 28628/2021; Cass. n. 28572/2017; Cass. n. 5406/2016; Cass. n. 28683/2015; Cass. n. 428/2015).
Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ., ma in tale giudizio non potrà ritenere sufficienti la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti» (Cass. 3 dicembre 2024, n. 30911).
2.3 . L’Amministrazione Finanziaria non ha, quindi, l’onere di dare dimostrazione dell’inesistenza oggettiva o soggettiva delle operazioni portate in deduzione dal contribuente con prove certe e inconfutabili, essendo a tal fine sufficienti presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, alla stregua del principio secondo cui «In tema di IVA, nel caso di apparente regolarità contabile delle fatture, qualora l’Amministrazione intenda contestare il coinvolgimento di un contribuente in una c.d. ‘frode carosello’ -fondata sul mancato versamento dell’imposta incassata da società ‘cartiere’ a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società filtro (‘buffers’) – è tenuta a dimostrare, in primo luogo, gli elementi di fatto della frode, attinenti il cedente, ovvero la sua natura di ‘cartiera’, la inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell’IVA come modalità preordinata al conseguimento di un utile nel meccanismo fraudolento e in secondo luogo, la connivenza nella frode da parte del cessionario, non necessariamente, però, con prova certa ed incontrovertibile, bensì con presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità,
precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente e qualora fornisca tale prova, grava sul contribuente l’onere di dimostrare il contrario» (Cass. 12 maggio 2011, n. 10414; v. anche Cass. 7 giugno 2017, n. 14237; Cass. 22 luglio 2020, n. 15595; Cass. 19 aprile 2024, n. 10615). Fornita tale prova, come sopra anticipato, è, quindi, onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti.
2.4 . In merito, poi, all’ulteriore questione riguardante la corretta applicazione della disciplina delle presunzioni, vengono in rilievo i principi di portata generale affermati dalla Corte in materia di violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., che sull’argomento si è espressa nel senso che la denuncia di violazione o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 cod. civ. si può prospettare sotto i seguenti aspetti: a) il giudice di merito contraddice il disposto dell’art. 2729 cod. civ., primo comma, affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius: fatti), che non siano gravi, precise e concordanti: questo è un errore di diretta violazione della norma; b) il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 cod. civ. fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza. Con riferimento a tale secondo
profilo, si rileva che, com’è noto, la gravità allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioè rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche lex artis), che esprime nient’altro -almeno secondo l’opinione preferibile -che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui dato un fatto A noto è probabile che si sia verificato il fatto B (non è condivisibile, invece, l’idea che vorrebbe sotteso alla ‘gravità’ che l’inferenza presuntiva sia ‘certa’). La precisione esprime l’idea che l’inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità che si indirizzi solo verso il fatto B e non lasci spazio, sempre al livello della probabilità, ad un indirizzarsi in senso diverso, cioè anche verso un altro o altri fatti. La concordanza esprime – almeno secondo l’opinione preferibile – un requisito del ragionamento presuntivo (cioè di una applicazione ‘non falsa’ dell’art. 2729 cod. civ.), che non lo concerne in modo assoluto, cioè di per sé considerato, come invece gli altri due elementi, bensì in modo relativo, cioè nel quadro della possibile sussistenza di altri elementi probatori considerati, volendo esprimere l’idea che, in tanto la presunzione è ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori, che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi. Ebbene, quando il giudice di merito sussume erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non sono invece rispondenti a quei caratteri, si deve senz’altro ritenere che il suo ragionamento sia censurabile alla stregua dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e compete, dunque, alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta dal giudice di merito, lo sia stata anche a livello di applicazione a fattispecie concrete che
effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta. In base alle considerazioni svolte la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ., suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza. Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi.
2.5. Di contro la critica al ragionamento presuntivo svolto da giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicché il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, primo comma (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali). In questi casi la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa
ricostruzione della stessa quaestio e ci si pone su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 cod. proc. Ric. 2015 n. 24010 sez. SU – ud. 09-05-2017 -16civ. (falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ.), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti. Terreno che, come le Sezioni Unite, (Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno avuto modo di precisare, vigente il nuovo n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., è percorribile solo qualora si denunci che il giudice di merito l’esame di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo per una diversa individuazione del modo di essere della detta quaestio ai fini della decisione, occorrendo, peraltro, che tale fatto venga indicato in modo chiaro e non potendo esso individuarsi solo nell’omessa valutazione di una risultanza istruttoria» (Cass., Sez. U., 24 gennaio 2018, n. 1785). Il principio è stato seguito anche dalla giurisprudenza successiva (ex plurimis, Cass. 17 gennaio 2019, n. 1234; Cass. 26 febbraio 2020, n. 5279; Cass. 30 giugno 2021, n. 18611; Cass. 15 novembre 2021, n. 34248; Cass. 21 febbraio 2022, n. 9054).
2.6. Nel caso in esame, la C.t.r. ha correttamente individuato le regole di riparto dell’onere della prova applicabili nel caso di specie, avendo il giudice del gravame affermato che, vertendosi in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, era onere dell’Amministrazione Finanziaria dimostrare, anche a mezzo di presunzioni, l’inesistenza oggettiva dei costi fatturati, ed era onere del contribuente fornire, all’esito, la prova contraria. A tacer del fatto che le argomentazioni svolte dall’Agenzia delle Entrate con il motivo di ricorso in esame non prospettano la violazione degli articoli 2727 e 2729 cod. civ. in modo idoneo, risolvendosi le relative censure nell’allegazione di una diversa ricostruzione delle questioni di fatto e nella contrapposizione, a quelli forniti dalla contribuente, dei diversi elementi indiziari invocati dall’Ufficio, la
cui valenza probatoria è stata, tuttavia, espressamente disattesa dalla C.t.r. con conseguente inammissibilità, sotto tale profilo, delle doglianze de quibus , alla stregua del principio secondo cui: «In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme» (Cass. 23 aprile 2024, n. 10927).
Anche il secondo motivo è infondato non essendo ravvisabile l’anomalia motivazionale denunciata dalla difesa erariale.
Come è noto, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, «in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali», situazione, questa, configurabile in caso di ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, di ‘motivazione apparente’, di ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e di ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, e non anche nell’ipotesi di semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; in senso conforme, v. anche Cass. 30 giugno 2020, n. 13248; Cass. 21 giugno 2021, n. 17684; Cass. 25 giugno 2021, n. 18311; Cass. 3 marzo 2022, n. 7090; Cass. 15 maggio 2023, n. 13189; Cass. 6 novembre 2023, n. 30759; Cass. 15 febbraio 2024, n. 4166; Cass. 10 ottobre 2024, n. 26432).
3.1. Orbene, nella fattispecie in esame non sembra configurabile la dedotta anomalia motivazionale, avendo la C.t.r. compiutamente esposto l’iter logico della decisione, mediante un corretto richiamo
dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di operazioni giuridicamente inesistenti e una puntuale ricostruzione della fattispecie concreta all’esito di una approfondita analisi degli elementi indiziari acquisiti nel corso del processo, forniti, rispettivamente, dall’Agenzia delle Entrate e dal contribuente. Né è ravvisabile il dedotto vizio di ultrapetizione nella parte in cui l’Agenzia delle Entrate si duole del fatto che la C.t.r. avrebbe rilevato argomentazioni ulteriori, atte a suffragare la tesi del contribuente in merito all’esistenza oggettiva delle operazioni fatturate, in linea con il principio secondo cui: «Il vizio di ultrapetizione ricorre quando la decisione non corrisponde alla domanda o all’eccezione e non anche quando il giudice desume dalla prova argomenti e considerazioni non espressamente invocati dalla parte cui esse risultano favorevoli» (Cass. 28 giugno 1963, n. 1756; in senso conforme, ex multis¸ Cass. 12 luglio 2011, n. 15300; Cass. 14 giugno 2018, n. 15591).
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale, non si applica l’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 7.800,00 oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15 % oltre ad IVA e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Roma in data 3 luglio 2025